L'altra figlia
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 5
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
"Lottare contro la lunga vita dei morti".
“ L’altra figlia” è la sorellina dell’autrice, morta di difterite nel 1938, all’età di sei anni, due anni prima della nascita di Annie Ernaux. Il romanzo è un racconto di poco meno di cento pagine sull’indelebile ricordo della piccola, presente in una vecchia foto ingiallita incollata su un libretto: un ricordo che non si attenua con il passare del tempo e che induce Annie ad una serie di considerazioni su un passato ormai lontano, ma sempre sorprendentemente evocato, ed un presente che non è solo insieme di ricordi, ma riflessioni profonde sulla vita, sulla morte, su quello che poteva essere e non è stato. In famiglia non se ne è mai parlato: i silenzi dei genitori sembrano evocare un dolore mai interamente sopito, qualcosa di indicibile talmente grande e sofferto da non poter neppure far riemergere ricordi. Solo un giorno, che l’autrice ricorda benissimo, la madre si lascia andare a confidenze con un’amica: Annie ascolta di nascosto, e viene a sapere che la sorellina era “buona”, mentre lei si comporta invece da “saputella, insolente e pestifera”. La rivelazione suscita rabbia e dolore : la sua vita cambia, nasce una crescente diffidenza nei confronti dei genitori, il confronto con la sorella suscita sensi di colpa, curiosità mista ad una inconfessabile gelosia. Le sembra quasi che la morte della piccola possa aver permesso a lei di sopravvivere, soprattutto quando, colpita da una grave infezione tetanica, riuscirà miracolosamente a cavarsela, grazie anche, secondo la madre, all’acqua benedetta ottenuta durante un pellegrinaggio a Lourdes. L’ingenuità della madre sembra placare Annie, in fin dei conti capisce che vogliono bene anche a lei e che lei stessa nutre per loro un affetto profondo, forse non interamente manifestato.
Il lungo racconto non può considerarsi narrativa, e neppure un diario: sembra una lunga lettera alla piccola scomparsa, l’esposizione di sensazioni, piccoli fatti, minuziose riflessioni, a volte intense, profonde, toccanti, soprattutto quando viene affrontato quel demone oscuro che è la vita, il destino, il rimpianto di come poteva essere e non è stato e soprattutto la convinzione che “ tu (la sorella) sei morta perché io sopravvivessi …”.
Annie Ernaux non desidera essere sepolta accanto ai suoi, perché si considera lei stessa “l’altra figlia”, quella fuggita via, lontano da loro. Immaginando di rivolgersi direttamente alla sorella che non c’è più, le sussurra che vuole “saldare un debito immaginario, dandoti a mia volta l’esistenza che la tua morte mi ha dato, oppure farti rivivere e rimorire per liberarmi di te, della tua ombra”.
“Lottare contro la lunga vita dei morti”.
Ecco, questa breve frase è forse la sintesi di tutto, dolore, rimorso, rimpianti, speranze.
Lo stile narrativo è scarno, severo, evocativo: leggendo, ognuno di noi potrà sicuramente trovare riflessi della propria vita.
Indicazioni utili
Io e l'altra
L’altra figlia è un breve romanzo autobiografico scritto in prima persona in cui l’autrice s’immagina di rivolgersi alla sorella morta prima della sua nascita di cui i genitori non le hanno mai parlato. Struggente ed evocativo, ricorda un po’ La prima moglie di D. du Maurier.
Dal testo:
“Se passo in rassegna la nomenclatura dei sentimenti, non ne trovo nessuno che io abbia provato per te nell’infanzia e oltre. Né odio, senza oggetto perché sei morta, né tenerezza, niente di ciò che un essere umano suscita in un altro, vicino o lontano che sia. Un biancore di sentimenti. Una neutralità, al massimo adombrata se sospettavo la tua innominata presenza nelle loro considerazioni che avevano come oggetto “la tomba”. O invece, forse, un’oscura paura. Che tu ti vendicassi”. (pag. 59).
“In quelle immagini non ti penso mai al mio posto. Non riesco a vederti dove mi vedo con loro. Non ti posso mettere dove sono stata io. Sostituire la mia esistenza con la tua. C’è la morte e c’è la vita. Tu o io. Per essere, ti ho dovuta negare”. (pag. 74).
Indicazioni utili
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Chi è " l'altra " ?
Si tratta del mio primo incontro con l'autrice. Per la verità un incontro non esaltante con un testo ben scritto, in modo essenziale, ma dalla freddezza del marmo di una tomba.
Il libro, verosimilmente autobiografico, parte dalla scoperta della narratrice, quand'era bambina, di non essere la primogenita, come aveva pensato, bensì di essere nata dopo la morte della sorella. L'ha appreso in modo traumatico, durante la conversazione della madre con un'altra signora : "è morta come una piccola santa"; "era più buona di quella lì". "Quella lì" era ovviamente lei.
Di qui la sensazione di non essere buona, di non essere all'altezza.
In effetti però era amata e amorevolmente curata dai genitori, ma continuava a persistere in lei l'implicito confronto con l'altra, "la bambina invisibile di cui non si parlava mai, la grande assente da tutte le conversazioni. Il segreto". Il suo nome non veniva mai pronunciato, ma settimanalmente i genitori, a turno, andavano furtivamente al cimitero con un mazzo di fiori.
Loro tacevano per 'proteggere' la figlioletta viva; il delicato fantasma dell'altra, però, pareva essere presente ovunque, interiorizzato forse per sempre.
Il racconto non contiene rimproveri espliciti; dice comunque che "i genitori di un figlio morto non sanno ciò che il loro dolore fa a quello vivo".
"L'altra figlia" : titolo ben scelto; di un'ambiguità sospesa.
Chi è, in fondo, "l'altra" figlia ? La sorella defunta oppure la narratrice stessa ?
Indicazioni utili
letteratura autobiografica
dolore inesprimibile
“I genitori di un figlio morto non sanno ciò che il loro dolore fa a quello vivo” (p.52)
Una lunga lettera destinata ad una sorellina morta nel 1938, a soli sei anni, di difterite; un tentativo di saldare un debito perché, se Annie è nata, lo deve a lei, a Ginette, la bimba di cui nessuno in famiglia osava parlare, “una santa”, “più buona di quella lì” e “quella lì” era lei, Annie.
Solo a distanza di molto tempo (il testo è del 2010) l'autrice decide di rielaborare un ricordo sconvolgente: la scoperta casuale, a dieci anni, di aver avuto un'altra sorella, scomparsa due anni prima della sua nascita. Annie è dunque “l'altra figlia”, quella venuta al mondo per compensare una perdita incolmabile, per sanare una ferita inguaribile. Di Ginette, Annie non sa quasi nulla, ne conserva solo qualche fotografia; non ha nemmeno mai osato chiedere, perché un tempo certi argomenti in famiglia erano tabu inviolabili.
Annie in questa lettera ci parla soprattutto di sé e dei suoi genitori, del disagio che ha vissuto nel rapporto con sua madre:
“Scriverti significa parlare di lei in continuazione, lei, la padrona del racconto, colei che ha proferito il giudizio e con la quale il combattimento non è mai terminato, se non alla fine (…). Tra lei e me è una questione di parole” (p. 41)
La prima di queste parole, la più ricorrente è “dolore”: per la consapevolezza di essere nata per sostituire la sorella, per aver creduto di essere amata per quello che era mentre forse, per i suoi genitori, rappresentava solo una replica mal riuscita, un vano tentativo di rimpiazzare un originale perfetto.
Dolore per tutto ciò che non è mai stato detto, per quella barriera che, di fatto, aveva creato un'incolmabile distanza: “con il silenzio proteggevano anche se stessi. Proteggevano te. Ti mettevano fuori dalla portata della mia curiosità, che li avrebbe torturati” (p. 52).
Dolore respirato da Annie in tutto ciò che la circondava: “il loro dolore l'ho sentito a lungo senza identificarlo, l'ho conosciuto senza riconoscerlo” (p.57) nel modo in cui sua madre cantava durante le processioni, nel suo mutismo, nell'apprensione e nel rimprovero per ogni minimo ritardo.
Dolore per essersi sentita una figlia sbagliata ed incompresa, costretta a fuggire altrove: “non sono buona come lei, sono esclusa. Dunque non sarò nell'amore, ma nella solitudine e nell'intelligenza” (p. 74-75)
Dolore per non aver mai proferito una parola davanti alla lapide di Ginette, per non essere riuscita ad amare una sorella cui avrebbe dovuto essere grata, ma per la quale ha invece nutrito per molti anni solo un sordo risentimento: “Forse ho voluto saldare un debito immaginario dandoti a mia volta l'esistenza che la tua morte mia ha dato. Oppure farti rivivere e rimorire per liberarmi di te, della tua ombra. Sfuggirti. (p. 80)
“L'altra figlia” è un testo che, come “Il posto”, ho apprezzato molto sia per le tematiche trattate, sia perché testimonia il potere evocativo e terapeutico della scrittura che apre ferite, ma è anche in grado di sanarle e consente di fare pace con i fantasmi del passato. Un libro che mi ha colpita per la capacità dell'autrice di scavare dentro se stessa come se si osservasse dall'esterno, con freddezza, ma a mio avviso con grande efficacia.
La prosa della Ernaux è incisiva, scarna ed essenziale: non usa mai una parola di troppo, ma quelle che scrive si incidono nell'anima.
Indicazioni utili
L’altra sono io
Dieci anni. Una domenica d’estate. Una conversazione origliata per caso tra la propria madre e una conoscente occasionale. È così che Annie Ernaux scopre che, prima di lei, è esistita un’altra figlia, Ginette, morta di difterite a soli sei anni, amatissima e sempre rimpianta.
"«Era più buona di quella lì». Quella lì sono io.”
Poche parole, non destinate alle proprie orecchie, ma che, una volta ascoltate, producono uno squarcio straziante nel proprio scenario familiare. Perché l’infantile ricerca di approvazione e amore da parte dei genitori, da quel momento, si traduce per Annie in una competizione. Ma è impossibile confrontarsi con un ricordo idealizzato, con quella bambina santificata dal dolore e privata di un futuro. È una lotta persa in partenza.
Eppure non si può più ignorare la verità di quell’impronunciabile segreto. Chi è la figlia e chi l’altra? Prima, Annie era l’unica, la sola, libera di sbagliare, di essere scontrosa, ribelle, diversa. Ma ora deve fare i conti con la sensazione di essere l’altra, nata per sostituire, viva nello spazio di un’assenza, destinata a rincorrere un modello irraggiungibile. Quelle parole si traducono così in una fiamma muta capace di propagarsi su una vita intera.
"Non sono buona come lei, sono esclusa. Dunque non sarò nell'amore, ma nella solitudine e nell'intelligenza".
Questo breve romanzo è una lettera che l’autrice scrive, ormai anziana, proprio a Ginette. Non ci sono più genitori con cui provare a fare quello che allora sarebbe stato impensabile, parlare apertamente. Anche la vita ormai è trascorsa. La scrittura diventa quindi l’unico modo per provare a curare quella ferita mai rimarginata, dando finalmente un volto a quell’ombra, sconosciuta e silenziosa, che ha fatto da sfondo invisibile alla propria esistenza.
“È forse dallo scrivere che sei rinata, da quello scendere a ogni libro dentro ciò che non conoscevo in anticipo, come qui, ora, dove ho l’impressione di scostare dei veli che si moltiplicano senza sosta lungo un corridoio infinito?”
Con una penna limpida e asciutta, Annie Ernaux ci accompagna in un viaggio autobiografico attraverso frammenti di ricordi, fotografie, interrogativi. Ricostruisce le dinamiche familiari che hanno caratterizzato la propria infanzia, riempiendone lacune e silenzi, per comporre quello spazio intricato e complesso in cui si è costituita la propria identità di donna e scrittrice. Nonostante una scrittura sintetica ed essenziale, che tiene sempre a freno le note emotive, e una certa severità di tono, vagamente respingente, il dramma esistenziale evocato arriva comunque con forza al lettore. Un romanzo intimo, doloroso, vero.