Fuga e fine di Joseph Roth
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TRA AMICI
Apparsa per la prima volta nel 1994, quest’opera si basa su un dattiloscritto facente parte del Lascito dell’autore, morto a New York nel 1976, ormai dimenticato. Si presenta come una biografia di Roth ma sfocia , e in questo il sottotitolo “Ricordi” anticipa, in un disegno più ampio che va a collimare con la stessa esistenza di Morgenstern e insieme a lui con il ritratto di un’epoca. Insomma ci si ritrova a soddisfare la curiosità primaria rivolta a Roth e contemporaneamente, almeno nel mio caso, a scoprire l’interessante figura di Morgenstern. Egli scrive in qualità di amico, quello che fu per Roth durante la sua breve , ma non incompiuta, esistenza.
Non si tratta di un’amicizia facile né tantomeno edulcorata, anzi è un rapporto che matura nel tempo, nato in maniera fortuita, esacerbato da sostanziali differenze etiche e morali, dalla condotta di vita, in cui l’unico collante è il medesimo destino storico: essere originari della Galizia, sudditi della vecchia Austria, novelli polacchi poi cittadini della nuova Austria per subire l’infausto destino di divenire dei profughi, rifugiati dapprima a Parigi, lì Roth morì, e poi in America.
“Essere amico di un uomo per tutta la vita significa aver mangiato insieme a lui un sacco colmo di sale”, questo ribadisce Morgenstern a più riprese nello scritto, quasi a sottolineare la fatica che gli costò questa amicizia messa a dura prova dalle differenze sostanziali fra i due, dalla personalità di Roth estremamente istrionica, a tratti infantile e complessa . Basti pensare che questo caro amico ha rivisitato più volte i suoi cenni biografici, in vita, modificando di volta in volta il luogo di nascita, l’identità paterna ed è arrivato perfino a tacere la morte della moglie, schizofrenica, della quale diceva di essere ancora il maggiore sostentatore , soprattutto delle sue cure psichiatriche. Non bastasse questo, il rapporto è stato devastato dall’etilismo di Roth a cui Morgenstern dedica numerose pagine, dal suo lento insorgere fino alle crisi più acute intervallate da qualche timido tentativo di disintossicazione. Diventa impossibile per lo stesso amico scindere la persona dall’alcolizzato e dallo scrittore; emerge quasi una sorta di predestinazione alla dipendenza da alcool: l’unica possibilità che Roth si diede per non soccombere alla costante ricerca della sua identità minata dall’assenza della figura paterna, per non farsi schiacciare dal suo tempo storico e dalla perdita dei suoi ideali, per sopportare il costante stato di fuga al quale si era votato. Una vita sotto i riflettori, da giovane l’esperienza militare (mentì clamorosamente anche su quella restituendo il suo grado di sottotenente dopo l’invasione dell’Austria!), poi l’esperienza di giornalista inviato in diversi territori, le prime pubblicazioni in qualità di romanziere, seguito e acclamato in vita, costantemente in debito con qualcuno ma mai senza soldi, ai quali non attribuiva alcuna importanza, circondato da profughi, lavorava e beveva alla luce del sole facendo degli alberghi e delle loro sale di lettura, la sua dimora, il suo studio, la sua sala di ricevimento. Convinto monarchico lavorò affinché potesse essere restaurato l’impero affiliandosi agli indispensabili cattolici che riuscirono infine a impossessarsi delle sue spoglie, dopo la morte in ospedale per presunta polmonite, e a seppellirlo con rito cattolico, lui nemmeno battezzato.
Le memorie sono ricche e corpose e sono preziose per la restituzione del tempo storico che le caratterizzò, io mi sono soffermata sulla figura di Roth, in realtà si legge tanto anche di Zweig, Musil e Kraus; ci sono puntuali riferimenti alla storia dell’Austria dell’intermezzo fino all’Anschluss, sono ben evidenziate le differenti posizioni ideologiche dei tre amici ; ai due di cui sopra occorre aggiungere il troppo pacifista e privilegiato Zweig, a detta di Roth. Ad arricchire la narrazione anche le curiosità circa la genesi dei romanzi più noti del nostro, con qualche curiosità rispetto al combaciare di alcuni personaggi con le persone che gravitarono intorno a lui e in ultimo una lettura circostanziata de “La leggenda del santo bevitore” che si vedrà non può affatto prescindere da questa biografia appena gustata. Su tutto, amichevole e impietoso il giudizio di Morgestein che reputava Roth un brillante giornalista e non un brillante romanziere, capace solo di magistrali descrizioni ma lontano dall’essere un narratore organico. Il volume, arricchito da un sostanzioso apparato di note, si chiude con uno scritto di Ingolf Scultz: “Soma Morgenstein. L’autore come sopravvissuto” , indispensabile e prezioso per capire questo autore di cui Adelphi promette nuove pubblicazioni.