La nostalgia felice
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Viaggio, ricordo, emozione
«Fino a oggi il mio idillio con il Giappone è stato perfetto. Contiene gli ingredienti indispensabili agli amori mitici: incontro abbagliante nel corso della prima infanzia, sradicamento, lutto, nostalgia, nuovo incontro all’età di vent’anni, tresca, relazione appassionata, scoperte, peripezie, ambiguità, unione, fuga, perdono, strascichi.»
Con “La nostalgia felice” Amélie Nothomb torna in Giappone a distanza di sedici anni dal suo ultimo viaggio nipponico. Anche questa volta le pagine sono intrise di elementi autobiografici ma non mancano elementi del quotidiano e dello storico: ella, con grande precisione, rivive della tragedia di Fukushima, rivive l’incontro con l’anziana bambinaia adesso così fragile e delicata, rivive del disastro nucleare, rivive Rinri quel ragazzo di assoluta bontà conosciuto ventitré anni prima, rivive del terremoto che ha messo in ginocchio il paese.
«Un’ora fa pensavo che ritrovarsi dovesse essere proibito. Adesso penso che dovrebbero esserlo anche le separazioni. Sto trasgredendo questi due tabù complementari a un’ora di distanza. La mia unica scusa è che ne ignoravo la natura tragica.»
L’intero romanzo si snoda sui ricordi e assume una forma reportistica tanto da suscitare nel lettore dalle grandi aspettative un senso di confusione, perdita delle coordinate, mancanza di empatia. In realtà l’autrice ci conduce per mano in quello che è un vero e proprio viaggio sentimentale fatto di significati, consapevolezza della cultura giapponese questa volta con una prospettiva più matura rispetto che ai ventidue anni di cui al primo viaggio, emozione e intensità.
Un titolo che è dolcezza, intimità, profondità. Un elaborato che aggiunge un tassello in più al quadro delineato negli anni dalla scrittrice belga. Consigliato soprattutto a chi ama e ha amato gli scritti della Nothomb, consigliato a chi già ne conosce la produzione.
«Le persone solidamente centrate non capiscono di cosa si tratti. L’imbarazzo presuppone un’ipertrofia della percezione dell’altro, da cui deriva l’educazione delle persone imbarazzate, che vivono solo in funzione degli altri. Il paradosso dell’imbarazzo è che crea un malessere a partire dalla deferenza che l’altro ispira.»
«Il giorno in cui la gente si farà gli affari suoi sarà sempre troppo tardi.»
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Ritorno al passato: tra nostalgia e monotonia
Ennesimo romanzo autobiografico di Amélie Nothomb.
Stavolta peró non si tratta di una semplice rievocazione, ma di un vero e proprio viaggio di ritorno in quel passato, in quella sua amata vita giapponese tante volte raccontata nei suoi libri.
E leggendo "La nostalgia felice" il lettore stesso prova nostalgia, venendo catapultato, tramite poco piú di un centinaio di pagine in un solo volumetto, in tutti quegli intimi romanzi che l'autrice ha scritto nel corso di molti anni.
È inevitabile quindi pensare di ritrovarsi nei mondi di "Né di Eva né di Adamo", "Metafisica dei tubi", "Stupore e tremori": assistiamo infatti, in primis, alla riunione di Amelié con Rinri, il suo antico amore nipponico, e con Nishio - San, la tata che si occupava di lei da piccola. Incontri non privi di imbarazzo e mancanza di parole ma comunque piacevoli e commoventi.
Oltre ad essere un tuffo nel passato, peró, é anche un richiamo al presente, alla tragedia del terremoto di Fukushima e ai danni che ha arrecato, a un Giappone completamente moderno e diverso da come era un tempo.
Se non si conta il fattore nostalgico e la sublime capacitá di scrittura della Nothomb, il libro consta essenzialmente di un semplice elenco di incontri e spostamenti, che non emozionano e non coinvolgono tanto quanto potrebbe farlo un suo racconto originale con i rispettivi contenuti surreali e un po'più divertenti.
Da leggere solo se si é dei "Nothombofili" veterani e ferrati.
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Quando mancano le parole
La scrittrice belga Amélie Nothomb è nata e vissuta diversi anni in Giappone, Paese nel quale sono ambientati anche alcuni dei suoi libri.
Nella lingua giapponese esiste un termine che manca in altre lingue, per definire un concetto che sembra un ossimoro. Natsukashii è la nostalgia felice ed è ciò che si prova, come spiega la Nothomb, “nell’istante in cui la memoria rievoca un bel ricordo che la riempie di dolcezza”.
Non è un’emozione o un concetto che manchi alla nostra esperienza: manca piuttosto la parola, tanto che per esprimerla dobbiamo ricorrere ai segni esteriori e ai gesti, come Proust con la madeleine.
L’Occidente tende a considerare la nostalgia come una debolezza, la irride, la disprezza. La considera, per dirla con la Nothomb, “un valore passatista tossico”.
Io non sono né un esperto né tutto sommato un grande ammiratore del mondo orientale e giapponese in particolare. Però mi affascina quella capacità che a oriente c’è e a occidente molto meno, di stare in silenzio, di andare oltre le parole, di non lasciarsi prendere dal panico ogni volta che il torrente di suoni in cui siamo continuamente immersi si interrompe per un breve intervallo.
E poi siamo ossessionati dal “fare”. Dobbiamo riempire la nostra giornata e tutte le giornate della nostra vita, di parole, fatti, azioni. Spesso un libro giapponese o un film cinese ci irritano perché la sensazione è che non succeda mai nulla.
“La nostalgia felice” è un libricino di poco più di cento pagine, una sorta di diario della scrittrice che ritorna dopo molti anni nella terra della sua infanzia e giovinezza, dove incontra la sua vecchia tata, un suo ex fidanzato, la traduttrice e l’editore giapponese dei suoi romanzi. E visita la città di Fukushima dopo il terremoto dell'11 marzo 2011 e conseguente incidente alla centrale nucleare.
In cento pagine non succede effettivamente quasi nulla o viene raccontato in modo che sembra non succeda nulla. Eppure la scrittrice, con troupe televisiva al seguito, nei dieci giorni di permanenza sul suolo giapponese non si ferma mai: Shukugawa, Kobe, Kyoto, Fukushima e infine su e giù per Tokyo.
I fatti e i luoghi si intravedono appena, giusto per evocare un’emozione e lasciare alla fantasia del lettore il compito di interpretare ed estendere quell’emozione. Sembra di osservare quelle fotografie dove le immagini sono manipolate con varie tecniche per renderle più sfocate, o in negativo, o stilizzate. Come ci fosse uno schermo deformante a proteggere il pudore di chi racconta e a offrire infiniti spazi interpretativi ed evocativi a chi guarda, o legge.
Oltre al diario interiore, il libro ci offre anche una sorta diario di viaggio, con interessanti osservazioni (almeno per me, che non ne so nulla) sui luoghi di questo personale pellegrinaggio della memoria. La visita alla Fukushima del post terremoto, è occasione per un omaggio ad alcune virtù tipicamente nipponiche.
Il natsukashii può accendersi anche prendendo spunto da oggetti assolutamente ordinari come la biancheria, un canaletto di scolo, le fogne, le finestre dei bagni scolastici. Naturalmente, trattandosi di un viaggio nei luoghi dell’infanzia, c’è spazio anche per scivoli e altalene.
Il ripetuto collegamento tra scampoli di vita apparentemente irrilevanti e le più profonde cavità dell’anima qualche volta mi affascina e qualche volta mi sembra stucchevole. Mi evoca il “racconto della perversione” che Calvino incluse in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”.
Quando le corde della nostra emozione non sono perfettamente in sintonia con quelle dell’autore, può essere che siamo noi un po’ insensibili, ma può anche essere che l’autore stia un po’ bluffando.
Oppure sta parlando a un selezionato gruppo di lettori. Nel caso della Nothomb: quelli che amano incondizionatamente il Giappone oppure quelli che hanno letto tutti o buona parte dei suoi libri. Io non appartengo né al primo gruppo, né al secondo e dunque mi rimane addosso per tutte le pagine un vago senso di spaesamento e di estraneità.
Al lettore italiano può infine succedere di avere un sussulto che la scrittrice belga non avrebbe mai pensato di provocare. Durante un viaggio in treno, la Nothomb si chiude in bagno per parlare al cellulare. Il pensiero va ovviamente ai logorroici conversatori telefonici di casa nostra, capaci di infliggere i più intimi dettagli dei fatti loro a interi scompartimenti ferroviari. Proporrei di mandarli in Giappone, o almeno di farli passare sotto lo sguardo accigliato della severa Amélie.
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a chi ama il Giappone e la sua cultura
Ritorno all’infanzia
Diario nipponico di un’affermata scrittrice: la visione della tragedia di Fukushima rappresenta per Amélie Nothomb il motivo di un viaggio, che viene documentato con un filmato (“E’ il 28 marzo 2012. Sono una scrittrice belga che, dopo un’assenza molto lunga, ritrova il paese dei suoi primi ricordi”).
Tra le visite, il commovente incontro con l’anziana bambinaia, abbandonata dalle figlie (“Anch’io, Nishio-san, sono sua figlia. E sono venuta dall’Europa per vederla”) e che vive senza aver appreso del disastro nucleare. E l’appuntamento – non senza apprensioni - con l’amico di sempre (“Rinri era il ragazzo di assoluta bontà che avevo conosciuto ventitré anni prima e nei confronti del quale i miei sentimenti non erano mai cambiati”).
L’attenzione è concentrata sui ricordi: grazie ai quali, anche particolari prosaici come un canaletto di scolo si tingono di memoria (“Io che ho tanto giocato al pesce o alla barchetta lungo il suo percorso…”). Come all’asilo: “Lì m’imbatto faccia a faccia con lo scivolo gigante che è stato uno dei luoghi sublimi della mia infanzia”.
Le città sono vissute tra sensibilità artistica e “sindrome di Mishima”: Kyoto (“La sera, quando prendiamo il treno per Tokyo, siamo in overdose sensoriale”), la capitale nipponica (“Tokyo è innanzitutto un ritmo: quello di un’esplosione perfettamente controllata”) e, naturalmente, Fukushima (“Apocalisse significa rivelazione: ci viene rivelato il disastro”): “Lasciamo questo paesaggio quasi bello a forza di essere orribile”.
Il viaggio è riscoperta di significati (“Natsukashii definisce la nostalgia felice… l’istante in cui la memoria rievoca un bel ricordo che lo riempie di dolcezza”), consapevolezza matura della cultura giapponese, analisi intima dei contenuti del “ritorno” (“L’aereo sta sorvolando le cime dell’Himalaya, e il loro candore è tale da rischiarare le tenebre”).
Apprezzeranno questo scritto soprattutto i fan di Amélie Nothomb, che avranno modo di gustare la dolcezza di un’autrice che, nel gioco delle parti, spesso si è mostrata dura, aspra e ruvida.
Bruno Elpis
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Natsukashii
"Natsukashii" è un aggettivo della lingua giapponese che, secondo la traduzione di Amèlie Nothomb, indica "la nostalgia felice", " l'istante in cui la memoria rievoca un bel ricordo che riempie di dolcezza", concetto nipponico che fra l'altro non prevede un aggettivo o concetto opposto tipo "nostalgia triste".
"La nostalgia felice" è quella che Amèlie Nothomb prova in questo lungo e commovente ritorno a Kobe la città dov'è nata e che lasciò ancora bambina.
La dolcezza è nell'incontro con la vecchia tata Nishio-san, l'emozione è in un'anziana che ricorda la piccola bambina europea che accudiva mentre ignora del tutto il terribile terremoto del 17 gennaio 1995, la nostalgia triste non esiste.
"La nostalgia felice" è nell'incontro con Rinri, il primo amore di Amèlie, il ragazzino con il quale passeggiava a vent'anni sotto i ciliegi fioriti dei vecchi quartieri di Tokyo e che accetta di farlo un'ultima volta, dopo che lei l'aveva abbandonato. La dolcezza è nella parola che Rinri pronuncia accomiatandosi per sempre, quando lei guardandolo negli occhi gli chiede : "Cosa pensi di questa giornata insieme?"
E Rinri le risponde, vent'anni dopo, con la prima parola francese che aveva imparato : "Indicibile".
"La nostalgia triste" c'è in questo libro si chiama Fukushima, un ferita nella "terra-carne" giapponese, distruzione e morte. L'emozione è quella tutta nipponica che ci regala Rinri quando ci rivela che in Giappone ci sono parecchie persone che per solidarietà comprano e mangiano esclusivamente verdure cresciute a Fukushima. Penso da napoletano a noi italiani che dopo i fatti della "Terra dei fuochi" abbiamo riempito giornali e TV di spot con pomodori coltivati in Padania, per questo noi Italiani non saremo mai una nazione come il Giappone.
Questo di Amèlie Nothomb è un magnifico diario di viaggio in un paese che è anche un'emozione che, io lettore, alla fine del libro, non posso che tradurre, Natsukashii è indicibile.