Giorni selvaggi Giorni selvaggi

Giorni selvaggi

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Il surf è un'arte dai molti paradossi, in cui il desiderio di mostrarsi non è mai separato da quello di essere soli con le onde e sparire dietro un sipario di schiuma. "Le onde sono il campo da gioco. Il fine ultimo". Ma sono anche l'avversario, la nemesi. William Finnegan ha subito l'incanto del mare fin da bambino, in California. A tredici anni andrà a vivere ai piedi del cratere di Diamond Head, alle Hawaii. E quell'incanto si trasformerà a poco a poco in una devozione assoluta al dio oceano. A venticinque anni, il suo sogno è di rigenerarsi agli Antipodi. Inizia così "la ricerca", il viaggio dell'inverno senza fine, la circumnavigazione del globo a caccia di onde. Prima Guam, poi le isole Samoa, il regno di Tonga, l'arcipelago delle Figi. Al suo fianco c'è Bryan. Ultima tappa il Sudafrica dell'apartheid, dove matura una nuova consapevolezza, poi l'inevitabile ritorno a casa. Ma la ricerca non è ancora finita.



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Giorni selvaggi 2016-07-27 07:18:26 68
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68 Opinione inserita da 68    27 Luglio, 2016
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L' onda ossessiva di una vita turbolenta

Che cosa è il surf e cosa rappresenta per chi, sin da bambino, lo ha vissuto, introiettato, amato, odiato, abbandonato, ripreso, studiato?
Agli occhi di un profano parrebbe semplicemente uno sport, ma così non e', ed il surfista lo sa bene.
Un senso di appartenenza attraversa la sua vita, individuo con visibili tratti di megalomania e monomania, un po' antisociale, affamato di solitudine, sospeso tra l' essere e l' apparire, con un destino nebuloso ed insondabile, ma con un ben definito codice di condivisione ed appartenenza.
In lui si sprigiona una dipendenza che scorre in un flusso impetuoso, imperioso, inseguendo quell' onda perfetta che racchiude maestosita', unicita', solitudine, irrazionalita', ma anche regole comunitarie non scritte, visibilità, studio, conoscenza di se'.
E poi vi è quell' oceano malvagio ed indifferente, quel mare popolato da creature invisibili e misteri profondi, metafora di una vita sregolata e travolgente e contrapposizione tra la goccia, l' individuo, e l' oceano, la natura selvaggia.
Su quella tavola si alternano gioie e dolori, paura ed incoscienza, in un viaggio di antitetico parallelismo, mentre la vita, sospinta da un soffio di vento, sospesa ad altezze vorticose, si traveste da onda per sorprenderti e risucchiarti come un gigante affamato per poi scorrerti accanto, con inusitata potenza, mentre cerchi disperatamente di afferrarla e domarla.
In un attimo sei intrappolato, inghiottito, vedi la morte, ti senti perduto, poi, improvvisamente e misteriosamente, riesci a governarla e a cavalcarla, ma ogni onda e' unica, diversa, e non esiste quella perfetta, il pericolo è' sempre in agguato, come la paura ed il terrore di essere risucchiati in un' apnea del profondo senza possibilità' di ritorno.
In questo viaggio nella storia del surf, dagli albori alla modernità' e nel racconto autobiografico, raccogliendo memorie ed appunti di viaggio, emerge un duplice aspetto, romantico e antropologico.
Il surf diviene ricerca, approfondimento, in primis di se', ma anche strumento di indagine culturale, per arrivare all'essenzialita' delle cose, ricercando non " l' esotismo, ma la comprensione assoluta della realtà' così come è ".
William Finnegan ( che con questo libro ha vinto il Premio Pulitzer per l' autobiografia ) parte dalla sua giovinezza, quando bambino ha cominciato a surfare, fino a quel vagare per il mondo, a partire dagli anni ' 70, on the road, o meglio on the sea, in compagnia dell' amico Bryan attraversando luoghi di culto, dalla California alle Hawaii, passando per Samoa, Tonga, Figi, Australia, Sud Africa ( in pieno apartheid ),Perù, Sri Lanka, Madeira, in un parallelismo tra surf e vita, passioni, amori, politica, storia, in un' autobiografia che ha il sentore a tratti di memoir con toni epici e romantici, in parte di reportage giornalistico, antropologico, geo-politico, e con dissertazioni scientifiche e tecniche ai più' piuttosto astruse ( spot, swell, takeoff, break, lineup etc.. )
Tra le pagine scorre un' ossessione ma anche un forte senso di libertà', un po' Odisseo, un po' Robinson Crusoe, più' semplicemente l' idea di dedicare e perdere del tempo alla ricerca di se' e di un senso dell' esistenza, che perdita di tempo non è.
Durante il viaggio, accadimenti politici e vita privata, gli innumerevoli lavori per mantenersi, i contatti con la famiglia, nuovi amori ed amicizie, a tratti relegano il surf a semplice comprimario, mai dimenticato, semplicemente riposto, per fare posto a desideri e passioni di una vita ( politica, giornalismo, scrittura ).
Il ritorno a casa, a San Francisco, ha maturato una nuova concezione di se', ma il surf rimane nel proprio essere e conserva un mistero profondo, insondabile.
Negli anni, il proprio lavoro di giornalista, inviato di guerra, ha portato Finnegan a ritornare nei luoghi della memoria, ma oggi il surf e' cambiato, ha inseguito il business, e' sport di massa, esistono scuole, competizioni, professionisti, allontanandosi da quel significato primario di libertà', sfida a se stessi ed amore per la natura.
Lo stesso Finnegan un poco e' cambiato, e' diventato padre, invecchiato, si è' trasferito a New York, ma il surf, per lui, conserva ancora un quid di irrinunciabile: " Continuavo ad avere dei dubbi, ma non avevo paura. Volevo solo che non finisse mai. "
Durante la lettura ci si addentra nella conoscenza di un mondo e di uno sport che tale non è, nell' accezione tradizionale, e che sconfina in altro, alienandone la presenza ed esulando dal significato primario.
Personalmente ho apprezzato il parallelismo e la metafora surf-vita, quel sapere entrare e descrivere il rapporto uomo-oceano-infinito oltre che le ampie analisi -socio-antropologiche-geopolitiche di un viaggio polimorfico e tentacolare, allontanandomi da un senso prettamente romanzato, perché di altro si tratta.

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