Becoming. La mia storia
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Diventare!
Non amo leggere le biografie, anzi, ne ho lette veramente poche, ma fin da quando è uscito, questo libro ha suscitato il mio interesse. Perchè è la storia della prima coppia che governa gli Stati Uniti ad essere di colore; è la storia di una donna e io avevo bisogno di leggere un libro scritto da una donna e che parli di donne; perchè Michelle Obama ha un sorriso contagioso, ma ben altro si cela dietro alle immagini rese pubbliche. E poi, perchè avevo bisogno di dedicarmi ad una storia di vittoria, sommersi dalle tante sconfitte a cui siamo ormai abituati quotidianamente.
E’ una storia che diventa la storia di tutti noi.
Il libro si divide nei seguenti capitoli: “Come sono diventata me stessa”, “Come siamo diventati noi stessi”, “Come siamo diventati qualcosa di più”. Di politica se ne parla davvero poco: si, qualche accenno alla corsa alla Casa Bianca di Barack, quali sono stati gli interventi operati dalla stessa Michelle, in qualità di First Lady. Ma ciò che rapisce di questa biografia è leggere di una bambina cresciuta giocando con le bambole e ammirando perdutamente il fratello maggiore, Craig. E‘ una bambina che si ritrova a vivere negli anni Settanta, negli Stati Uniti, senza sapere ancora cosa significhi avere “la pelle di un colore diverso dal bianco”. Michelle cresce amata e protetta dalla sua famiglia, dal padre che vive quotidianamente una dolorosa lotta con un male incurabile ma non si arrende mai, non esita e non permette ai figli di trascurarsi per lui.
“Mia madre e mio padre non avevano ancora quarantacinque anni, erano sposati da quasi venti. Nessuno di loro aveva mai fatto una vacanza in Europa,. Non andavano mai in spiaggia o a cena fuori. Non possedevano una casa. Eravamo noi il loro investimento, io e Craig. Ogni cosa era per noi”.
La piccola Michelle comincia a comprendere la situazione quando a scuola, la sua classe diventa sempre meno frequentata “da bianchi”, quando dal suo quartiere le famiglie se ne vanno e chi vi rimane sono perlopiù persone “di colore”, di etnie diverse.
Non è solo leggere la biografia di una donna, della moglie di Barack Obama, ma è leggere la biografia di un’intera generazione che è costretta a vivere la brutalità della stupidità delle differenze razziali.
“Se alle superiori mi sembrava di rappresentare il mio quartiere, a Princeton rappresentavo la mia razza. Ogni volta che parlavo in classe facevo bene un esame, speravo dentro di me di contribuire a una causa più alta”.
La seconda parte mi rapisce ancor di più: Michelle è una donna risoluta, ha le sue idee, il suo carattere e la voglia di non smettere mai di “diventare”.
“Quando credevo di avere una buona idea, non mi piaceva sentirmi dire di no”.
Nella seconda parte del testo entra in scena un ragazzo che partecipa ad uno stage estivo nello studio di avvocati in cui lavora Michelle.
“La sua biografia diceva che era originario delle Hawaii, il che, almeno, lo rendeva un imbranato piuttosto esotico”. Tra inviti a pranzo, gelati offerti, tra discussioni a lavoro e dibattiti, nasce questa bella storia d’amore tra Michelle e Barack: un amore non perfetto, non idilliaco, non sereno...non facile.
Andando avanti nella terza parte si assiste alla enorme difficoltà di far coincidere la voglia di Michelle di creare una famiglia con la voglia di Barack di dedicarsi pienamente alle campagne elettorali. Lavori desiderati, orari impossibili, appuntamenti mancati, cene in attesa di essere mangiate nel cuore della notte...e poi il desiderio di avere figli, gli insuccessi di poter creare davvero una famiglia, i litigi ma anche la nascita di due bambine.
Tutto comincia dalla gelateria “Baskin-Robbins nell’isolato accanto al condominio di Barack (...) Eravamo vicini, con le ginocchia raccolte (...) Mi guardava incuriosito con l’ombra di un sorriso. Posso darti un bacio? chiese. Io mi piegai verso di lui e tutto fu chiaro”.
Poi la terza parte: quella in cui penso di lasciare la lettura perchè “tanto lo so che è diventata la First Lady e tutto andrà bene”. Ma la storia di Michelle mi appassiona: un pò complice il fatto che finalmente si può leggere la verità sulla condizione di essere “la moglie del presidente degli Stati Uniti”, con tutti i risvolti positivi, certo, ma anche e soprattutto quelli negativi. Anche in questa situazione Michelle ha saputo rispondere prontamente, come donna, madre, come moglie e First Lady. Ha imparato a conoscere l’uomo di cui si è innamorata e tutt’oggi continua a conoscerlo. E ci ha fatto incontrare quel presidente dal bel sorriso, dalla voce pacata, dal suo modo di essere sportivo ma impariamo anche a vedere un uomo che “ogni volta che arriva in una casa affittata alle Hawaii o a Martha’s Vineyard, Barack parte alla ricerca di una stanza vuota che possa diventare il suo Buco per la vacanza. Lì può saltabeccare tra i sei e i sette libri che legge contemporaneamente e sbattere sul pavimento i giornali”.
Michelle è stata in grado, nonostante le prime, grandissime difficoltà a cui il marito, divenendo presidente ha sottoposto tutta la famiglia, a mantenere salda la loro unione, a creare sempre e comunque spazi intoccabili specialmente per le due figlie che sono cresciute e diventate donne durante gli otto anni di presidenza Obama.
“Adesso abitavamo alla Casa Bianca. Pian piano cominciavo a sentirla familiare, non perchè mi sarei mai abituata alla vastità del luogo o all’opulenza dello stile di vita, ma perchè era il posto in cui dormiva, mangiava, rideva e viveva la mia famiglia”.
Ho apprezzato molto questa lettura, mi sono davvero appassionata nel leggere di questa donna che ha combattuto fin da bambina, così come da giovane adulta, da moglie, da mamma, da First Lady per non essere mai privata del suo vero io; non è stata disposta a lasciare il lavoro per correre dietro alle peripezie politiche del marito; ha corretto il correggibile, ha sostenuto moralmente l’uomo che ama, ma ha sempre dato tutta se stessa anche per proteggere la sua integrità e quelle delle sue bambine.
“Io ero stata fortunata ad avere genitori, insegnanti e mentori che mi avevano trasmesso un messaggio semplice e coerente: tu sei importante. Da adulta volevo trasmettere queste parole alla nuova generazione. Era il messaggio che davo alle mie figlie che avevano la fortuna di vederlo ribadito ogni giorno dalla loro scuola (...) ed ero determinata a comunicarlo nel modo più adatto a ogni giovane che incontravo”.