Undici solitudini
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Undici vite solitarie
Yates è un autore che non ha certo bisogno di presentazioni anche se forse non ha ancora ottenuto quella notorietà che si merita pienamente. Basta citare “Revolutionary Road”, il suo libro più famoso che così bene ha saputo tratteggiare le (poche) gioie e le tante meschinità della “middle class americana”, di quella piccola borghesia che si ritrova anche in questa serie di undici racconti che narrano di solitudini, di piccole miserie quotidiane. Nella prefazione al libro di Paolo Cognetti è possibile individuare il tema dominante di questi racconti dal forte sapore autobiografico:
"Undici solitudini ritrae allo stesso tempo un'epoca e una condizione universale dell'essere umano. I personaggi di Yates sono uomini immobili nella massa fluttuante, illuminati dall'occhio di bue della scrittura, colti nel momento in cui la solitudine provoca in loro uno scatto: desiderio, violenza, commozione, o solo un piccolo spostamento vitale dopo il quale, probabilmente, torneranno mansueti a occupare il loro posto".
Yates colloca i suoi personaggi all’interno di luoghi assolutamente comuni che fanno parte della vita di tutti: la scuola, il posto di lavoro, l’ospedale o l’esercito. Parte da qui per arrivare direttamente al cuore del lettore con l’intento di inquietarlo, di farlo riflettere su quanto le vite descritte non siano poi così diverse dalle nostre, sul fatto che esattamente come avviene per i suoi personaggi, tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo cercato di risollevarci, di uscire dal fango, con esiti non necessariamente positivi.
La solitudine dello studente problematico che non riesce ad integrarsi a scuola, l’incapacità di un’insegnante di farsi amare dai propri studenti perché troppo rigida e seriosa, la frustrazione di un impiegato soffocato dalla routine quotidiana, la tubercolosi che sembra non riservare un futuro di speranza ad un ammalato sono solo alcuni degli esempi di queste solitudini che generano goffi tentativi di ribellione, talvolta sfocianti nella meschinità, destinati a non avere successo od a peggiorare lo stato delle cose. Tra tutte le vite raccontate in poche pagina spicca forse, ancor di più, l’ultimo racconto, “Costruttori”, nel quale l’elemento autobiografico emerge chiaramente ed in cui si incontrano-scontrano diverse tendenze, evidenti in due personaggi antagonisti: da un lato il sogno di vedere pubblicato un racconto col proprio nome, sogno che spinge a espedienti estremi come ricorrere alle prestazioni di altri scrittori a pagamento, dall’altro invece la necessità di sbarcare il lunario aggrappandosi fortemente alla scrittura come ultima risorse per raccimolare pochi denari. In queste pagine si trovano sapienti riflessioni su come può essere considerata la scrittura, paragonabile ad una casa che per forza di cose deve risultare solida, partendo quindi dalle fondamenta per poi creare i muri ed elevarsi fino al tetto. Ma soprattutto occorre chiedersi “Dove sono le finestre?...Da dove entra la luce? Perché capisce che cosa voglio dire quando parlo di luce, Bob, vero? Voglio dire...la filosofia della sua storia, la sua verità”.
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undici racconti
Undici solitudini sono undici racconti in cui il tema comune non è tanto la solitudine nell'accezione che generalmente si dà al termine quanto di mancato incontro con l'altro. In questi racconti i protagonisti si avvicinano, si sfiorano ma poi ognuno procede sul suo binario come treni destinati solo a sfiorarsi. Più che solitudine il tema è la difficoltà a farsi capire o a capire un altra persona o se stesso. Sono racconti in cui il protagonista si allontana o delude l'altro. I temi sono molto diversi: dalla coppia che sta per sposarsi, all'uomo-padre di famiglia che perde il lavoro e decide di non dire nulla alla moglie, al taxista che ingaggia lo scrittore pagandogli 5 dollari ogni racconto. Quest'ultima strana storia sembra autobiografica nella sua singolarità. Non sono storie particolarmente tristi o drammatiche come promette il titolo. Sono più particolari che drammatiche. Secondo me Yates è uno scrittore che rende meglio nei romanzi anche se i racconti sono sicuramente belli. Ha bisogno di tempo e di pagine per farsi capire dal lettore con quella sua strana sensibilità, con quel suo strano modo di vedere le cose.