Non sono venuto a far discorsi
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Un artigiano della cultura
“Non sono venuto a far discorsi” è una raccolta di scritti selezionati dall’autore stesso, che raccontano la vita di un uomo, un grande uomo. Si parte dal lontano 1944 fino al 2007.
“Ci sono due cose che mi ero ripromesso di non fare mai: ricevere un premio e tenere un discorso”.
Un Marquez personale, sincero e ironico, che nella sua avversione ai discorsi e ai premi ci racconta la sua vera natura.
Sono molti i temi toccati dall’autore, da quanto nel lontano 1944 fece, a diciassette anni, il suo primo discorso. Si parla di cultura, di politica, di amore per un paese che l’ha accolto e un altro che l’ha generato, di amicizia e di temi di attualità.
Una serie di discordi che ripercorrono una vita e ne affrontano le varie tappe salienti come il discorso tenuto in Svezia per il ritiro del Nobel e quello dedicato ai giornalisti. Marquez ci racconta le sue verità, i suoi aneddoti e come è nata la sua passione per la scrittura. Tra le altre cose anche uno spaccato del suo quotidiano e la sua fortuna con il libro “Cent’anni di solitudine”.
Potrei continuare ancora, ma quello che voglio far capire è che questo è un libro che va letto, non solo per gli amanti dell’autore, che così avranno la possibilità di conoscere un Marquez più intimo, ma anche per gli altri, perché davanti si troveranno gli scritti di un uomo che non ha avuto paura di dire la sua verità, anche se poteva essere una verità scomoda.
Un Marquez brillante, che con il passare degli anni (e quindi dei discorsi) cambia e si evolve. L’ho trovato sincero, ironico, serio nei momenti giusti e diretto quando c’era bisogno di una scossa. Vi lascio con qualche estratto:
“E questo mi consente di dirvi una cosa che posso sapere solo adesso, dopo aver pubblicato cinque libri: il mestiere dello scrittore è forse l’unico che diventa più difficile quanto più lo si pratica. La facilità con cui mi sedetti una sera a scrivere quel racconto non può essere paragonata alla fatica che mi costa adesso riempire una pagina”.
“In realtà, l’utilizzo professionale ed etico del registratore è ancora da inventare. Qualcuno dovrebbe insegnare ai giornalisti che non è un sostituto della memoria, ma un’evoluzione dell’umile blocco per gli appunti che ha prestato così buon servizio alle origini del mestiere. Il registratore sente ma non ascolta, registra ma non pensa, è fedele ma non ha cuore, e alla fine dei conti la sua versione letterale non sarà altrettanto affidabile di quella di chi fa attenzione alle parole vive dell’interlocutore, le valuta con la sua intelligenza e le giudica con la sua morale”.
Buona lettura!!!