Diario di un dolore Diario di un dolore

Diario di un dolore

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Questo è un libro che riguarda da vicino chiunque abbia avuto nella sua vita un dolore. C.S. Lewis pubblicò nel 1961, sotto lo pseudonimo di N.W. Clerk, questo breve libro che racconta la sua reazione alla morte della moglie. Illustre medioevalista e romanziere, amico di Tolkien, C.S. Lewis si è sempre dichiarato innanzitutto uno scrittore cristiano. Ma un cristiano duro, nemico di ogni facile consolazione. E ciò apparirà immediatamente in questo libro perfetto, dove l’urto della morte è subìto in tutta la sua violenza, fino a scuotere ogni fede. Non c’è traccia di compatimento per se stessi. C’è invece un’osservazione lucida, che registra le sensazioni, i movimenti dell’animo che appartengono al segreto di ciascuno di noi e che spesso non vogliamo riconoscere.



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Diario di un dolore 2019-12-18 11:09:59 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    18 Dicembre, 2019
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Il dolore, sacro e intoccabile

Recensioni in una cartella

Per chi ha letto Le cronache di Narnia, anche da ragazzo, non sembrerà una novità l’attaccamento alla religione di C.S. Lewis, che nel dialogo con Dio e su Dio ha costruito non solo tutto il suo mondo fantastico (il settimo e ultimo libro della sua saga è praticamente un trionfo religioso), ma anche la continua ricerca di un senso della vita indefinitamente sfuggente. Il rapporto dell’autore inglese con la religione non è quello di una adesione acritica o di una accettazione passiva delle cose che accadono, piuttosto è una continua lotta contro la propria incredulità, una sfida inesausta alla propria fede. Nelle pagine di questo breve libro, diario per frammenti dell’elaborazione del lutto per la moglie scomparsa, il dolore della perdita diventa occasione non solo per rendere testimonianza di quell’alternasi continuo di emozioni contrastanti, rabbia, odio, disperazione, indifferenza in cui il lutto fa precipitare l’uomo, ma anche lo strumento per chiedersi dove è Dio in un mondo che ti si sgretola tra le mani. Dove è Dio di fronte all’uomo sulla croce e dov’è la fede quando tutto è dolore e sconforto. Ecco, la bellezza minuta di questo libro di Lewis, non eccelso, ma coinvolgente nella lettura, è il duplice binario su cui di muove: da un lato il dolore umano, troppo umano di una vita ridotta in brandelli, dall’altro la lotta di un uomo che per credere arriva a negare Dio, a immaginarlo malvagio, un vivisezionatore. Più di tutto di Lewis dobbiamo apprezzare l’onestà del credente che ammette di fronte all’atroce che la propria fede vacilla e che può anche dire, nello sconforto, che Dio non c’è, perché solo il credente può bestemmiare. Poi certo, tornare alla fede, come Lewis fa, può sembrare del tutto consolatorio, una scelta facile o ipocrita, ma chi siamo noi per giudicare gli strumenti che chi soffre sceglie per andare avanti. Non c’è nulla di più sacro e inviolabile del dolore per una perdita, un’iperlagesia dei sensi che una sola parola di troppo, un solo sguardo un po’ storto possono esacerbare. E allora rispettiamo le scelte di Lewis, seguiamolo, anche se il libro è troppo poco per reggersi da solo, anche se la struttura è raffazzonata, anche se non ci dice nulla di nuovo. Perché la verità è che di fronte alla perdita, la vita non è vivibile e ogni perdita è una nuova perdita. E siamo soli. O forse c’è Dio. Perché la domanda non è se soffra più l’ateo o il credente, la domanda è: dove siamo disposti ad arrivare, per sopravvivere?

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Diario di un dolore 2019-04-01 14:13:33 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    01 Aprile, 2019
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Dolore, tra rabbia e religione.



Ho iniziato a leggere questo libro divorando le prime pagine, trovando un autore capace di descrivere il dolore come pochi, uno disposto a mettere in discussione tutto, persino Dio, per cercare di capire il perché accadano certe cose...ma da un certo punto in poi ho capito che mi stavo sbagliando, tutti i dubbi e le domande (scomode) della prima parte erano solo il pretesto per elaborare una tesi cristiana volta a confermare la volontà di Dio.
Da diario intimo e personale, bellissimo nella sua tragicità, si è trasformato in un noioso saggio religioso...e lì mi ha perso.

Lewis si sposò a cinquant'anni con una donna di nome Helen, che morì per un tumore alle ossa non molti anni dopo il matrimonio.
Queste pagine sono dedicate al dolore che la sua morte ha provocato in lui, al ricordo di lei, ma soprattutto alla religione.
La perdita della persona amata gli provoca smarrimento, paura, attesa...attesa che succeda qualcosa.
Si sente spogliato di tutto, del suo passato, e anche di tutte le cose che non hanno potuto fare insieme.
L'assenza di lei si stende sopra ogni cosa...come il cielo.
Si ritrova senza appigli se non quello della fede (lui è fortemente cristiano, grazie a Tolkien di cui era grande amico) che però sente vacillare, vivendo questa "separazione" come la volontà di un Dio cattivo, sadico...

"Mi dicono che H. ora è felice, mi dicono che è in pace.
Da dove traggono questa certezza?
? Perché è nelle mani di Dio?.
Ma se è per questo, lo era anche prima, nelle mani di Dio, e io ho visto quel che esse le hanno fatto qui."

Con il tempo questa disperazione, questa rabbia si sgonfia...e lui torna a pensare che l'unico modo per salvarsi, e continuare a vivere senza di lei, sia tornare a lodare il Cielo e lodare Dio...

Personalmente ho trovato tanto interessante la prima metà, quanto noiosa la seconda.


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Diario di un dolore 2013-05-15 10:18:27 SARY
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SARY Opinione inserita da SARY    15 Mag, 2013
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Il dolore

Breviario del dolore. Un’analisi microscopica della sofferenza umana.
Entra in gioco la fede: Dio esiste? Che Dio amorevole è colui che dona e toglie a suo piacimento? Che senso ha avuto tutto quanto? Di solito la reazione è questa, mettere tutto in discussione, come ha fatto l’autore quando è morta la moglie, da fedele credente, è diventato improvvisamente ateo arrabbiato. Ma scrivendo le note che compongono questo libricino, si rende conto che il cammino percorso mano nella mano con la propria donna sotto la guida di Dio è quello giusto. Ad un certo punto elabora il lutto diversamente: perché non provare a considerarla come una presenza reale e tangibile senza trasformarla secondo i capricci della memoria e dei ricordi? Mi viene da pensare ad un amico immaginario. Il dolore è sempre vivo, un nervo scoperto, ma il pianto offusca i nostri occhi, forse si perdono dei “segnali”? Se riuscissimo a tenere i sensi allenati ed allertati percepiremmo qualcosa? Anche solo un po’ di benessere?
Per me, che non sono niente e nessuno, sono domande senza risposte; l’unica parola che affiora alle labbra è fede, dono offerto a tutti e liberamente accettato o rifiutato, poco importa se si tratta di Vishnu o Buddha o altro, rispetto tutto ciò che può dare un sano conforto. Quando abbiamo bisogno di essere rincuorati ci lasciamo scaldare da un abbraccio materno, o ci rifugiamo tra le braccia forti di nostro marito o ancora chiediamo una coccola al nostro bambino, in tenera età con poco danno molto e neanche lo sanno, ma se viene a mancare proprio uno di loro? Cosa si fa per non impazzire e sopravvivere? Ognuno cerca la propria medicina, non escludo nulla, è un argomento tabù, solo a scriverne ho paura. Lewis ha fatto la sua ricerca interiore.
Un libro abbastanza semplice e chiaro; purtroppo la tematica, la morte, è reale e triste, tocca tutti universalmente. Ma non parla solo del dolore, soprattutto dell’amore incondizionato che va oltre ogni limite, è una prova che può esistere e resistere una coppia nel tempo con tutti i giusti ingredienti, un esempio di rapporto solido e incantato. La lettura è come un dialogo silenzioso, sorgono domande, non sempre arrivano le risposte. Ho riletto più volte alcuni passi per comprenderne meglio il significato e ne è valsa la pena.
Lo consiglio sicuramente a tutti, lasciando a casa i pregiudizi, le riflessioni non mancheranno.

“Quante volte (sarà per sempre?) dovrò contemplare sbigottito questo vuoto immenso come se lo vedessi per la prima volta, quanto volte dovrò dire: solo adesso capisco ciò che ho perduto? La gamba viene amputata una, dieci, cento volte. E sempre uguale ritorna il primo morso del coltello nella carne”

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