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"La sera la mamma mi domandò che cosa avevo fatto durante il giorno. Le raccontai che ero stato insieme ai ragazzi più grandi. Mi domandò se mi prendevano così senz'altro con loro e io le spiegai che ora sì, mi prendevano con loro, perché avevo superato la prova. Ero stato all'osservatorio. Lei mi domandò che cos'era, un osservatorio. Risposi che lo sapeva benissimo, che lì c'erano i cadaveri e che sapeva anche benissimo che mio padre era stato gettato sopra gli altri cadaveri e che non aveva neppure un lenzuolo e io avevo detto ai bambini che ne aveva sì uno, mentre avevo visto benissimo che non ne aveva."



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Anni d'infanzia 2014-10-31 14:16:22 SARY
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SARY Opinione inserita da SARY    31 Ottobre, 2014
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Infanzia violata

Il protagonista è Jona Oberski, un bambino rinchiuso in un campo di concentramento in Olanda durante la seconda guerra mondiale. Questo libricino non è un’opera di fantasia, bensì è autobiografico, una testimonianza autentica, i ricordi dell’allora bambino sono memoria storica. Un’infanzia violata, episodi traumatici relegati in angoli remoti della mente, fatti di cui l’essere umano mai avrebbe dovuto rendersi protagonista, scene che dovrebbero solo scorrere in un film horror. Ci sono voluti anni di terapia per far tornare tutto a galla, il risultato è un pezzetto di storia sofferente. Un riassunto della sua esperienza e della di lui famiglia di origine; in fondo al libricino Jona ringrazia la famiglia adottiva, la convivenza con una vittima sopravvissuta all’orrore è ben lontana dall’essere semplice, lui stesso lo ammette.
In poche pagine si capisce, si coglie e si fa proprio il dolore di questa gente. La normalità, la quotidianità dall’oggi al domani spariscono lasciando il posto all’incertezza e alle privazioni. Svegliarsi la mattina con ancora accanto un genitore è un lusso. Mangiare segretamente gli avanzi nel pentolone è un privilegio. Non vedere il corpo del proprio papà abbandonato nell’obitorio sopra una montagna di carne in putrefazione è fortuna allo stato puro. Urla, spari, gemiti, pianti, silenzio, freddo, paura, puzza, sono il pane quotidiano per chi vive nel campo di concentramento, per chi sopravvive. Poi la salvezza, così improvvisa, così agognata, così in ritardo.
Veloce, breve, intenso, estremamente semplice senza virtuosismi letterari, toccante, genuino, triste, gli occhi di un bambino sono infinitamente strazianti. Il finale uccide le speranze, forse le generazioni successive avranno ricominciato a sognare.
Concludendo, al lettore non resta che ascoltar Jona con la massima attenzione per non dimenticare mai.

“Mi misi a strillare che lei era matta a lasciare che lo buttassero così sugli altri cadaveri senza lenzuolo e che non mi aveva neppure raccontato che era stato portato via dalla baracca dell’infermeria e che io volevo andare almeno a salutarlo un’ultima volta e che lei era stata cattiva e che era colpa sua se era lì così nudo sopra i cadaveri.”

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