Narrativa straniera Racconti L'uomo che allevava i gatti
 

L'uomo che allevava i gatti L'uomo che allevava i gatti

L'uomo che allevava i gatti

Letteratura straniera

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I campi di sorgo sono teatro delle fatiche dei contadini, ma anche il territorio notturno dove le volpi si accendono come scie di fuoco per indicare la strada a chi si è perso; nelle acque del fiume annegano i bambini, ma nei giorni di nebbia gli spiriti-tartaruga salgono in superficie a banchettare in abito da sera; i più razionali dirigenti del Partito possiedono un terzo occhio per vedere attraverso i muri, ma lo chiudono quando hanno troppa paura... I personaggi di questi racconti sembrano sempre sul punto di soccombere, ma conservano una loro leggerezza magica. In particolare, sono i bambini a impersonare il confine tra fragilità assoluta e capacità di illudere il mondo, di fare miracoli.



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L'uomo che allevava i gatti 2019-09-27 15:49:57 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    27 Settembre, 2019
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Tra il lirismo più sublime e il più crudo realismo

La vita è un rullo di fieno che rotola sull’aia, avanti e indietro, senza soluzione di continuità lasciando nella bocca e nel cuore tanta amarezza. Questa immagine che compare più volte nel lungo racconto “Esplosioni” contenuto in questa raccolta di nove racconti scritti dall’impareggiabile scrittore cinese Mo Yan, Nobel per la Letteratura nel 2012, esprime molto bene il senso che sottende ad ogni storia da lui raccontata.
L’ambientazione dei nove racconti è la campagna dello Shandong cinese, da cui proviene lo stesso scrittore, negli anni Sessanta, gli anni del controllo delle nascite, terminato solo nel 2013. Protagonista la povertà, storie dure e crude di passioni forti senza misura, quasi animalesche, storie legate tutte da un filo rosso, ma rosso nel suo termine più pieno e reale: il rosso del sangue della violenza subita, del neonato abbandonato, il rosso dei tramonti, il rosso del sorgo che fa da sfondo ad ogni storia di Mo Yan anche fuori di questa raccolta, il rosso della volpe spietatamente cacciata da un gruppo di uomini, il rosso delle labbra tenere di qualche delicata ragazza.
I libri di Mo Yan parlano della Cina popolare, quella contadina, quella più autentica, quella della povertà più estrema e quella delle leggende sugli spiriti che infestano le campagne. Il realismo crudo si intreccia sapientemente con passi di sublime poesia, che riguardano prevalentemente il paesaggio e la natura. Pennellate di colore, luce diffusa, mille colori caldi, soprattutto caldi e scarsi quelli freddi, scene del presente che quasi indietreggiano e lasciano il passo a brevi flashback, personaggi che recano sul corpo e nell’anima i segni di una vita difficile e dura, spietata e senza giustizia.
Cosa vuole dire leggere un autore come Mo Yan? Le sue pagine sono così dense e cariche di immagini e di emozioni che comportano fatica, dopo aver chiuso il libro ci si sente emotivamente tramortiti, stanchi, quasi estraniati. Meravigliosamente stupiti.
Le tematiche trattate sono difficili e delicate: abbandoni di neonati, infanticidii, aborti, matrimoni senza amore...
La pianificazione delle nascite e la politica del figlio unico, preferibilmente maschio, sono da ascriversi ad una delle pagine più oscure e brutali della storia della Cina.

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Tutti i libri di Mo Yan, in particolare “Sorgo rosso” e “Le rane”
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L'uomo che allevava i gatti 2014-07-31 11:53:15 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    31 Luglio, 2014
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Rosso diffuso

L'uomo che allevava i gatti e' uno dei nove racconti contenuti  in questa raccolta del Nobel Mo Yan.
Essi sono ambientati nella Cina rurale, luoghi ed epoca sono quelli ben conosciuti dall'autore che nacque e crebbe in un isolato villaggio abitato da una manciata di famiglie  stipate in misere casupole, in un contesto di assoluta poverta'. 
Ecco allora che il racconto diviene narrativa e memoria, l'impatto realistico della penna e' di una potenza tanto seducente quanto invalidante. Il libro cementifica il lettore bloccato nello strazio della crudelta' umana, imbavagliato privo di parole egli contempla lo stile che condisce con un lirismo cristallino l'atrocita' della vita.
Sbalorditi dalla bellezza che la scrittura puo' conferire alla crudezza indigesta del mondo, il contrasto diviene un equilibrio direttamente proporzionale : piu' il dolore aumenta , piu' la grazia dell'espressione di Mo Yan risale la china dal baratro.
Si tratta di un mondo  dove poverta' ed ingiustizia sociale sommano durezza alla durezza. Terra ghiacciata dagli inverni rigidi si spacca a zolle infruttifere , pelle contadina fatta scorza bruciata dal sole rovente, mani callose che lavorano senza tregua per strappare quell'unico misero frutto al terreno , cuori liofilizzati di uomini e donne che alzano le mani e infieriscono senza pieta'.
Racconti dove il colore rosso diviene fissazione, nel sangue che sgorga dalle ferite di un piccolo picchiato , nel volto rubizzo di una neonata abbandonata in un campo di girasoli, nel folto pelo di una volpe che corre a perdifiato lontano dal suo destino, nei petali di un fiore che galleggia sul fiume in piena, nell'immenso tramonto che si deforma fino ad esplodere nel culmine del pomeriggio tingendo l'acquitrino di cremisi.

Frastornata e infatuata, sbalordita e addolorata, la spugna si comprime e si rilassa, assorbe la sofferenza ed il risentimento con cui  Mo Yan  inonda le pagine. Io sono una spugna.

E' la prima opera che leggo dell'autore e se il livello e' questo il Nobel alla letteratura era il minimo indispensabile. Buona lettura.

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