La generosità della sirena
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Elvis e altri deliri
Pubblicato negli Stati Uniti nel 2018, l’ultimo libro di Denis Johnson (1949-2017), “La generosità della sirena”, è ora in libreria anche in Italia, sempre edito da Einaudi, dopo quasi un anno dall’uscita del precedente “Jesus’ son”. Pure stavolta si tratta di una raccolta di racconti, per la cui scrittura l’autore viene considerato un maestro e ampiamente acclamato dalle voci letterarie contemporanee più importanti d’America.
Le cinque short stories che compongono l’opera, dal titolo indubbiamente accattivante, sono state completate solo poco tempo prima della scomparsa di Johnson, il quale, per triste ironia della sorte, così profetizzava in chiusura del quarto racconto, dando voce (e inchiostro) a uno dei suoi protagonisti: “[…] Il mondo continua a girare. Per voi è ovvio che, mentre scrivo queste parole, non sono morto. Ma forse lo sarò quando le leggerete.”
In effetti, l’idea della morte aleggia in modo particolare sulle vicende narrate in queste pagine, diventando spesso una presenza fin troppo concreta. Come quelli di “Jesus’ son”, anche i personaggi della nuova raccolta sono persone inquiete alle prese con solitudine, spesso emarginazione, ossessioni e deliri di ogni tipo; tutti, comprese le singole cinque voci narranti, al disperato inseguimento, forse neanche troppo cosciente, di un senso dell’esistenza, oltre che fragile e precario, sempre difficile d’afferrare, sullo sfondo non improbabile di prigioni, ospedali, ranch abbandonati e comunità di recupero per alcolisti.
Una lettura nel complesso scorrevole, non priva di uno stile narrativo interessante, ma, per quanto mi riguarda, non abbastanza appassionante. È il secondo libro di Denis Johnson che leggo in meno di un anno: se nel già citato “Jesus’ son” ero rimasta colpita da indiscussi sprazzi di originalità, a tratti addirittura intrisi di poesia che affiorava tra le sconcertanti periferie dell’anima, tanto da lasciare ben volentieri aperta la possibilità di riservare una seconda lettura allo scrittore statunitense in questione, ora, invece, non ho riscontrato quella “scrittura ancor più compiuta e potente” di cui si parla nei risvolti di copertina. In verità, le trame di questi racconti si trascinano con un ritmo lento che finisce per annoiare; persino quella incentrata sulle teorie complottistiche relative alla morte di Elvis Presley, in “Doppelgänger, poltergeist”, non offre infine guizzi notevoli di vivacità. In generale, soltanto ossessioni e deliri che, a mio parere, non lasciano segno nella memoria di un lettore. Evidentemente, quella di Johnson – almeno qui tale si è rivelata – è scrittura per me troppo sfuggente, troppo lontana, troppo… “american”. Non a caso, Don De Lillo, a proposito del collega, ha definito la sua opera “inconfondibilmente americana”. Dunque, continuo a preferire “Jesus son” e il mio voto complessivo in questo caso non va oltre le tre stelle di media, davvero un peccato!