L'orchessa
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Recensione della Redazione QLibri
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Femme 100%
Incredibile Irene, non sbaglia un colpo. Vengo dalla lettura dei racconti di un Nobel e di un Pulitzer ma devo dire che con Irene non c'è confronto. Pur non amando i racconti, non ho avuto l'impressione di leggere dei racconti, qualcosa cioè di limitato rispetto a un romanzo, la descrizione di un momento, di un episodio particolare di una vita. Al contrario, i racconti di Irene sono dei veri concentrati che racchiudono un’intera esistenza e a volte l’esistenza di madri messa al confronto con quella delle figlie, descritta a pennellate rapide, in modo ancora più coinvolgente e efficace che in un romanzo. Ogni racconto è in realtà, per come funziona, per come è concepito, un piccolo romanzo.
Le pagine proprio perché poche devono essere rapide, espressive, e anche lo stile è curato, plasmato per rendere meglio l’accendersi e lo spegnersi dei desideri nell’arco del grande albero di Natale della vita umana.
“La felicità… Sì, a vent’anni la felicità mi sembrava qualcos’altro, più terribile, più vasto, ma i desideri, meravigliosamente si ridimensionano, diventano più accessibili a mano a mano che si avvicina la fine di tutti i desideri.”
Come sempre Irene rende alla perfezione l’animo femminile (e non solo) e ogni racconto scava dentro almeno un personaggio, sviscerandone sogni, aspettative, delusioni e speranze.
“La ricchezza di cui traboccava il suo cuore, i ricordi, l’amore, l’oblio tutto ciò che la rendeva una donna diversa dalle altre, una donna tra mille altre, tutto questo fa sì che un essere, al di là dell’aspetto fisico e dello stato civile, sia anche un’anima, tutto questo restava invisibile, inesprimibile…”
…inesprimibile ma non per Irene.
Nel primo racconto la scrittura prende una forma che non è la solita, frasi brevi, frasi interrotte. Un modo di scrivere che, credo, andrebbe particolarmente a genio alle nostre scuole di scrittura ma che non ha niente di affettato, in cui la rarefazione della parole e la brevità delle frasi, i tempi dei verbi o la loro mancanza sono un modo per evocare emozioni, per rendere il passare fulmineo del tempo di una vita.
Il lettore riesce a tenere in mano una vita o più vite, di madri e figlie in modo da confrontarle, osservare la bellezza dei desideri irrealizzati, l'inutilità dell'arrabattarsi per la propria felicità che in tutte le vite resta un miraggio.
“Ma vede, la fama è un frutto amaro che si raccoglie solo dopo che l’albero è caduto.”
Guardando intere esistenze condensate nelle poche pagine di un racconto si tocca la malinconia, la disperazione che è la musica di queste esistenze, ciò che le rende belle, intense ai nostri occhi di lettori. Anche la velocità del tempo, il passaggio da illusione a disillusione è reso alla perfezione dalla struttura del racconto. E, comunque i racconti sono tutti, tutti bellissimi. Il secondo, Ida, racconta l'ascesa di Ida Sconin diva di cabaret, stella dello spettacolo fino a un'età mai specificata ma che immaginiamo molto avanti nel tempo. Il lettore riesce a trovarsi nudo, sui tacchi a spillo, di fronte alla tribuna strapiena di gente urlante a rivivere, nei due minuti in cui Ida scende i gradini della scalinata, l'intera sua triste vita votata e sacrificata, il lettore può ben dirlo, alla carriera e al successo. Tutti i rapporti umani o quasi sono stati finalizzati a ottenere un vantaggio in termini di carriera, ogni uomo potente è stato trattato da Ida come lui voleva essere trattato.
“ Fra le tante donne che prendeva e mollava una dopo l’altra, sono stata forse l’unica a procurargli il genere di sofferenza che desiderava.”
E il lettore si chiede se ne sia valsa la pena. Quella vita strappata a morsi, quell'ambizione cieca e sorda e senza pietà. Il guardare queste vite condensate pone il lettore in una posizione privilegiata per tirare delle conseguenze per sé.
Ogni vita è in qualche modo sprecata e per questo interessante. I vecchi guardano i giovani imbucare la loro stessa strada facendo gli stessi errori, guidati dalle stesse illusioni. I giovani non hanno interesse per le vite dei vecchi barbogi.
“Non capisce più. Sono arrivata troppo tardi. Ieri sarebbe stata attenta, partecipe, ma oggi ha già un innamorato, la sua vita. Una ragazzata, ma che importa? Lei ne è totalmente presa. E io? Cerchiamo invano, chiamiamo invano, E non c’è un cuore che comprenda il nostro. Non una mano che si tenda verso di noi.”
In un certo senso questi racconti, proprio per la loro brevità, perché ci si ritrova sotto gli occhi in poche pagine una intera vita, inducono il lettore alla riflessione su cosa conta e sul valore dei desideri e delle ambizioni.
“In fondo è tutto quello che abbiamo, questo calore umano.”
La raccolta è chiusa dalla immancabile figura della madre-orchessa, che cannibalizza i figli per ottenere dalla loro vita le soddisfazioni che non è riuscita a tirare fuori dalla propria.
“Non c’è nulla di più pericoloso del desiderio insoddisfatto di una donna. Perché farà in modo che i suoi figli mangino a sazietà i frutti che a lei sono stati negati, e non importa se sono indigesti: li costringerà a inghiottire la buccia, la polpa, il nocciolo tutto fino a soffocarli.”
Tuttavia, il racconto ha un taglio felicemente ironico e chiude nel modo migliore la raccolta.
“Cerca di innamorarti solo di donne felici ragazzo mio.”
Certo, viene da chiedersi che cosa avrebbe potuto scrivere Irene se fosse vissuta fino a 80 anni.
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L’arte del sublime
Sono nove i racconti di questa raccolta e testimoniano una volta di più le grandi capacità letterarie di Irène Némirovsky. Benchè queste siano ben note sono rimasto sorpreso di trovare una straordinaria abilità nel raccontare trame che potrei definire convenzionali, ma la cui trasposizione beneficia, pur a fronte di uno stile che può apparire semplice, di un’elaborazione completa e complessa in cui si mantengono in perfetto equilibrio le descrizioni dell’ambiente e dell’atmosfera, nonché la capacità indiscutibile di sondare l’animo umano, il tutto accompagnato da una vena poetica tenue, ma incisiva.
Così, ognuno di questi racconti diventa l’espressione dell’arte del sublime, tanto belli sono e tanto lasciano nel lettore una palpabile commozione che rasserena l’animo. I protagonisti sono per lo più donne, anche se non mancano soggetti maschili di grande interesse, ma ciò che soprattutto li accomuna è il sempre presente senso della caducità della vita, di quella morte che finisce con il dare un senso alla vita. La figura del procuratore Deprez (L’inizio e la fine) incombe nella prosa con i suoi tormenti per il male che lo divora, mentre altri dolori patisce la signora Barret, la madre di un giovane assassino, che lui dovrà processare, il tutto in un chiaroscuro quasi tenebroso, dove si affrontano amore materno e senso del dovere, pietà e dignità, rimorsi e volontà. Sono tutti belli questi racconti, compreso l’ironico L’orchessa, che esce un po’ dai canoni consueti con la figura di una donna che pretende di portare al successo la propria figlia, a quel successo che lei non ha mai avuto. Personalmente mi sono piaciute particolarmente due prose: Legami di sangue e La confidente. La prima vede i figli riuniti al capezzale dell’anziana madre gravemente malata in un crescendo di screzi e di confessioni, in cui riaffiorano antiche gelosie; parenti serpenti, si potrebbe dire, e se il tema non é proprio nuovo, tuttavia per come é svolto attrae in modo irresistibile, senza dimenticare le inevitabili ricorrenti riflessioni a cui si è indotti, soprattutto se non si è figli unici. La seconda vede l’incontro fra un musicista vedovo e un’amica della moglie defunta, in un dialogo rivelatore, di cui non intendo anticipare nulla, vista l’impostazione gialla, anche se giallo non é; sono pagine che, a dir poco, affascinano, un esercizio di rara bravura, di cui mi corre tuttavia l’obbligo di riportare il grande significato dell’arte secondo l’autore, con ciò che riesce a dare l’artista; infatti, rivolgendosi al signor Dange, famoso musicista, la signorina Cousin dice a proposito della grandezza del suo interlocutore: “….Un mondo sublime. E noi, noi non siamo niente, solo povere creature inutili. É così raro, così bello, quando un grande artista si concede, ci fa uscire dalla dalla nostra mediocrità, parla con noi. É qualche cosa di immenso, signore.”.
Non aggiungo altro, se non la raccomandazione di leggere questo altro capolavoro di Irène Nèmirovsky.
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L’orco in gonnella
“L’orchessa” è una raccolta di nove racconti di Irène Némirovsky, prolifica scrittrice (Kiev, 1903 – Auschwitz 1942) prematuramente scomparsa in quanto vittima delle persecuzioni razziali. I suoi scritti, anche i racconti qui compendiati, sono pervasi da un senso generale di irrequietudine, verosimilmente derivante dal tormentato periodo storico in cui la scrittrice visse, oltre che dalle vicende familiari e biografiche.
“L’inizio e la fine” è la storia di un procuratore generale malato di cancro, impegnato in un conflitto morale (di ruolo) e personale (di valori) di fronte a un delitto ove la donna è protagonista.
“Legami di sangue” è una saga familiare che vive nel rito della cena della domenica sera nella casa della matriarca (“Anna Demestre si alzò sulla punta dei piedi per baciare i figli”) il momento del confronto-scontro tra le personalità dei figli Albert, Augustin, Alain e Mariette. Il tutto nell’imminenza della malattia della madre e con il pericolo incombente della separazione di Alain dalla moglie (Augustin e Alain hanno sposato due sorelle).
Ne “La confidenza”, l’istitutrice Blanche Lajunie, in età avanzata e afflitta da un problema di salute (“Devo sottopormi a un’operazione rischiosa”), in un momento di fragilità emotiva nel quale la rigidità professionale s’incrina, pensa di confidarsi con “la candida insolenza di Colette”, un’allieva superficiale e innamorata, e così rivive l’interrotto sogno d’amore per un nobile russo interrotto . Salvo pentirsi della confidenza concessa…
Anche ne “La partenza per la festa”, la leggerezza giovanile dei figli (“La ragazzina sognava di ballare sulle onde del mare”) cozza contro le resistenze del padre François, che riceve la notizia della morte dell’amante-cugina Florence, durante la vacanza al mare. “Nel momento in cui ci rendiamo conto per la prima volta di non interessare più a nessuno, allora smettiamo di essere bambini.”
“La confidente” del signor Dange, anziano musicista, è la signorina Cousin: a lei il musicista si rivolge per conoscere i dettagli della morte della giovane moglie Florence. Grazie a lei (“In un certo senso vivevo per interposta persona”) l’uomo apprende lo sconcertante tradimento (“Capiva di aver amato un’illusione, un’ombra”) che getta nuova luce sulla defunta moglie.
Conclude la serie dei racconti “L’orchessa”, che dà il titolo all’antologia, ed è una donna che “aveva gesti bruschi e decisi, e nella sua bruttezza c’era un che di aspro e vigoroso che mi affascinava”. Rappresenta il pericolo dell’ambizione che talvolta i genitori riversano sui figli…
Lo stile di Irène è elegante e immaginifico (“Al contrario di certe specie animali, gli esseri umani la loro corazza se la portano dentro”), ma le storie sono imbevute di un pessimismo un po’ troppo afflittivo e contagioso, pericoloso nel caso in cui il lettore sia già depresso di suo… In ogni caso, l’opera consente a chi ha amato l’autrice come romanziera, di saggiarne le doti nella narrativa breve.
Bruno Elpis