La donna che scriveva racconti
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Incontri autobiografici
Raccolta di racconti che profumano di America, come ambientazione, come storie, come cultura, come stile, come vita. Sono ricordi cileni, con spruzzate di polvere rossa di Texas. Sono incontro autobiografici di un’autrice che si mette a nudo, svelando le proprie debolezze, raccontandoci le proprie paure e i dolori di una vita. Inserito in diversi racconti, per poi esplodere verso la fine della raccolta, emerge prepotentemente il tema del legame riscoperto con la sorella, ormai in fin di vita. Molto toccanti sono le pagine in cui viene descritto il senso della perdita imminente, il modo con cui si prende cura di lei, il dolore e nello stesso tempo la dolcezza della mancanza quando ormai se ne è andata. “Lutto” è stato forse il mio racconto preferito. Fra i più delicati e toccanti.
Indicazioni utili
L'albero delle cornacchie
In realtà il libro della Berlin è una autobiografia fatta di racconti in cui Lucia ci parla di sè senza seguire un ordine cronologico, anzi all’inizio nemmeno si capisce che ci parla di sè. I racconti sono quasi tutti bellissimi, i due che mi sono piaciuti meno sono due racconti lunghi in cui l’io narrante cambia a racconto in corso e io li ho trovati un po’ confusionari. Ma in generale, tutti i racconti sono molto belli, sinceri, ironici, impietosi. Gli argomenti sono tanti e coincidono con i capitoli principali della sua vita. Giganteggia la malattia della sorella, l’alcolismo, la scogliosi e l’infanzia rovinata dall’alcolismo di madre e nonno. L’alcolismo è descritto con due facce: quella terribile della madre e del nonno, capaci di ogni crudeltà, e quella più umana dello zio John o quasi divertente delle sue vicende personali. In alcuni racconti non sembra nemmeno che l’alcolismo estremo a cui si è spinta, sia stato per lei un problema grave. Si intuisce però che lei, per quanto impietosamente sincera, non voglia considerare a fondo cosa abbia significato il suo problema per i figli. Poi ci sono i mariti, i lavori, gli amori. Ma tutti vanno e vengono e le persone stabili nei suoi affetti sono il padre, lo zio John, ma soprattutto la sorella Sally, dolce e fragile, cui si riavvicina per la malattia di lei. La raccolta sembra un omaggio a Sally con il penultimo racconto che avrebbe anche potuto chiudere la raccolta con quel tocco di tenera nostalgia che è bellissimo. Ma per un eccesso di lucidità e di ricerca di sincerità, lei ci presenta se stessa alla fine della sua vita: sola, abbandonata da tutti, in silenzio davanti all’albero delle cornacchie che forse sono i racconti che ha scritto che suggeriscono ma non dicono tutto e quello che non dicono lo possiamo dedurre dal fatto che lei ora sia sola e malata, senza nessuno che corre a aiutarla, come lei stessa fece a suo tempo per Sally. La vita di Lucia descrive un cerchio concentrico, si apre e si chiude allo stesso modo, con la sua disperata solitudine, come se per tutto il tempo non avesse fatto altro che trovare un modo per rientrare nei panni della bambina sola disprezzata dalle amiche e mal vestita che era. Le cornacchie che lei guarda seduta con la bombola dell’ossigeno dalla veranda sono i rimpianti, i cattivi pensieri, i rimorsi tardivi e pericolosi. Tutti insieme se ne stanno come fantasmi presenti ma senza parole, perciò nei suoi racconti non parlano. I racconti sono vivaci, allegri, brillanti, anche malinconici. Ma in genere sulle sue scelte personali predilige il tono brillante e la tristezza è accesa da madre e nonno e dai loro comportamenti e scelte. Ma l’ultimo racconto suggerisce appunto quello che è nascosto tra le pagine.