La lotteria
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Una storia folle, agghiacciante e disturbante
Fin dalle prime pagine si respira un'atmosfera cupa e inquietante, l'autrice è stata molto brava a suscitare nel lettore un senso di smarrimento, di paura e di claustrofobia, non sapevo dove mi avrebbe portato questa storia.
La narratrice del libro è Mary Katherine Blackwood che vive assieme alla sorella Constance e allo zio Julian in una grande casa fuori dalla città di New England.
Mary e Constance seguono una serie di regole, alle sorelle non piacciono i cambiamenti, tutto doveva rimanere al proprio posto e non venire spostato. Costance, cucinava e badava a Julian, lo zio malato e passava molto tempo nel giardino e non usciva mai.
Mary, invece, andava in città solo per delle necessità due volte a settimana, andava a fare la spesa e in biblioteca, ma stava ben lontano dalle persone.
"Gli abitanti del paese ci hanno sempre odiato."(cit)
I Blackwood non usavano la posta, né avevano un telefono non amavano ricevere degli estranei, alcuni conoscenti andavano da loro a fargli visita ma sempre avvisando prima del loro arrivo.
Gli abitanti del paese hanno paura di questa famiglia, li temono e li tengono a distanza.
In questo storia c'era qualcosa di strano fin dal principio, con il passare delle pagine, veniamo a conoscenza che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood che vivevano assieme a Mary, Constance e Julian sono morti avvelenati.
L'arsenico è stato aggiunto allo zucchero, i tre personaggi del libro sono sopravvissuti perché Constance non lo mangiava, Julian ne prendeva sempre poco e Mary era nella sua camera in punizione.
Constance è stata accusata di essere la responsabile del tragico evento che ha portato alla morte, anni prima, di quattro membri della famiglia. Però la ragazza è stata assolta, ma da quel momento in poi ha paura di uscire di casa e rimane barricata nella sua proprietà.
Mary mostra dei segni evidenti di disturbi mentali, la sua follia è lucida per questo è agghiacciante e inquietante leggere questa storia attraverso i suoi occhi. Non ha rimorso, non ama il rumore, gli estranei e chiunque possa minacciare l'equilibrio della sua vita.
"Sui marciapiedi esitavo sempre, sentendomi esposta e vulnerabile mentre il traffico continuava a scorrere."(cit)
Il libro segue la quotidianità di questi tre personaggi fino a che l'arrivo del cugino Charles sconvolgerà le loro vite.
Ho apprezzato lo stile di scrittura dell'autrice, che ha reso l'ambientazione molto vivida, trasmettendoci un forte senso di inquietudine, è una lettura avvincente che mi abbastanza incuriosita.
I personaggi sono davvero particolari, non sapevo fino a che punto si volesse spingere l'autrice, ma si intuisce fin dall'inizio cosa è davvero accaduto agli altri membri della famiglia, quindi questo ha un po' smorzato l' entusiasmo nei confronti di questa lettura.
E' una storia diversa dalle solite, mi sono fatta una serie di domande a cui durante la lettura non ho ricevuto risposta, nonostante il libro sia scorrevole, ci sono dei punti dove il climax non era così alto.
Detto questo però l'autrice rende bene attraverso le sue parole l'atmosfera e il modo di vivere delle due sorelle, folle, agghiacciante, disturbante e credo sia questa la forza del libro più che la trama che ho trovato semplice.
Lo consiglio, ma leggetelo senza alcuna aspettativa altrimenti ne rimarrete delusi, perché molti ne hanno parlato bene ma in fondo la storia è più semplice di quello che potete immaginare.
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Racconti taglienti
Una serie di racconti affilati di cui quello più interessante è certamente quello che dà il titolo alla raccolta, ovvero “La lotteria”. La peculiarità di questo racconto in particolare è il sovvertimento delle aspettative, il cambio di tono che avviene lentamente, sotto traccia, svelando gradualmente al lettore una realtà inizialmente imperscrutabile e che quest’ultimo finirà per afferrare solo un momento prima dello svelamento definitivo, che risulterà comunque scioccante. Mentre all’inizio non si sospetta di nulla, lentamente cominceremo a renderci conto che qualcosa non va: le atmosfere si incupiscono e le vicende prendono una tinta macabra. Ed è probabilmente questo l’effetto che Shirley Jackson ha voluto generare con questi suoi brevissimi racconti: disorientamento, shock, inquietudine; riuscendoci oltretutto con una gran quantità di dialoghi e pochissima narrazione.
L’effetto si ripete anche nel secondo racconto, “Lo sposo”, che ci immerge nella stranissima situazione della protagonista: una donna che nel giorno del suo matrimonio attende con ansia (probabilmente arricchita da qualche sfumatura patologica) l’arrivo del suo sposo, che tuttavia non darà il minimo segnale di vita. L’attesa nel suo appartamento comincia a farsi snervante e i già strani comportamenti della donna cominciano a farsi piuttosto inquietanti, tanto da condurla a una sorta di indagine che la porterà a un’ambigua scoperta, magari non del tutto veritiera.
Sono probabilmente i primi due racconti quelli davvero interessanti, in cui lo stile della Jackson si mostra in grande spolvero, riuscendo in un numero limitatissimo di pagine a suscitare una vasta gamma di emozioni, tendenti soprattutto all’inquietudine e al disorientamento.
Da leggere, considerato anche l’esiguo quantitativo di tempo necessario.
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Belli!
Questi racconti sono intensi e catturano il lettore soprattutto perchè lasciano respirare le emozioni: la paura e la tensione nel primo La lotteria, l'ansia e il presentimento di quello che sarà nello sposo, la vaghezza alienante nel colloquio e infine la violenza mascherata nel fantoccio. In tutti i 4 racconti c'è l'attesa di qualcosa di negativo che pervade anche i momenti gioiosi (lo sposo, la lotteria). Il tipo di vincita che si può ricavare dalla lotteria di questo mondo è sempre uguale, perciò c'è l'ansia per un certo tipo di evento negativo. Anche se il racconto famoso tra i quattro è la lotteria per il clima dark, percepibile fin dai primi momenti della famosa estrazione, io preferisco l'ultimo Il fantoccio. La delicatezza della scena finale e lo schiaffo inaspettato mi sono piaciuti moltissimo. Come pure il senso di ineluttabilità e la delicatezza della ragazza con il vestito verde. Mi è piaciuta anche la porta chiusa nel palazzo dove lo sposo ha portato il suo bouquet festoso.
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Tecnica raffinata, gusto da educare
Mi è capitato, non troppo tempo fa, di cenare in un ristorante di quelli da guida Michelin, con l’atmosfera giusta, la cucina raffinata, l’equilibrio dei sapori, assaggiando piatti costruiti con logica, dai tratti puliti e lineari: una cucina che manca del gusto pieno di certi classici che mangiamo ogni giorno e per apprezzare la quale serve forse un’educazione del palato al gusto. In una parola, un piacere più intellettuale che fisico. Leggendo questa breve raccolta di Shirley Jackson ho avuto la stessa sensazione: una scrittura molto raffinato nascosta dietro un’apparente semplicità, in cui atmosfere quasi bucoliche o serene si striano a poco a poco di elementi insoliti, allusioni, tentennamenti; può essere una bottiglia di latte lasciata di fronte a un porta a un’ora strana, un cumulo di pietre in una piazza centrale, un vestito troppo verde per un certo ristorante: elementi quasi banali che si caricano però, strato dopo strato, di un preciso significato e che diventano alla fine simboli così pregnanti da svoltare totalmente il racconto. C’è davvero molta tecnica nella Jackson, autrice eccentrica che amava definirsi “strega”, lei che credeva nei fantasmi e nella voce degli oggetti domestici: come nei migliori film di Hitchcock la tensione non richiede effetti speciali, sangue o mostri o creature strane, ma cresce poco a poco, alimentata da una parola stonata, accudita da un gesto incoerente fino a stringere il lettore in lacci invincibili, annodati in finali che sono a volte solo una variazione di ritmo o una parola imprevista: non ci sono esplosioni nella Jackson, non ci sono verità disvelate, ma solo corridoi bui che sembrano costringere i personaggi in un vuoto senza fine. È in questa mancanza di prospettiva, nel senso di un tempo costretto a ripetersi, che si cela l’ansia di questi racconti, il loro essere considerati dai più come noir o thriller. Qui però non siamo in un genere, ma in una sola parola: inquietudine. E in questo Shirley Jackson è molto brava, se è vero che all’uscita del racconto eponimo, “La lotteria”, l’autrice fu quasi sommersa da lettere di accusa, spregio, talora pure di estatica ammirazione. Certo talora questa scelta del finale aperto è rischiosa, perché sembra non concludere il racconto o giocare volutamente su un’incertezza troppo incerta e non nascondo che potreste chiedervi “e quindi?”. Ma Shirley Jackson è questa, col suo stile inconfondibile, con la sua precisa visione della letteratura, un piatto raffinato di un ristorante della guida Michelin: semplice grandezza, tecnica altissima, gusto un poco scarso.
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Lasciate ogni speranza o voi che entrate
Il grande giornalista sportivo Bruno Raschi era uso definire le tappe ciclistiche in piano, decise solo allo sprint finale, come “il lungo prologo di una rapida, feroce, coltellata”. Questo volumetto edito dall'Adelphi ci mostra l’equivalente letterario di quella coltellata a tradimento.
Nei quattro brevi racconti (nessuno più lungo di una ventina di pagine) Shirley Jackson, musa ispiratrice di Stephen King, ci fa capire come l’orrore possa restare celato dietro al sipario del placido vivere quotidiano.
La storia eponima della raccolta (famosissima e commentatissima) ci offre una rilassante visione bucolica della provincia americana, dove la vita sembra scorrere tranquilla durante la rituale lotteria annuale, ma nelle ultimissime, sconvolgenti frasi, con cinica ferocia ci viene sbattuta in faccia una realtà brutale e spietata che l’apparente serenità esteriore ha tentato di velare. Per quanto il finale non giunga inaspettato o inaspettabile il solo fatto che il lettore sia accompagnato sin lì da uno stile garbato, gentile, che quasi lo culla con le parole, fa sì che gli sia assestato un metaforico durissimo schiaffo sul volto svegliandolo bruscamente dal placido torpore nel quale si era adagiato.
Ma pure gli altri tre racconti custodiscono una potenza dirompente e crudele tra le loro righe.
Così la scialba trentenne de “Lo Sposo”, che anela al matrimonio come coronamento della propria esistenza banale, scoprirà che la vita non fa preferenze e non ha misericordia per quelle come lei.
Ne “Il Colloquio” (ingiustamente è considerato inferiore agli altri) le pochissime battute superbamente ironiche di cui è composto ci offrono un agghiacciante istantanea del nostro modo di pensare che liquida con paroloni involuti la nostra incapacità di comprendere ciò che ci circonda, facendo temere alla sola persona savia di essere l’unica pazza. Ma se i pazzi fossimo invece noi? Se fossimo diventati tutti degli “ultracorpi” simili a quelli immaginati da Don Siegel in un film degli anni ’50?
Infine ne “Il Fantoccio” una tranquilla cena in un night club semina una serie di dubbi sulla sanità mentale dei presenti, con un ventriloquo che usa il suo pupazzo come tramite per sfogare le sue frustrazioni coniugali e gli spettatori che restano imprigionati da questo transfert, mentre l’A. irride beffardamente del perbenismo di facciata che essi ostentano.
Il Mondo di Shirley Jackson è senza pietà, senza clemenza per i protagonisti. Anche le situazioni apparentemente più banali ci svelano come sia illusorio nutrire speranza nel futuro, perché la vita non ha misericordia e la follia, forse, alligna ovunque.
Quindi un’ottima raccolta di racconti con un unico rammarico. Tutte e quattro le storie hanno in sé qualcosa di irrisolto, di non compiuto. In parte è certamente voluto e abilmente ricercato. Tuttavia si percepisce la mancanza di qualche elemento in più che, senza diradare il dubbio che aleggia, amplifichi il colpo di scena finale e consenta al lettore di formulare ipotesi o anche solo illazioni le quali, com'è ben noto, sono assai più potenti sul subconscio della stessa realtà rivelata. Insomma i quattro racconti sono come diamanti grezzi ai quali la mancanza del taglio e della molatura impedisce di rifulgere in tutta la loro lucentezza. Comunque da leggere.
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Cosa è l’orrore?
Leggendo i quattro racconti compresi nella raccolta “La lotteria”, ed in particolare la piccola gemma che ne dà il titolo, è questa la domanda che affiora alle labbra: cosa è l’orrore?
Una porta che scricchiola o una tenda mossa dal vento possono far più paura di mille particolari atroci e mostruosi. Lo sguardo di ghiaccio di un vicino di casa attraverso i vetri può far rabbrividire più di mille alieni assassini. Shirley Jackson ci insegna che l’orrore si gioca proprio nell’aspettativa di qualcosa di terrificante nascosto tra le pieghe dell’ordinarietà. L’orrore non sta in quel che viene detto, ma in ciò che viene taciuto e solo presagito.
Una valigetta nera contenente biglietti accuratamente ripiegati. Uomini e donne che chiacchierano sulla piazza, in attesa del tradizionale rito di estrazione. Scene di semplice quotidianità paesana raccontate con tono placido, tra cui si annida però una tensione crescente. Perché nessuno sa in cosa consiste davvero la lotteria e quale sia la posta in palio ma ogni riga lascia sottilmente intuire che la risposta non potrà che lasciare sgomenti.
La ragnatela costruita dalla Jackson si compone di fili di seta stilisticamente impeccabili intessuti a maglie larghe. Tra loro, ampi vuoti. Pochi sono infatti gli accadimenti e ancor meno le spiegazioni, che spesso non arriveranno nemmeno con l’ultima pagina, lasciando molti interrogativi aperti alla personale interpretazione. Ad animare e muovere i fili, un costante senso di attesa, sospetto e mistero.
Non è horror, non è noir, non è fantasy. Non ci sono grida o gocce di sangue. Ci sono solo uomini come noi e strade come le nostre. E forse è proprio questo l’orrore, la suggestione che nella normalità si possa nascondere qualcosa di inquietante e terribile.
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Quando l'orrore è nella testa...
Piccolo libro formato da 4 raccontini: La lotteria, Lo sposo, Il colloquio e Il fantoccio.
Il racconto che dà il titolo al libro ti lascia veramente sgomenta...intuisci subito dove vuole arrivare, ma non ci vuoi credere, ti rifiuti di credere...anche perché i toni pacati e sereni, l'ambientazione bucolica e luminosa, e la naturalezza nella descrizione dei fatti, ti danno l'illusione che dietro tutto questo scenario non si possa celare un "male" così gratuito, feroce e, soprattutto, considerato addirittura "necessario".
Una sorta di rito pagano che terrorizza, ma a cui non si può rinunciare.
"Ghiacciata"...ecco come sono rimasta.
E se si pensa che il tutto si racchiude all'interno di appena 19 paginette, hai la misura di come quest'autrice riesca a generare un sottile e tagliente terrore, senza usare troppe parole e senza ricorrere a quelli che sono notoriamente i codici e i simboli del genere, niente fantasmi né surrealtà, niente mostri né sangue, ma rimanendo nel quotidiano, nei piccoli gesti...nell'agghiacciante cattiveria che si nasconde nell'animo umano, nella testa.
Gli altri tre racconti che compongono il libro, a mio avviso, hanno minore potenza incisiva de "La lotteria", li ho trovati anche un po' troppo aperti a possibili interpretazioni, ma comunque molto molto particolari.
Quello che mi colpisce (e che mi piace) di questi racconti è il realismo dei dettagli, quasi a voler dimostrare che la realtà (nella sua "normalità") può essere molto più spaventosa di qualsiasi fenomeno sopranaturale.
Un'autrice che già conoscevo (con "Abbiamo sempre vissuto nel castello") e che conferma la mia prima, positivissima, impressione.
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Racconti affilati
Racconti brevi o anche brevissimi. Con una caratteristica particolare che mi è molto piaciuta: iniziano senza preamboli nel pieno dell'azione, la seguono per il tratto saliente che intendono catturare per poi lasciare i personaggi a se stessi per la conclusione degli eventi.
Il racconto breve a mio avviso è tanto più incisivo quanto meno si sforza di assomigliare ad un romanzo in miniatura e questi, nella loro brevità, sono veramente intensi.
Tra tutti mi ha particolarmente colpito "Colloquio", per il senso di distacco dalla realtà che investe la protagonista nel confrontarsi con il linguaggio e con il significato delle parole che sembra sfuggirle e divenire ostile.
Naturalmente bellissimo anche La lotteria, che inizia in uno scenario bucolico, rasserenante e solare e lascia interdetto il lettore quando pian piano comprende a cosa si va incontro.
Non dico di più, perché non voglio assolutamente guastare il piacere della lettura di questo piccolo libro davvero molto bello e modernissimo nonostante sia opera della prima metà del secolo scorso.
[…]
Presto cominciarono a radunarsi gli uomini; sorvegliavano i figlioli, e parlavano di semina e di pioggia, di trattori e di tasse. Stavano tutti insieme, lontano dal mucchio di sassi nell’angolo, e le loro facezie erano pacate, accompagnate più da sorrisi che da risa.
Le donne, vestite da casa, in abiti stinti e golfini, arrivarono poco dopo gli uomini. Si scambiavano saluti e pettegolezzi andando a raggiungere i mariti. Quasi subito, accanto ai mariti, cominciarono a chiamare i figlioli, e i bambini venivano controvoglia, dopo quatto o cinque richiami. Bobby Martin sfuggì alla presa della mano materna e tornò di corsa, ridendo, al mucchio di sassi. Suo padre alzò bruscamente la voce, e Bobby venne subito a prender posto tra il padre e il fratello maggiore.
[…]