La morte della Pizia
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Ordine e Caos
Secondo appuntamento con Dürrenmatt, seconda lettura folgorante.
Dopo “La panne”, “La morte della Pizia" è stata una lettura che, seppur molto diversa nella tipologia di contenuti, si è rivelata anch’essa molto densa a dispetto della sua brevità.
Protagonista di questo racconto è la Pizia Pannychis, sacerdotessa che proclama i suoi oracoli a chiunque sia disposto a pagarne il prezzo. Col passare degli anni, tuttavia, Pannychis diventa indolente, nervosa, e ormai pronunzia le sue profezie praticamente a caso, il più delle volte prospettando a chi la interroga eventi nefasti che farebbero impallidire il più temerario degli uomini.
È proprio questo il destino che viene riservato a Edipo, famigerato eroe greco famoso soprattutto per il complesso psicoanalitico a cui dà il nome e che si riferisce agli spaventosi eventi di cui sarà protagonista, profetizzati proprio dalla Pizia. Pannychis infatti, quando Edipo si presenterà al suo cospetto per chiedere lumi riguardo a chi siano i suoi veri genitori, gli rivelerà del parricidio di cui sarà artefice e del conseguente matrimonio incestuoso con sua madre. Una rivelazione che lascia Edipo devastato, ma che la Pizia ha pronunciato senza che avesse nulla di fondato: semplice capriccio scaturito da una giornata in cui si sentiva particolarmente infastidita e che l’ha spinta a dar sfogo a una crudeltà senza ragione. Di Edipo, infatti, dimenticherà subito l’esistenza e fino al giorno della propria morte non saprà che quell’improbabile oracolo si sarà avverato per filo e per segno, con la collaborazione involontaria dell’indovino Tiresia. Sarà proprio con Tiresia che, nel giorno della sua morte, la Pizia proverà a scoprire la verità sui modi in cui il destino di Edipo si è compiuto, ed è proprio qui che la bellezza del racconto di Dürrenmatt si palesa al lettore.
Lo scrittore svizzero scimmiotta la mitologia greca senza ritegno, volendo quasi equipararla alla ridicolaggine di una soap opera e risultando comunque credibile. Ogni personaggio fornirà infatti la sua verità in pura salsa greca, e un lettore non particolarmente erudito riguardo alla mitologia non potrà mai scegliere quale delle storie corrisponda a “verità”, perché i diversi destini di Edipo potrebbero tutti tranquillamente farne parte. Ma non è questa la parte più interessante del racconto. Quel che più colpisce è infatti l’accento che Dürrenmatt pone sulla lotta tra l’ordine, rappresentato da Tiresia, e il caos rappresentato dalla Pizia. È proprio questo conflitto a porsi al centro del racconto e il destino di Edipo non è altro che un mezzo per sviscerarlo e scovare un vincitore. La preferenza di Dürrenmatt sembra piuttosto evidente, considerato che la personificazione del disordine è una sacerdotessa assolutamente odiosa e insensata, mentre quella della ragione è il saggio (e a volte subdolo) Tiresia, eppure i fatti raccontatici dall’autore ci lasciano intendere che è il caos ad avere la meglio: nonostante l’assurdità dell’oracolo pronunziato da Pannychis è proprio quest’ultimo ad avverarsi, e gli sforzi di Tiresia per mettere ordine non fanno altro che mettersi involontariamente al servizio del suo acerrimo nemico e concorrere all’effettivo accadimento degli eventi che cercavano di prevenire.
Gli uomini brancolano nel buio, ci dice Dürrenmatt, e a nulla valgono i loro sforzi per influenzare gli eventi che gli travolgono la vita. Alcuni uomini comprendono l’inutilità dei propri tentativi per cambiare il mondo e lo accettano così com’è, altri continuano imperterriti a inseguire i propri sogni utopistici. Chi ha ragione? Come dicevo, Dürrenmatt sembra darci una risposta, ma lascia comunque uno spiraglio verso una realtà in cui questa possa non essere definitiva.
“«Pannychis», disse Tiresia in tono paterno «solo la non conoscenza del futuro ci rende sopportabile il presente. Mi sono sempre stupito e continuo a stupirmi immensamente che gli uomini siano tanto smaniosi di conoscere il futuro. Sembra quasi che preferiscano l’infelicità alla felicità.»”
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Il principio di indeterminazione di Dürrenmatt
Una delle mie passioni proibite e segrete è la fisica. Da buon studente di liceo classico, non ne sapevo molto, ma la dura legge dell’università mi ha costretto a compensare le lacune. Uno dei principi più affascinanti, almeno concettualmente, e che è oggi uno dei fondamenti della meccanica quantistica, è quello di indeterminazione di Heisenberg. Detto in maniera semplice, non siamo in grado di misurare contemporaneamente e con precisione la posizione di una particella e la sua velocità, perché per sapere dove si trova, devo illuminarla sempre di più e quanta più luce uso per osservarla, tanto più energia conferirà alla particella, che cambierà continuamente la propria velocità. E questo equivale a dire che su ogni evento, l’occhio dello scienziato-spettatore non è neutro, ma esercita continuamente un’influenza. Che, traduciamo ancora, ci ricorda (lo cito sempre, ma è uno dei principi cardine del Novecento) che il fatto è stupido e tutto è interpretazione. E, ancora in altri termini, che non c’è interpretazione senza indeterminazione, piccola o grande che sia.
A ben vedere questo brillante racconto di Dürrenmatt è tutto in questo, nell’incapacità di determinare con assoluta precisione la verità, perché tanto più la si illumina, tanto maggiore sarà l’ombra che su di essa si stende. In questo senso la realtà si trasforma in un ginepraio sempre più fitto, un cubo di Rubik che si risolve e disfa in continuazione. È una vecchia Pizia, smaliziata e cinica, limpida e pungente, a tentare di dipanare la coltre di nebbia che circonda il celebre mito tebano: Edipo, figlio di Laio, uccide il padre e sposa la madre; lei si impicca e lui si acceca. Eppure stavolta ogni personaggio in gioco (Edipo, Laio, Giocasta, Tiresia, la Sfinge) concede la propria testimonianza e ogni volta la storia si crea e disfa senza che sia possibile stabilire la verità, in un gioco di affermazioni, negazioni e ritrattazioni che hanno il ritmo seducente della vertigine. E quello che è ancora più divertente, è che comunque vada la storia, tra figli doppi e amanti e uomini evirati, la profezia che una vecchia Pizia ha snocciolato solo per soldi e per stupire con l’inverosimile, si avvera. E qui Dürrenmatt costruisce un curioso cortocircuito: se il mondo è figlio del caso e quello che accade è solo una delle infinite possibilità, com’è possibile che la Pizia, parlando a caso, abbia azzeccato? Ecco in fondo questo cortocircuito quasi si scopre un’identità: parlare a caso del caso può anche finire per essere una predizione. È che la verità è negli occhi di chi guarda, perché non esistono sguardi oggettivi. E così l’arte più sacra della Grecia, tanto più sacra perché sempre accompagna da una menomazione (la cecità di Tiresia, l’impossibilità di essere creduta di Cassandra), fa da controcanto e amplificatore a questo intrico impossibile. Di lato le consuete stilettate contro i totalitarismi e l’incredulità rispetto alla giustizia, ma certo quello che resta più godibile è lo stile frizzante, il senso brioso del ritmo, l’ispirazione geniale nella massima condensazione: è il principio di indeterminazione di Dürrenmatt.
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Reazione a catena
Chi, leggendo di oracoli nell’antica Grecia, ha immaginato la Pizia come un’austera sacerdotessa, che profetizza con solennità e presunta ispirazione divina, strenuamente convinta delle proprie capacità divinatorie, troverà sorprendente e curiosamente moderna la versione rappresentatane da Friedrich Durrenmatt in questo ennesimo gioiellino letterario.
Pannychis XI è una vecchia signora dalla battuta insolente, che si cucina semolino e per vivere improvvisa oracoli a casaccio, a volte seguendo le indicazioni del gran sacerdote, comprate dai potenti per alimentare intrighi politici e manipolare il destino, a volte inventando con fantasia e capriccio, facendosi beffe di creduloni e devoti. Una vecchia signora che un giorno volle fare uno scherzo mostruoso a un pallido giovane claudicante, Edipo, e alla sua incrollabile fiducia negli oracoli, pronunciando una profezia che più insensata e inverosimile non poteva essere. Una profezia che finì per scatenare una reazione a catena di imprevedibili eventi, diventando verità.
Ma cosa è la verità? Se lo chiede la Pizia, ormai prossima alla morte. E per rispondere a questo interrogativo universale sfilano davanti a lei le ombre di tutti i protagonisti di questa storia - Tiresia, Laio, Edipo, Giocasta, Sfinge - tutti a raccontare la loro verità, tutti a raccontare le loro menzogne. E il mito si frantuma e si stravolge ogni volta, piegandosi alla loro interpretazione, alle loro spiegazioni, alle loro smentite, per ricostruirsi ogni volta in una verità ironicamente sempre diversa eppure sempre uguale.
“Non esistono storie irrilevanti. Tutto è connesso con tutto. Dovunque si cambi qualcosa, il cambiamento riguarda il tutto. Perché, Pannychis, con il tuo oracolo hai inventato la verità!”
Ad ogni indagine e a ogni domanda la storia cambia volto perché forse - come dice Tiresia - la verità resiste solo se non la si tormenta con le umane pretese di capire, di ordinare, o addirittura di arginare gli eventi. Quelli che ci propone Durrenmatt sono enigmatici quesiti e profonde riflessioni che non abbandoneranno il lettore alla fine dell’ultima pagina, perché la sensazione è che in questo intricato groviglio di casualità, eventi e interconnessioni, è solo questo che possiamo avere. Il dubbio.
“Il tuo improbabilissimo responso si è avverato, mentre sono finiti in niente i miei responsi così probabili e dati ragionevolmente con l’intento di far politica, e cambiare il mondo, e renderlo più ragionevole”.
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I limiti della verità
La materia mitologica si fa plasmare docile e mansueta dalle mani di un genio quale lo svizzero Dürrenmatt ne “La morte della Pizia”, in scena è il mito di Edipo, generato per assurdo dalla noia di una stizzita sacerdotessa di Delfi, Pannychis XI, che in un momento di incuria totale butta lì una profezia insensata oltre che inverosimile: Edipo ucciderà il padre e giacerà con la madre generando una progenie infelice. È vecchia la Pizia, si trascina stanca e disgustata: la società si nutre di “insulse leggende”, gli oracoli sono al servizio del potere e si fanno pagare profumatamente. Quando Edipo, da pallido giovanotto quale era, torna al suo cospetto ormai cieco e ramingo lei non lo ricorda, al sapere dell’avverarsi della profezia scoppia a ridere anche se si insinua in lei il sospetto che “non tutto ciò che era accaduto poteva essere considerato frutto del caso”… Intanto, davanti agli occhi chiusi della Pizia, tornano ad uno ad uno i personaggi che ruotano intorno a questo mito ed ognuno racconta la sua verità: Laio coi suoi dubbi di paternità, Edipo che conosce il nome dei suoi veri genitori, Giocasta che rivela chi è infine il vero padre di Edipo, Tiresia che spiega senza tanti pretesti la sua sete di denaro alimentata da puri bisogni materiali, non ha dubbi poi che “l’insensata fede negli dèi debba essere sfruttata in maniera ragionevole”. E proprio a Tiresia viene affidato il ruolo di rivelatore delle verità che lo svizzero veicola con questa trasposizione mitologica; parla chiaro infatti l’indovino: la gente si nutre di mezze verità le quali poi sono sempre approssimative. “Maledetta imprecisione!”Pensare che da essa può generarsi perfino uno stato totalitario. Una fognatura avrebbe risolto il problema delle pestilenze che si tenta di risolvere a suon di oracoli. Giunge infine la Sfinge che a lungo ha indagato sul perché gli uomini si lascino opprimere, giungendo alla conclusione che a molti piace il quieto vivere. Tiresia dopo alcuni scambi sigla il discorso con lei e con la Pizia affermando l’impossibilità di giungere ad una verità univoca, concetto che sta poi alla base della teoria dell’autore sui limiti della giustizia. Gradevole e imperdibile.
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Eschilo
Edipo...da Sofocle a Dürrenmatt
"Mi sono sempre stupito e continuo a stupirmi immensamente che gli uomini siano tanto smaniosi di conoscere il futuro.
Sembra quasi che preferiscano l'infelicità alla felicità."
In questa frase è racchiuso tutto il senso di questo piccolissimo e irriverente racconto, che da un lato irride e dall'altro esalta i miti greci.
Qui la Pizia Pannychis, sacerdotessa di Apollo che si occupa degli oracoli di Delphi, è un'imbrogliona che usa tutta la sua fantasia per inventare le sue profezie.
È tutto una sorta di business...
Ma poco prima di morire tornano al suo cospetto tutte quelle figure coinvolte nella sua stravagante profezia fatta ad Edipo tanti anni prima: "ucciderai tuo padre e giacerai con tua madre".
Tutto ruota intorno al mito di Edipo, figura che cambia continuamente identità ad ogni nuova rivelazione.
In realtà per poter godere appieno della genialità di questo libro è necessario possedere delle solide conoscenze classiche...che io non ho...e quindi non aspettatevi da parte mia nessuna disamina in merito al mito di Sofocle.
Posso dirvi però che anche chi, come me, non possiede le giuste basi per "capire" fino in fondo tutto il sarcasmo e la voglia di dissacrare la mitologia di Dürrenmatt, potrà apprezzare questa storia intricatissima (e spassosa), che nasconde sotto una feroce ironia, una satira alla società contemporanea e all'utopica ricerca della "verità", unica e sola, dimenticando che non esiste...ma ce ne sono tante, tutte vere e plausibili agli occhi di chi le crea.
È stato il mio primo Dürrenmatt, ma sono convinta di non aver iniziato dal libro giusto, perché per quanto io lo abbia apprezzato, non rientra nella tipologia di lettura che amo.