Troppa felicità
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Storie amare...
I racconti mi sono sempre piaciuti ed ho sempre pensato che scrivere storie brevi (e farlo bene) richieda un talento speciale, perché lo scrittore deve essere in grado, nella breve distanza, di farti provare tutta una serie di emozioni, di colpire il bersaglio al primo colpo...non ha modo di riprovarci, non può sbagliare e poi recuperare.
Non ne ha il tempo.
Spesso, i detrattori del racconto, lamentano quella sensazione di irrisolutezza data da questo tipo di narrativa, quel non riuscire ad "entrare" nella storia o ancora non comprenderne i finali...
Sento spesso dire "ho bisogno di storie ad ampio respiro"...beh, a me, spesso, i racconti, il respiro me lo tolgono!
Il senso di incompiuto che lasciano è una caratteristica tipica di questo tipo di narrazione (vedi Carver, ad esempio ?)...ma io trovo che sia giusto così: il racconto ti fa entrare in un "momento" di una storia che già esisteva e che continuerà ad esistere anche dopo di noi.
A noi solo il privilegio di guardarci dentro per un po'...come una casa lasciata con la finestra aperta: intravedi qualcosa, senti dei discorsi, ma non puoi comprendere tutto fino in fondo.
Io lo vivo così. E mi piace.
Alice Munro scrive racconti bellissimi, ha uno stile asciutto, incisivo, che colpisce duro.
Lei parla soprattutto di donne: donne mamme, donne mogli, donne bambine...donne che devono fare i conti con la violenza, a volte subita, a volte perpetrata, con dolori inaccettabili, con passati che ritornano...
Di sicuro il primo racconto di questo libro "Dimensioni" è stupendo nella sua tragicità, nella sua follia agghiacciante, un pugno nello stomaco...impossibile da dimenticare.
"Bambinate" è un altro racconto che mi ha congelato il sangue nelle vene...perché la cattiveria e la perfidia nei bambini è un qualcosa che mi spiazza, che non riesco proprio a metabolizzare.
In questi due racconti che ho menzionato, la Munro passa, con grande maestria, dal raccontarci di bambini vittime indifese e sacrificali, a bambini carnefici, portatori inconsapevoli del male.
Certo, ci sono anche racconti meno belli, che non mi hanno colpito particolarmente, come "Legna" ad esempio, e come l'ultimo (quello che dà il titolo al libro) che sembra essere scritto da un'altra mano, ma ci può stare...non tutto arriva al cuore con la stessa intensità.
Di sicuro la Munro ci racconta storie amare, dove la disillusione la fa da padrona, dove tutti i protagonisti sono, per un verso o per l'altro, dei sopravvissuti a dei traumi.
Ma resistono.
È stato il mio primo incontro con quest'autrice, e di certo non sarà l'ultimo.
Alla prossima.
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Umani, troppo umani
Di felicità, in questi racconti, sembra davvero essercene ben poca.
Tra separazioni, famiglie troppo larghe, omicidi e suicidi, la Munro dipinge un affresco di una società tranquillamente triste.
Non c’è spazio per la depressione teatrale, per la follia omicida sbandierata o per simili esternazioni.
I personaggi spesso vivono la loro tristezza in modo riservato, senza neppure dover fare lo sforzo di trattenersi, sembra proprio che nulla, né in loro né nell’ambiente che li circonda, li spinga ad aprirsi, a manifestare i loro segreti e le loro solitudini, silenziosamente sofferte.
Questa presentazione non deve far pensare ad un libro deprimente, in quanto l’autrice riesce con grande maestria a farci percepire il realismo verista di queste vicende, senza tuttavia scaricare sul lettore la negatività dei personaggi, alle cui vite sembra di assistere per caso, non visti, come spiando dalla serratura.
Quindi fatevi tentare dalla curiosità, ficcate il naso nelle vicende altrui, ammirate il quadro che Alice Munro dipinge lentamente per voi, tenendovi per mano mentre costruisce vari racconti, brevi e meno brevi.
Come le sapienti pennellate di un grande artista, ogni racconto potrà concludersi in maniera serena, in linea con la narrazione, oppure con un’imprevisto sbaffo artistico che saprà sorprendervi.
Gli ultimi tocchi saranno dati dal racconto eponimo, una curiosa biografia di un personaggio particolare, una matematica russa vissuta alla fine del diciannovesimo secolo.
Forse l’unica, nella raccolta, a godere di vera felicità. Magari troppa.
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Troppo umani, troppo veri
A volte la scrittura è l’elaborazione di un dolore proprio o altrui da cui lo scrittore riesce a prendere le distanze, trasformandolo in frutto prelibato.
E' il caso di questa raccolta di racconti, piccolo gioiello della letteratura contemporanea in cui la perfezione dello stile - serio o scanzonato in varie modulazioni - si adatta a personaggi e situazioni come un abito dal taglio impeccabile.
Intensa la prima storia, quanto può esserlo quella di una donna annientata, madre di tre bambini uccisi dal loro stesso padre.
Sorprende lo sviluppo emozionante e paradossale della trama, spiazzano le parole del genitore assassino, il suo amore per i figli, le agghiaccianti, struggenti certezze di chi ha toccato il fondo:
“Il Paradiso esiste. Ho visto i bambini. Li ho visti e ho parlato con loro”.
La fine del racconto chiude in qualche modo un cerchio doloroso, ma eccone un altro, ecco un’altra esistenza che si dispiega sotto gli occhi del lettore che a poco a poco scopre pensieri, emozioni, errori contro cui è impossibile puntare il dito: troppo umani, troppo veri.
C'è la donna che lasciata dal marito guarda avanti senza rancore verso un nuovo inizio e quella che con un po' di vergogna si scopre nel ruolo “dell'amante giovane, della spensierata rovinafamiglie”, mentre il destino riserva qualche imprevisto.
Magistralmente costruita la cronaca del delitto perfetto che non ti aspetti, consumato da due bambine spinte da un odio inesorabile (“...il culmine esistenziale del nostro essere noi”), e di grande impatto il confine tra la vita e la morte, tratteggiato con sfumature delicate che sfociano quasi nel surreale: la vita che se ne va con un senso di vertigine, la morte che arriva in punta di piedi rendendo vana ogni cosa terrena.
L’ultimo racconto - quello che dà il titolo alla raccolta - possiede la grazia delle atmosfere dei grandi classici russi ed è un omaggio a Sof’ja Kovaleskaja, brillante matematica vissuta a fine Ottocento.
Un'intelligenza fuori dal comune, un amante invidioso dei suoi successi (ma in cui lei si ostina a credere), qualche amico sincero, un’immensa voglia d’amore, di libertà, di vita.
“Troppa felicità” - sembra siano state le sue ultime parole - estremo luccichio di una stella solitaria.
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troppa felicità
Troppa felicità è il titolo della raccolta di racconti scritti da Alice Munro.
Il titolo è in pieno contrasto con le storie, che appaiono a tratti violente (faccio riferimento soprattutto al primo racconto DIMENSIONI) e difficili da digerire velocemente.
Mi sono immersa nei 10 racconti, ognuno dei quali può assumere la pienezza di un libro a se stante e dietro ai quali ci si deve soffermare, prima di passare al successivo.
Le storie non appaiono mai banali, grazie ai personaggi che la scrittrice ci dona. Personaggi perfettamente costruiti nel senso che possiamo comprenderne la loro psicologia, la loro storia e il loro universo, leggendo di loro esclusivamente nel lasso temporale in cui il racconto si svolge e dei flash back dei protagonisti che per lo più rivivono momenti passati della loro vita.
Il lato di "positività" sta nel fievole speranza di poter riemergere dalle situazioni difficili che la vita ci impone, di come la cruda realtà possa essere accettata e vissuta. Un libro malinconico e di sentimenti difficili, ma che non può che essere apprezzato perché al vita reale è anche questo.
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in fuga
straordinaria scrittura, ricorda a tratti quella della v. woolf.
in ogni racconto sono protagoniste figure femminili con tutte le loro incertezze, i loro desideri, aspettative, disillusioni e illusioni, dolori e passioni, ma soprattutto ognuna di loro in un modo o in un altro tenta una fuga dalla realtà che vive.
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Troppa felicità
Ho letto il libro senza sapere niente dell'autrice. Appare una scrittura limpida, fresca, immediata. Poi scopro che Alice Munro ha compiuto 80 anni e la mia percezione si modifica. Perchè questo stile diventa quello di una scrittrice superiore rispetto al lettore, di un'autrice in terza persona che osserva i protagonisti delle sue storie, mostrandoli nella loro cruda troppa felicità. Impressionanti alcune storie, come la prima Dimensioni, un uomo uccide i suoi tre figli per mostrare alla moglie quanto male ha fatto il suo abbandono.