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Recensione della Redazione QLibri
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L'atelier di una fabbricante d'angeli
Questa donna non finisce mai di stupirmi, ha la capacità di spogliarsi completamente e di rimanere così, nuda, inerme e disarmata al centro di una grande piazza piena di gente, ignara del freddo e degli sguardi altrui, perché assolutamente consapevole della sua nudità e dell'importanza del suo gesto.
Questo fa la Ernaux con ogni suo libro.
Ci offre la sua vita.
Ogni volta un pezzettino in più, ogni volta un dolore diverso.
Queste pagine sono tremende.
Ci raccontano di una notte del '64 in cui, nella stanza 17 dello studentato femminile a Rouen, una giovanissima Annie ha vissuto un'esperienza di vita e di morte.
Quella dell'aborto.
Clandestino.
La disperazione di una ragazza di 23 anni alla ricerca di qualcuno che l'aiuti a commettere "un reato", disposta a tutto pur di non avere quel bambino, anche infilarsi dentro un ferro da calza, da sola...senza però avere il coraggio di andare fino in fondo.
Quando si spegne ogni speranza di trovare un medico disposto ad aiutarla, non le rimane altro che affidarsi ad una "fabbricante d'angeli"...una mammana...una donna che, in qualche modo, l'ha fatta nascere come altro da sé, ha fatto di lei una donna diversa.
Una donna che, in una sola notte, ha perso il corpo della sua adolescenza, un corpo vivo e segreto, un corpo tutto suo, e si è ritrovata esibita, divaricata, abrasa...esposta al giudizio.
Sì, perché questo libro non è semplicemente il racconto di un aborto, ma molto di più...è la voce di tutte quelle donne a cui è stato negato un diritto, che hanno rischiato (ed anche perso) la vita per rivendicare una scelta inalienabile.
Privarle di tale diritto è semplicemente "violenza".
La violenza di dover fare tutto da sole, e in fretta: trovare qualcuno disposto ad infrangere la legge, trovare i soldi, ingoiare in silenzio tutto il dolore, e sperare di non morire dissanguate sul tavolo di una cucina o in un bagno per studentesse...
Viviamo ancora oggi in una società che guarda l'aborto, seppur legale, come "il male", come omicidio...e la gravidanza, anche quando non è desiderata, come una benedizione, un regalo, qualcosa per cui gioire...sempre e comunque.
E non è così.
La Ernaux ci dona, come sempre alla sua maniera, affilata, e senza nessun artificio letterario, un'esperienza che, passando attraverso il suo corpo, si fa universale e tocca la sensibilità di tutti.
Per qualcuno questo racconto potrà essere irritante, fastidioso, addirittura osceno, ma l'autrice ci dice: "se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo".
Questo libro sarà esposto al giudizio esattamente come lo è stato il suo corpo all'Hotel-Dieu, la notte in cui l'hanno salvata dall'emorragia...
Questo libro è proprio come la sua scrittura: necessario.
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Opinioni inserite: 4
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Commento
Di una bellezza davvero sfolgorante questo romanzo di Annie Ernaux, meritatissimo Nobel per la letteratura. Il racconto è quello di un aborto clandestino subito dall’autrice quando era giovane e quando ancora l’aborto era un reato. Era quindi necessario per le donne rivolgersi a chi praticava clandestinamente questa pratica, con tutti i rischi connessi per chi lo subiva.
Sin dalle prime righe il racconto colpisce e lascia attonito il lettore. Quasi un pugno nello stomaco.
Non c’è retorica sulla vicenda, non ci sono parole di troppo. Il racconto è asciutto, asettico e allo stesso tempo fortissimo. I personaggi della vicenda vengono indicati con le sole iniziali. In fondo non hanno importanza i nomi perché si sta raccontando una vicenda individuale che per come è raccontata diventa di valore universale. Qui risiede la potenza del romanzo. Non si tratta della vicenda di una donna ma di quella di tutte le donne che hanno dovuto subire i rischi di un aborto clandestino, la vergogna che le accompagna per il “crimine” che vogliono commettere, le frasi che vengono loro rivolte e che risuonano come condanne.
L’impressione è anche che l’autrice voglia uscire da se stessa e diventare altro per raccontare “l’evento” dall’esterno. Come se non fosse suo, se non l’avesse vissuto.
I compagni di università, il padre del bambino, il medico, la farmacista, la donna che praticherà l’aborto, il personale dell’ospedale dove verrà ricoverata per emorragia. Tutti presenti ma quasi trasparenti nella loro potenza espressiva e nel loro giudicare con magari una sola frase, terribile per chi l’ascolta. Benché ciascuno sia nel romanzo costituito da solo due iniziali.
Bella anche l’atmosfera parigina, città dove occorre recarsi per abortire. Il bar, la chiesa dove va a pregare di non sentire troppo dolore, luoghi e momenti scolpiti dalla scrittura della Ernaux e che risultano quasi immobili, fermi nel tempo e nello spazio.
Certo, successivamente scoprirà che c’è chi pratica clandestinamente aborti anche nel paese dei genitori, ma solo dopo, prima non la aiuterà davvero nessuno.
La sensazione è di entrare in un’atmosfera cupa benché vuota di personaggi che sentiamo carne e ossa, eppure piena della solitudine e della violenza psicologica che la protagonista dovrà subire per liberarsi da ciò che viene chiamato sul suo diario in molti modi per evitare di dargli il suo giusto nome: lei è incinta e aspetta un bambino. E questo diventa “il problema”.
La lettura attrae il lettore come una calamita ed è di incredibile racconto.
Questo racconto, così come è stato fatto dalla Ernaux non è solo splendido, era necessario. Qualcuno doveva scriverlo. Meglio della Ernaux non sarebbe stato possibile farlo.
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La solitudine di una donna.
Annie Ernaux ricorda in questo libro una sua interruzione di gravidanza, un “evento” avvenuto circa trent’anni prima, nel 1963, all’età di 23 anni: un’esperienza drammatica, che deve aver segnato profondamente la sua vita, in un periodo in cui l’aborto era considerato illegale, chi lo praticava o favoriva pesantemente perseguito ed i medici coinvolti radiati dall’Albo. Dopo un rapporto con un ragazzo che frequentava abitualmente, Annie si accorge di un ritardo nel ciclo: frequenta l’università, vive in uno studentato, riesce ad ingannare i genitori nelle visite a casa ma non a superare una sensazione di inadeguatezza nell’attesa di porre rimedio ad una situazione nuova e inaspettata, che genera paura, sconforto ed il timore di non saper trovare una soluzione. Soluzione che cercherà disperatamente: prima consultando amiche fidate, poi recandosi da un medico, infine ritrovando l’amico del cuore che le starà svogliatamente vicino preferendo in seguito allontanarsi ed assistere agli eventi da “spettatore”. Finalmente un’amica le darà un indirizzo: una “fabbricante di angeli” porrà rimedio alle sue sofferenze con l’introduzione di una sonda che, pochi giorni dopo, provocherà l’aborto. L’espulsione dell’embrione ed il taglio del cordone ombelicale avverrà, con l’aiuto di un’amica fidata, nello studentato, ma occorreranno un ricovero ospedaliero ed un raschiamento per interrompere una copiosa emorragia.
Annie sembra rivivere, avrà scoperto l’indifferenza del prossimo, il cinismo delle strutture sanitarie, il muto rimprovero dei cosiddetti benpensanti, le leggi del momento aggirate da attività clandestine ben remunerate. Si convincerà che l’attesa di un figlio non desiderato ed il desiderio di abortire sono assimilabili allo stato di povertà della sua famiglia, non certo benestante: ma Annie è forte, ha la forza ed il coraggio di raccontare tutto, minuziosamente, perché non esistono realtà da nascondere e realtà da portare alla luce. Tutto va narrato, senza false paure o incertezze, tutto va messo in parole, soprattutto, scrive l’autrice, “quella che mi pare un’esperienza umana totale, della vita e della morte, del tempo, della morale e del divieto, della legge, un’esperienza vissuta, dall’inizio alla fine , attraverso il corpo”.
“…. e forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo, che il mio corpo, le mie sensazioni, i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza dissolta nella testa e nella vita degli altri”.
Oggi Annie Ernaux è sempre in prima linea nelle battaglie per la difesa dei diritti civili e della libertà assoluta delle persone: la sua testimonianza è oggi un monito per chi si ostina ad ostacolare o addirittura persevera nel negare i più elementari diritti umani.
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Traumatica “liberazione”
“Che la clandestinità in cui ho vissuto quest’esperienza dell’aborto appartenga al passato non mi sembra un motivo valido per lasciarla sepolta. (…) Ciò che è accaduto resta coperto dallo stesso silenzio di prima. È proprio perché nessun divieto pesa più sull’aborto che, mettendo da parte la percezione collettiva e le formule necessariamente semplificate imposte dalle battaglie degli anni Settanta – «violenza sulle donne» eccetera –, io posso affrontare, in tutta la sua realtà, questo evento indimenticabile”.
Un libro breve, ma intenso come l’esperienza che la Ernaux ha vissuto quando, da promettente studentessa di letteratura francese, ha dovuto imbattersi nell’aborto clandestino. Ora che il diritto riconosciuto alle donne di interrompere la gravidanza e di decidere sul proprio corpo è diffuso quasi in tutto il mondo occidentale, la scrittrice alle soglie degli anni Duemila ha sentito l’urgenza di scrivere, di rendere pubblico, di esporre al mondo intero quello che ha vissuto sulla propria pelle, un “evento” che per ogni donna, desiderosa o meno di diventare madre, rimane un trauma, una ferita che marchia l’animo col fuoco, in maniera indelebile.
Un evento indimenticabile.
L’evento per eccellenza che segna la vita di una donna.
L’evento della vita e della morte insieme, qualcosa di terribile, eppure tutto umano, tutto femminile.
“…un’esperienza totale”.
Con la sua penna cristallina, sofisticata, ma che sa aprire dei varchi col bisturi nell’animo del lettore, profondamente sincera, a volte anche cruda, la scrittrice, sempre attenta alle tematiche femminili, tiene incollati alle pagine fino alla fine del libro.
È una storia che fa riflettere, che rappresenta l’esperienza di tante ragazze e tante donne che, di fronte ai timori dei medici ed alla legge, hanno trovato la salvezza (troppo spesso anche la morte) recandosi da “fabbricanti di angeli”, o da “cucchiai d’oro”: appellativi per indicare questi medici e queste levatrici “non ufficiali” che clandestinamente, talvolta senza la minima precauzione igienica, “liberavano” la ragazza o la donna dalla gravidanza indesiderata.
La lettura è interessante per la testimonianza dei valori e delle ipocrisie della Francia, ma non solo, dei primi anni Sessanta: la condizione di essere incinta era un marchio che mostrava la patente di disponibilità sessuale agli occhi dei ragazzi. La Ernaux ovviamente aveva nascosto il suo segreto ai genitori e alla maggior parte dei suoi conoscenti, rivolgendosi a persone dalle quali avrebbe potuto sperare un aiuto.
È assente ogni forma di tenerezza, la protagonista non ha un attimo di esitazione, farebbe qualsiasi cosa pur di liberarsi di quello che potrebbe diventare un “fardello” insopportabile, non una parola di pentimento quando getta nella tazza del wc quel feto, quel bambolotto, praticamente già formato, opera della natura del suo corpo.
Al di là di ogni moralismo, di ogni principio etico, “L’evento” viene elaborato positivamente dalla scrittrice negli anni, perché le ha permesso di diventare una donna più consapevole della maternità
“Per anni, la notte tra il 20 e il 21 gennaio è stata un anniversario. Oggi so che avevo bisogno di quella prova e di quel sacrificio per desiderare di avere figli. Per accettare la violenza della riproduzione nel mio corpo e diventare a mia volta luogo di passaggio delle generazioni”.
Cinque stelle
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Un libro duro, ma necessario
Ernaux riesce a raccontare con una lucidità sorprendete un tema che - assurdamente, oserei dire - ancora oggi rappresenta un tabù: l'aborto. Attraverso la sua esperienza di studentessa di 23 anni, che nella Francia del 1964 è costretta ad una disperata ricerca di aiuto clandestino, l'autrice fa riflettere su quanto nulla (o quasi) sia cambiato a così tanti anni di distanza: l'indifferenza del ragazzo, il biasimo sociale, il dottore cui si rivolge che invece di aiutarla la ostacola, la famiglia da tenere all'oscuro, sono tutte tematiche ancora oggi ricorrenti, inutile fingere il contrario.
Ernaux si trova dunque ad affrontare una società che, oggi come allora, si arroga il diritto di decidere cosa una donna debba fare con il suo corpo e quali siano le scelte migliori per lei. Nel raccontare la sua esperienza non risparmia al lettore i particolari più crudi, come il disperato tentativo di procurarsi l'aborto utilizzando dei ferri da maglia.
Insomma, da brividi solo a pensarci. Allo stesso tempo, però, fa bene ogni tanto riflettere sul come sia possibile che una donna debba spingersi a tanto solo perché la società in cui vive ritiene deplorevole un certo tipo di scelta, rendendone illegale il compimento.
Secondo me a definire la società francese (ma non solo) dell'epoca (ma non solo) è sufficiente questa frase: “ A fronte di una carriera rovinata, un ferro da maglia nella vagina aveva ben poco peso”.