Appunti di un giovane medico
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Recensione
Mi soffermo su "MORFINA" di Michail Bulgakov, racconto inserito all'interno di "Appunti di un giovane medico" ma che io ho letto singolarmente in un libro pubblicato per il Sole 24 ore (I libri della domenica). – Bello e terribile. “Andateci piano con i cristalli bianchi, solubili in venticinque parti d’acqua. Io sono ricorso troppe volte a loro, e quelli mi hanno rovinato”. Ebbene sì, Bulgakov era un morfinomane! O per lo meno lo è stato per un periodo della sua vita. Quando lo scoprii, durante i miei studi universitari, ne rimasi sbalordita anche perché la genesi del lungo travaglio è legata ad un particolare episodio della sua vita. Nel 1917, mentre esercitava la professione di medico, Bulgakov succhiò, attraverso una cannula le membrane difteriche, dalla gola di un bambino malato e si ammalò; per lenire i dolori si fece fare iniezioni di morfina e ne rimase stregato. Lo splendido racconto “Morfina”, scritto nel 1927, è il riflesso di questa sua esperienza da tossicomane. Il ritmo del racconto è incalzante, quasi febbrile. Si tratta del diario, o meglio “l’anamnesi di una malattia”, del giovane medico suicida Sergei Poljakov. Il fatto di essere dottore ha permesso a Bulgakov di descrivere con precisione scientifica gli effetti dell’uso e soprattutto dell’abuso del “demone in flacone”. All’inizio del diario c’è, da parte del protagonista, una sorta di compiacimento ed entusiasmo. “Non posso esimermi dall’elogiare chi per la prima volta ha estratto morfina dai fiori di papavero. E’ un autentico benefattore dell’umanità”.
Con il passare dei mesi il giovane medico viene fagocitato in un vortice agghiacciante fatto di brividi, rabbia, menzogne, visioni, paura e dolore fino ad arrivare alla consapevolezza di essersi completamente avvelenato. “…Non è più essere umano. E’ come spento. E’ un cadavere ambulante che soffre e si tormenta. Non desidera nient’altro, non pensa a nient’altro che non sia la morfina. Morfina!”, scrive il medico. Da parte dello scrittore Michail Bulgokav non c’è giudizio morale ma solo la limpida e accorata descrizione di un viaggio negli abissi da cui il protagonista non riesce a risorgere. Il protagonista infatti non riesce a separarsi dall’idolo di cristallo solubile. La vita di Poljakov è in frantumi, così come i pensieri e le frasi che annota sul diario; un diario da cui strappa le pagine fino a quando, completamente annientato, deciderà di strappare esso stesso dalla vita. “Il mondo non mi serve, come, del resto, io non servo a lui”.
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Scienza e fantasia.
Sono di fronte ad un altro scritto di questo autore e al solito sono rimasta molto soddisfatta. Piccola panoramica su questo caro signore: Michail Afanas'evi? Bulgakov nasce il 15 maggio 1891 a Kiev e muore il 10 marzo 1940 a Mosca. Nel 1916 si laurea in medicina e viene subito spedito a Nikol'skoe nel governatorato di Smolensk, come dirigente medico dell'ospedale del circondariato. In questo periodo scrive "Appunti di un giovane medico" ma pare che sia piuttosto una cosa postuma, visto che tra visite e operazioni (come lui racconta), non dovrebbe aver avuto troppo tempo per dedicarsi alla narrazione. Dopo aver aperto uno studio di dermatosifilopatologia a Kiev (siamo nel 1918), assiste a diversi sovvertimenti politici ed eccoci qui che abbandona la carriera medica [dice che come pubblico ufficiale fosse troppo soggetto al potere politico]. Il resto poco ci interessa (vabè, Stalin lo apprezzava ma non voleva che uscisse la territorio russo nemmeno per andare dai fratelli in Francia), almeno ai fini della comprensione di questo libro.
Questo libro è una sorta di autobiografia in 7 racconti. Per l'appunto, il protagonista è un giovane medico (Bomgard) che viene mandato in un ospedale sperduto a svolgere tutte le mansioni possibili immaginabili, con l'aiuto di pochi infermieri e altri figure professionali. Il celebre racconto che si può facilmente trovare anche pubblicato singolarmente, è "Morfina". Pare che lui stesso sia stato per un periodo un morfinomane ma non ho trovato nulla che confermasse effettivamente questo dato.
Comunque, li ho apprezzati tutti questi "capitoletti", ti catapultano nel mondo ospedaliero caotico e ricco di imprevisti. Quando si arriva a leggere "La tormenta", ci si sente quasi i brividi di gelo sulla schiena e con un po' di fantasia, si potrebbe sentire anche l'ululare del vento al di là delle finestre. Si prova tutto con questo libro: la paura di un medico inesperto faccia a faccia con la cruda realtà dell'ospedale di campagna, il freddo e la solitudine di stare in un posto isolato dal mondo dalla neve gelida, per poi finire con la tranquillità che l'esperienza porta con sé e la terribile storia di una dipendenza senza via d'uscita. Ovviamente non è il protagonista ad essere morfinomane, ma un altro medico suo ex compagno di studi, ma non voglio rovinarvi niente. ;)
Non mi soffermerò a dire altro.
Lettura scorrevole e piacevole, adatta anche a lunghi intervalli (il tempo si sa che è quello che è) e consigliato a tutti, medici e non!
Buona lettura.
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Guerra alle “tenebre d’Egitto”
"Insegnami, angolo sperduto! Insegnami silenzio della casa di campagna! Si, un vecchio ambulatorio può raccontare molte cose interessanti a un giovane medico." In queste poche parole Bulgakov sembra racchiudere tutti i dubbi e le paure, le sofferenze e le privazioni, la voglia di imparare di un giovane medico neolaureato che alla sua prima condotta viene mandato in un angolo sperduto di mondo a lottare contro la sua inesperienza e contro l'ignoranza e le superstizioni di persone povere non solo dal punto di vista materiale ma anche e soprattutto culturale. Gente legata a vecchie credenze che si affida più volentieri ai metodi insensati di strambe levatrici, che pensa di risolvere tutti i problemi con le goccine, magari prendendo in una sola volta tutte le dosi di medicinale previste da una lunga cura, o che rinuncia a credere che dietro un semplice mal di gola si nasconda la sifilide. Problemi pratici, reali, delle vere e proprie “tenebre d’Egitto” che si affiancano ai tormenti spirituali ed esistenziali del nostro novello Esculapio. Con il suo solito stile incantevolmente elegante, con il consueto mix di amara dolcezza e frizzante ironia, il Maestro ci rende partecipi della sua esperienza autobiografica come dottore, raccontandola in prima persona ma attraverso una sorta di fantasioso alter ego, il dottor Bomgard. Nove racconti, altrettanti episodi di vita tra bisturi, siringhe, stetoscopi e spaventose tormente di neve. Giunto nell'ospedale rurale sede del suo primo incarico con un bagaglio culturale fatto di sola teoria e zero pratica, Bomgard si trova innanzitutto a dover combattere con il dubbio di non essere all'altezza del compito affidatogli e con la paura di incorrere in errori o di non sapere che pesci prendere davanti a situazioni per lui sconosciute, in un ospedale pieno zeppo di attrezzature mediche di cui non sospettava neanche l'esistenza e con il fantasma di un predecessore capace, brillante e amato dalla gente con cui doversi confrontare. L'inizio sarà duro ma tra amputazioni, tracheotomie, parti complicati il buon dottore saprà cavarsela egregiamente, acquisendo sicurezza e disinvoltura ma rendendosi conto che non ci si può mai adagiare sugli allori perché non si sa mai cosa può riservare il prossimo paziente. Non si smette mai d’imparare, e per imparare bisogna continuamente leggere e studiare. Bellissima l’immagine che Bulgakov ci regala alla fine del quinto racconto: mentre fuori impazza la guerra, Bomgard armato di spada, o forse di uno stetoscopio, con la sua armata in camice bianco formata da lui e dai suoi tre collaboratori avanza incontro al nemico per combattere la sua personale battaglia contro le tenebre d’Egitto.