Blue nights
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
l'essere madre
“Il pavone faceva la ruota. L’organo suonava. Lei intrecciò bianchi gelsomini del Madagascar nella folta treccia che le scendeva sulla schiena. Si calò un velo di tulle sulla testa e i gelsomini si allontanarono e caddero”.
Sembra quasi di vederla, questa bellissima ragazza dai tratti molto delicati e chiari, che si incammina verso il futuro marito mentre il padre e la madre la guardano pieni di orgoglio.
Loro, Joan e John, quel giorno di marzo del 1966 erano in casa quando il telefono aveva squillato: lei era sotto la doccia, ma avrebbe corso verso l'ospedale, tra le lacrime di gioia, per accogliere la sua bambina. Felici, questi due neo genitori, senza alcuna esitazione l’avevano chiamata Quintana, come quella “terra incognita” che era allora prima di divenire uno stato messicano.
Ma oggi quello che vedo cercando articoli relativi a Joan Didion sono foto di una donna piccola, chiusa in se stessa, magrissima e con il volto segnato da rughe, tante che vanno ben al di là della sua età. Eppure, non si direbbe: Joan ha vissuto pienamente gli anni 70, un periodo caldo, in qualsiasi parte del mondo ci si trovasse. Insieme a Jane Fonda era il volto delle manifestazioni pacifiste, del periodo in cui vigeva un solo motto: “peace&love”.
In questo suo libro però non rimane più nulla di quella lotta che incendiava gli animi: vedo una donna che, con stanchezza, sfoglia un album di fotografie che ritraggono una famiglia, allegra, spensierata, benestante...la sua famiglia; ricordi felici, di amici, di momenti impressi nella pellicola e lì rimasti.
Quello che resta della splendida giornalista formatasi scrivendo per Vogue è il tentativo di mettere in parole scritte questo dolore che la divora dentro. Divora l’anima e il fisico affrontare la scomparsa di un figlio, ma ancor di più dover portarsi dietro, ovunque, un dolore che non si può discernere, prendere a piccole dosi, condividere con il fedele amore di una vita. John venne a mancare esattamente nel periodo stesso in cui qualcosa di inspiegabile si stava impadronendo di Quintana spegnendola ogni giorno di più. E allora ecco questo libro: il vano tentativo, come risposta all’esigenza disperata di scrivere di tutto questo dolore.
Oggi a guardare il volto di Joan sembra che con lo sguardo trasmetta un unico desiderio: ritrovare la sua famiglia. Ed ecco le “Blue Nights” un vocabolo che si riferisce al colore che il crepuscolo assume da aprile fino alla fine dell’estate: una qualità di luce che evidenzia la gioia dell’estate ma ha già il sapore amaro della tristezza, presupponendo la fine delle calde giornate spensierate.
“è orribile vedersi morire senza figli” Napoleone Bonaparte
“quale pena può affliggere i mortali più che veder morire i propri figli?” Euripide
“quando parliamo di mortalità parliamo dei nostro figli” Joan Didion
Ma al di là dei ricordi felici, Joan riporta a memoria anche quei momenti in cui aveva paura di questa bambina che si era impossessata con dolcezza e amore della sua libertà. Una ragazza che crescendo aveva dimostrato una fragilità derivante da chissà quale angolo recondito della sua anima, un malessere che si portava dentro, un disagio e una paura innata che le faceva sempre temere di poter essere abbandonata da un momento all’altro.
“Avevo visto l’impulsività. Avevo visto l’instabilità emotiva, la diffusione di identità. Quello che non avevo visto o che in realtà avevo visto ma non ero riuscita a riconoscere erano gli sforzi frenetici per evitare l’abbandono. Come faceva a immaginare che potessimo abbandonarla? Non aveva idea di quanto avessimo bisogno di lei?”. Ora però alla Joan madre rimangono solo un pugno di interrogativi che non avranno mai risposta.
Aveva dato ascolto alla sua improvvisa voglia di diventare madre e c’era riuscita adottandola la sua bambina, senza forse alcuno sforzo, se non quello di essere a casa al momento giusto. Eppure quello che terrorizzava Quintana era una paura che sorgeva da sua madre stessa: e se non avesse sentito il telefono? E se fosse stata fuori casa? Ed ecco allora da dove arrivava tutta quella sete di amore.
“Come poteva anche solo immaginare che non mi sarei presa cura di lei? Un tempo me lo chiedevo. Adesso mi faccio la domanda opposta: come poteva solo immaginare che potessi prendermi cura di lei? Io stessa le apparivo bisognosa di cura. Le apparivo fragile. Era sua o era mia questa ansia?”.
Joan tanto fragile fin da piccola, quando la madre la esortava a metter su peso ma proprio non le riusciva, perché prendersi cura un pò di se stessa era troppo difficile. In Quintana però aveva trovato la possibilità di riscattarsi, di sentirsi finalmente forte, se non per se stessa, almeno per quella piccola creatura che le avevano donato.
“Ora riconosco che si sentiva fragile. Ora riconosco che allora si sentiva come mi sento io adesso”.
Improvvisamente Joan si dichiara stanca di far parte della recita, vuole guardare lo spettacolo, nascosta, non fra il pubblico, non dietro le quinte. Lontana da tutto e da tutti, per poter riprendere fiato...forse...e poi tentare in qualche modo di sopravvivere e di “sbiadire, come sbiadiscono le notti azzurre, andarsene come se ne va il fulgore”