Il nostro bisogno di consolazione
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da non dimenticare
Stig Dagerman , spesso sconosciuto ai più , è diventato col tempo un caposaldo della letteratura svedese. Stig era un genio precoce, anarchico e baluardo della solidarietà fra uomini. In perenne rivolta contro la condiziona umana e contro ogni sistema sociale visse, da spettatore prima e da giornalista poi, le efferatezze della guerra e l'impatto devastante che quest'ultima ebbe sul futuro della razza umana. Anima inquieta, tormentato da quel mal di vivere che non dà scampo, schiacciato dal successo e dalle enormi aspettative, scelse, nel novembre del 1954, la via del suicidio a soli 31 anni.
“Sono irrimediabilmente malato, di una malattia diabolica che si manifesta con un odio incessante nei confronti di me stesso e un'incessante capacità di far male agli altri.”
“Il nostro bisogno di consolazione” è un breve monologo (12 pagine se escludiamo post-fazione e frammenti di racconti, collezionati nella bellissima edizione Iperborea), un piccolo specchio dell'anima nel quale vengono fuori i tormenti che hanno spinto l'autore svedese al silenzio degli ultimi anni e al suicidio finale.
"Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un dio né un punto fermo sulla terra da cui poter attirare l’attenzione di un dio. Non ho ereditato nemmeno il ben celato furore dello scettico, il gusto del deserto del razionalista o l’ardente innocenza dell’ateo. Non oso dunque gettare pietre sulla donna che crede in cose di cui io dubito o sull’uomo che venera il suo dubbio come se non fosse anch’esso circondato dalle tenebre. Quelle pietre colpirebbero me stesso, perché di una cosa sono convinto: che il bisogno di consolazione che ha l’uomo non può essere soddisfatto".
In poche pagine racchiude gran parte dei suoi squarci d'anima e un'aspirazione spasmodica di felicità e libertà
“io stesso sono a caccia di consolazione come un cacciatore lo è di selvaggina. Là dove la vedo baluginare nel bosco, sparo. Spesso il mio tiro va a vuoto, ma qualche volta una preda cade ai miei piedi. Poiché so che la consolazione ha la durata di un alito di vento nella chioma di un albero, mi affretto a impossessarmi della mia vittima.”
Consolazioni cosi grandi da scacciare quel dolore persecutore e quella consapevolezza dell'inevitabile finale che contraddistingue l'esistenza umana; un eterno contrasto tra la brama di felicità e l'impossibilità di ottenerla, l'impossibilità di essere libero. Libro di poche parole capace di aprire molteplici ferite; leggere per credere. Consiglio anche romanzi e racconti di quest'anima bella nata in un mondo troppo ingiusto.
“Lascio sogni immutabili e relazioni instabili. Lascio una promettente carriera che mi ha procurato disprezzo per me stesso e unanime approvazione. Lascio una cattiva reputazione e la promessa di una ancora peggiore. Lascio qualche centinaia di migliaia di parole, alcune scritte con piacere, la maggior parte per noia e per soldi. Lascio una situazione economica miserabile, un’attitudine vacillante rispetto ai grandi interrogativi del nostro tempo, un dubbio usato ma di buona qualità e la speranza di una liberazione. Porterò con me nel viaggio un’inutile conoscenza del globo terrestre, una lettura superficiale dei filosofi e, terza cosa, un desiderio di annientamento e una speranza di liberazione. Porterò inoltre un mazzo di carte, una macchina da scrivere e un amore infelice per la gioventù europea. Porterò infine con me la visione di una lapide, relitto abbandonato nel deserto o nel fondo del mare, con questa epigrafe:
'QUI RIPOSA UNO SCRITTORE SVEDESE
CADUTO PER NIENTE
SUA COLPA FU L’INNOCENZA
DIMENTICATELO SPESSO'"
Mi spiace Stig ma non posso accontentarti, nel mio cuore vivrai per sempre....