L'Aleph L'Aleph

L'Aleph

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Per molti lettori di questi ultimi decenni L'Aleph è il libro dove scoprirono non solo un nuovo grande scrittore, ma un nuovo modo di essere della letteratura. Fu una specie di folgorazione, che poi si trasmise a tutta l'opera di Borges. Intanto, i titoli di alcuni di questi racconti (da Lo Zahir a Deutsches Requiem, da La ricerca di Averroè a L'immortale) entravano nella geografia mentale dei lettori come luoghi da sempre familiari e misteriosi.



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L'Aleph 2024-06-14 22:49:22 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    15 Giugno, 2024
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Tra labirinti, ricerca dell'infinito e divinità

Borges non è mai e mai sarà un autore di facile fruizione, eppure il mistero e l’erudizione che traspare dai suoi libri rappresentano un richiamo irresistibile per un lettore curioso o semplicemente attratto dalle tematiche espresse. In questi racconti vengono riproposti alcuni di quei temi già riscontrati in “Finzioni” ed alcuni sicuramente spiccano più di altri per la loro particolarità. A partire dall’”Aleph “che dà per l’appunto il titolo alla raccolta e rappresenta “il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”. Prima lettera dell’alfabeto ebraico, che nella tradizione cabalistica designa la divinità, nell’aleph è lo stesso Borges il protagonista che cerca il contatto con l’Assoluto. Il tema viene riproposto anche in un altro racconto, “Zahir”, termine di derivazione araba che richiama un pensiero fisso, un’ossessione e che al tempo stesso indica uno dei novantanove nomi di Dio.

Se la ricerca della trascendenza è parte della poetica di Borges, altro tassello imprescindibile è il tema del labirinto che torna più volte nella narrazione, a partire dal racconto “L’immortale”, dove accanto alla dimensione del ricordo dimenticato e della perdita di identità si tratteggia il concetto di caos, la ricerca di un percorso, di un ordine che in realtà non esiste perché il labirinto è innanzitutto parte della natura stesa e può condurre all’angoscia come avviene anche ne “I due re e i due labirinti”. Borges gioca con i contenuti, la realtà che definisce è caleidoscopica, si autoriproduce in sogni onirici che sono figli di altri sogni come precisa nel racconto “La scrittura del Dio” (“Questo sogno è dentro a un altro, e così all’infinito, che è il numero dei granelli di sabbia”). Eppure, al tempo stesso, non perde di vista la tragica realtà come si può ben vedere in “Deutsches Requiem” nel quale le tragiche conseguenze del nazismo su un’Europa contaminata dai veleni della guerra risultano evidenti dalla confessione del fedele funzionario del Reich condannato.

Cosa rimane dunque a lettura ultimata? Un senso di mistero, di messaggio criptico, di contenuti eccezionali non completamente decifrati...oltre ad un desiderio di tornare tra queste terre e riprovarci nuovamente.

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L'Aleph 2021-04-06 15:04:55 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    06 Aprile, 2021
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L'universo in un punto

Borges è un autore che va letto in periodi di serenità e lucidità mentale: nemici della comprensione dell’autore e dei suoi racconti sono lo stress e la frenesia, perché questa può avvenire soltanto dedicando alla lettura un’estrema attenzione, dedicazione esclusiva e ricorrenti passi all’indietro. Alcuni racconti sono più ostici degli altri, a seconda del tipo di narratore e narrazione assunta da Borges, che si presenta camaleontico anche nella sintassi, nella punteggiatura e nei periodi utilizzati.
Come per quanto riguarda la raccolta “Finzioni”, anche “L’Aleph” contiene in sé diversi racconti davvero memorabili e altri - ma forse per la mancanza della già citata attenzione e serenità - che risultano di difficile comprensione e non riescono a smuovere le emozioni e le percezioni del lettore. Quel che è contenuto all’interno di questa raccolta si presenta molto vario sia per quanto riguarda i contenuti - decisamente troppo complessi per essere riassunti nelle poche righe di una recensione - sia per per quanto riguarda le ambientazioni - si passa dal contesto indiano che rimanda anche un po’ a “Le mille e una notte” a quello sudamericano prettamente moderno, solo per citarne un paio. Diversi sono i motivi ricorrenti in più di un racconto, come quello della moneta (centrale ne “Lo Zahir), quello delle tigri e dei labirinti (parecchio caro e amato da Borges), ma soprattutto quello del linguaggio, che è probabilmente il motivo centrale della raccolta e del racconto che le dà il titolo: Aleph è difatti la prima lettera dell’alfabeto sacro, che nel racconto presentatoci da Borges rappresenta un “punto in cui sono contenuti tutti i punti”, una precisa coordinata che contiene l’universo nella sua interezza e che simultaneamente può essere visto. E forse Borges vede nel mondo e nell’universo stesso un linguaggio che l’uomo ha dimenticato; un linguaggio che il protagonista del racconto “La scrittura del dio”, rinchiuso per anni in una cella oscura e condivisa con un giaguaro, prova a ricercare per potersi liberare dalla propria prigionia ma che, una volta trovato, gli disvela a tal punto ogni cosa da lasciarlo appagato a tal punto che ogni aspirazione di libertà e potere non diventa altro che futilità. È forse in questo linguaggio segreto del mondo che, per Borges, si nasconde il senso ultimo? È questo forse il tema centrale di quest’opera di Borges, che si conferma autore geniale ma complesso; un tema che tuttavia non tocca proprio tutti i racconti tra i quali ce ne sono alcuni velocemente dimenticabili, ma che ne annovera altri memorabili tra cui “Deutsches Requiem” (probabilmente il mio preferito) e “Gli immortali”. Una lettura che vale il tempo e la fatica spesi anche solo per leggere queste perle.

“[…] vidi un’adorata tomba alla Chicarita, vidi i resti atroci di quanto deliziosamente era stata Beatriz Viterbo, vidi la circolazione del mio oscuro sangue, vidi il meccanismo dell’amore e la modificazione della morte, vidi l’Aleph, da tutti i punti, vidi nell’Aleph la terra e nella terra di nuovo l’Aleph e nell’Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere, vidi il tuo volto, e provai vertigine e piansi, perché i miei occhi avevano visto l’oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha contemplato: l’inconcepibile universo. Sentii infinita venerazione, infinita pena.”

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L'Aleph 2017-03-18 18:52:42 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    18 Marzo, 2017
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Vertiginoso labirinto di sogni

L’aleph è un punto, misterioso e ineffabile, che racchiude tutti i luoghi della terra e tutti i tempi. E’ l’infinito e inconcepibile universo, che si rivela agli occhi attraverso una moltitudine di immagini, senza sovrapposizione e senza trasparenza. Come le storie, le fantasie e le riflessioni che si susseguono e si rincorrono in questi diciassette racconti, rivelandoci un mondo intellettuale e narrativo che appare complesso e vasto come l’universo intero.

Se in “La scrittura del dio” il protagonista si ritrova in un inesauribile labirinto di sogni, che si incastrano l’uno nell’altro all’infinito, allo stesso modo questa lettura ci confonde con la sua architettura di finzioni, ricorsivi contenitori e contenuti di storie. Un incessante gioco di rimandi, riferimenti circolari e apparenti divagazioni in cui citazioni erudite si mescolano beffardamente a nomi immaginari e situazioni fantastiche, lucidamente raccontate come fatti di cronaca. Le storie sono tante ma in fondo non sono che i molteplici volti di una stessa metafora, che apre le porte a significati difficili da pensare.

“Forse le storie che ho narrate sono una sola storia. Il dritto e il rovescio di questa medaglia sono, per Dio, uguali.” (Storia del guerriero e della prigioniera)

La scrittura di Borges non è facilmente accessibile ma si fa estremamente colta, erudita, sapiente. Le parole sono ricche e preziose perché diventano esse stesse essenza del raccontare. L’unico modo per pensare l’infinito, il tempo immortale, il destino è, infatti, un infaticabile gioco di specchi da cui lasciarsi sorprendere e confondere. "L’aleph" è proprio questo, un insieme di atmosfere rarefatte e personaggi senza volto, di vicende che oltrepassano il confine della realtà, di magie ed evocazioni che attraversano i classici latini, la mitologia greca, la cultura araba. Un vertiginoso labirinto in cui perdersi, per ritrovarsi infine a riflettere pensieri nuovi.

“La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini. […] Tutto, tra i mortali, ha il valore dell'irrecuperabile e del causale. Tra gl'Immortali, invece, ogni atto (e ogni pensiero) è l'eco d'altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine. […] Quando s'avvicina la fine, non restano più immagini del ricordo; restano solo parole.” (L’immortale)

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L'Aleph 2016-05-16 20:43:53 filippo
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Opinione inserita da filippo    16 Mag, 2016

impressioni sull'aleph

“Ricordo, anche se io non ho diritto di pronunciare questo verbo sacro; un uomo solo, sulla terra, ebbe questo diritto, e quest’uomo è morto”; di non essermi mai trovato fra le mani un libro simile. L’Aleph di Jorge Luis Borges è indubbiamente un libro unico. L’opera è formata da diciotto racconti brevi, quasi tutti di genere fantastico, a parte due, anche se la penna visionaria e multiforme dell’autore conferisce loro un vago senso di irrealtà, così esemplarmente delineato ed esplorato in tutte le sue sfumature negli altri. Esattamente come in un altra celebre opera di Borges, le Finzioni, i testi e le vicende, di per se meno importanti che le riflessioni, il complesso gioco di citazioni vere o inventate, di raffinati simbolismi e la matassa di metafore che arricchiscono il contenuto di ciascun racconto di un substrato filosofico e metafisico a volte vertiginosamente profondo, sono immerse, e trovano il loro svolgimento in un mondo immaginario ed al tempo stesso reale, magistralmente contenuto con forza di pensiero, invenzione, erudizione, fatto di labirinti, vertigini, eternità, inesorabile scorrere del tempo, morte, sdoppiamento di personalità, follie, destino, insondabile e straziante dolore fisico e cerebrale. Nessuno scrittore che conosca o di cui abbia letto qualcosa è riuscito ad ambientare le sue storie in un teatro così drammatico, onirico, labirintico ed a volte allucinante; anche se l’influenza borgesiana si è fatta sentire immensamente in altri due scrittori sudamericani: Cortazar, autore de Il gioco del mondo e Bolano, autore di 2066. Personalmente i racconti che ho trovato più belli sono stati il primo e l’ultimo, intitolati rispettivamente L’immortale e L’Aleph. Il tema del primo, ovviamente, l’immortalità. Borges immagina un uomo di nome M.F. Rufo che, al tempo dell’imperatore Diocleziano, si addentra nel deserto africano, in cerca della città degli immortali e del fiume che aveva fama di donare l’immortalità, alla fine, benchè solo, trova per caso il fiume vicino ad una città popolata da esseri umani che giudica inferiori, i trogloditi, e beve la sua acqua, senza sapere che era proprio il fiume che cercava. Diviene così immortale. La parte che ho adorato è stata la descrizione del palazzo degli immortali, assurdo, un labirinto senza senso in cui “l’architettura mancava di ogni fine “, che mi ha ricordato il quadro di Escher Relatività. Poi attraverso considerazioni sull’immortalità, sull’essere, sul significato ontologico di una vita eterna, in cui ogni azione perde quasi tutto il suo valore intrinseco, precedentemente dato, in una vita normale e mortale, dal fatto che poteva essere l’ultima; a volte contorte ed elaborate, ma mai eccessive, altre volte più semplici e meno cerebrali. Tra i trogloditi trova l’Omero che mille e cento anni prima compose l’Odissea, nel 1066 militò tra le file dello sfortunato Aroldo sul ponte di Standford, poi visse nel VII secolo dell’Egira in un sobborgo di Bulaq, nel 1638 si trovò a Liepzig, nel 1714 si sottoscrisse ai sei volumi dell’Iliade di Pope (in cui, nel giugno del 1929, la rea trovò il fiume magico che toglieva l’immortalità, bevve e ridivenne mortale. Il racconto si conclude con queste splendide parole “Quando s’avvicina la fine non restano più immagini del ricordo; restano solo parole. Non è da stupire che il tempo abbia confuso quelle che un giorno mi rappresentarono con quelle che furono simboli della sorte di chi mi accompagnò per tanti secoli. Io sono stato Omero; tra breve sarò Nessuno, come Ulisse; tra breve, sarò tutti: sarò morto.” Altri racconti veramente notevoli sono i Teologi, in cui, attraverso la tematica dell’eresia, dell’ortodossia principessa di Lucinge trovò il manoscritto della storia di Rufo), ed infine nel 1921 sulla costa erite dell’abile confine tra queste, Borges approfondisce il tema dello sdoppiamento, La casa di Asterione, il cui protagonista è il minotauro nel suo labirinto e Deutches Requiem, il resoconto in prima persona di un nazista, tal Otto Dietrich zur Linde, che espone il tragico paradosso, avvertito dall’autore stesso, tra la necessità dell’annientamento del nazismo (cui il protagonista attribuisce il merito di aver ucciso la vecchia viltà cristiana) per la prosecuzione della storia del mondo (pertanto, in qualche modo, l’artefice del cambiamento era stato il nazismo, e dal cambiamento quest’ultimo deve soccombere), ed il destino cupo del popolo tedesco, che pure al mondo aveva dato tantissimo (il protagonista cita Goethe, Schopenhauer, Nietzsche e Brahms). Infine c’è l’Aleph, che da il nome alla raccolta; il testo può essere diviso in due parti, nella prima dominano incontrastate il sarcasmo e la sferzante ironia con cui il protagonista (lo stesso Borges) demolisce la figura di un poeta vanaglorioso, autore di un poema definito niente più che una pedantesca farragine; verso la fine si scopre che nella sua casa c’era un Aleph, “uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti”, il protagonista si reca alla casa del suo amico poeta, va in cantina e nel buio totale gli appare l’Aleph. Una piccola sfera di un folgore quasi intollerabile, da cui è possibile vedere simultaneamente l’infinito, tutte le cose osservate contemporaneamente da tutti i punti di vista; quello che l’autore chiama l’inconcepibile universo. La descrizione dell’Aleph credo dimostri come sia riduttivo definire Borges solo uno scrittore; io comunque mi limito a dire di averlo trovato quasi un capolavoro.

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L'Aleph 2014-09-17 15:37:33 Giovannino
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Giovannino Opinione inserita da Giovannino    17 Settembre, 2014
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La fantastica realtà di Borges.

Come mi capita spesso, dopo aver letto dei libri corposi cerco di leggere qualcosa di più leggero, così da non dover affaticarmi troppo per arrivare alla fine. Spesso questi libri più leggeri sono racconti, vuoi perché sono brevi e quindi richiedono un tempo minore (almeno per terminare un singolo racconto), vuoi perché spesso nelle antologie di racconti gli argomenti variano e questo mi aiuta a tenere viva l'attenzione per il libro. Così, appena finita L'armata dei sonnambuli entro in libreria per una raccolta di racconti e rimango colpito da L'Aleph di Borges. Non avendo mai letto nulla dello scrittore argentino mi lascio convincere e lo prendo, alla fine sono racconti. Ecco, come dicevo sopra? Racconti leggeri? Argomento semplici? Completamente l'opposto. In questo libro ci sono 17 racconti, ognuno di circa 6-9 pagine, e su argomenti non solo elevati ma anche affrontati in maniera fantastica e fantasiosa. Borges in questi racconti parla della morte, dell'immortalità, della pazzia, dello sdoppiamento di persona, della memoria. Parla di argomenti che da sempre affascinano l'uomo, e ne parla a modo suo. Borges è un visionario, vede cose che gli altri non vedono, trova pertugi in situazioni estreme, rimandi ad altri mondi, allegorie, metafore (tantissime), spesso chiama in causa gli antichi greci (ma non solo, sono ricorrenti le storie con protagonisti personaggi mitologici, d'altra parte parliamo di una persona dalla cultura immensa). Borges è tutto questo e anche oltre. Due racconti mi hanno colpito particolarmente: La casa di Asterione (capolavoro) e lo Zahir. Altri invece mi hanno annoiato. Altri ho fatto fatica a capirli e ho dovuto rileggerli (il linguaggio a volte non è molto semplice e alcuni passaggi risultano complessi). È liberale non solo come ideologia Borges, ma è liberale anche quando scrive, mette l'uomo al centro, e poi tutto il resto intorno. Va letto un libro come questo, magari a tratti lo troverete pesante e difficile da seguire, a tratti eccessivo, ma se vi fermate a pensare alla fine di ogni racconto sicuramente vi farà aprire gli occhi su qualcosa che fino a poco prima avevate davanti ma non notavate. Geniale.

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L'Aleph 2014-05-26 18:57:54 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    26 Mag, 2014
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La Storia e le storie

I diciassette racconti racchiusi in questo libro sono indubbiamente particolari.
Il loro autore, del resto, è uno scrittore particolare... praticamente unico: considerato uno dei massimi narratori sudamericani (di Buenos Aires), citatissimo dai più eruditi tra i suoi colleghi (e già essere amato dagli scrittori, come scrittore, non è cosa facile), circondato di un'aura “speciale” (ancora trova spazio una diceria secondo cui, in realtà, non sarebbe mai esistito alcuno scrittore di nome Jorge Luis Borges).
La sua scrittura è colta, pregna e impegnativa, piena di rimandi ai miti e alla classicità (greci, romani, ma anche civiltà preellenistiche). Eppure la capacità di narrare è a suo modo essenziale, in grado di ripagare chi non la “teme”.

“L'Aleph” è una fucina di storie minori scovate nelle pieghe della Storia, o, in altri casi, di una Storia che accetta di “flettersi" verso storie minori. Che non è la stessa cosa.
Non stupisce allora di incontrare un Omero che, per aver bevuto alla fonte dell'immortalità, sembra essere diventato un personaggio di quell'Odissea che continua incessantemente a raccontare; né il soldato tedesco Otto Dietrich zur Linde, che in pieno 1943, si augura la prosperità di altri popoli mentre osserva la catastrofica caduta del suo Reich. Non meraviglia trovare la disputa teologica tra Aureliano e Giovanni di Pannonia (che in realtà scrivono le medesime cose) accanto alla storia di Droctulft, l'invasore longobardo che cambiò parte, accettando di morire al fianco dei ravennati invasi da quella che era stata la sua gente.
Non mancano racconti brevi e notevoli:
ne “I due re e i due labirinti”, un sovrano babilonese invita nel proprio regno un monarca indiano per poi farsi beffe di lui, ed infilarlo in un intricatissimo labirinto pieno di muri, porte e corridoi, da cui lo tirerà fuori solo quando l'altro, ormai scoraggiato, inizierà a pregare il suo Dio. Quando, per uno scherzo del destino, toccherà al re babilonese essere rinchiuso da quello indiano, si troverà in un labirinto senza corridoi né muri né porte... da cui però non riuscirà ad uscire;
nel geniale “La casa di Asterione”, costui riconduce al suo essere unico il motivo per cui tutti lo scansano e raccontano falsità sul suo conto: eppure, egli dice, quella enorme e spartana casa nella quale abita non è mai chiusa ad altri, e mai lui ricorda di aver recato offesa a chiunque. Solo alla fine, quando saranno altri a parlare, il lettore saprà chi è davvero Asterione e che conosce benissimo lui e la sua storia.

Racconti di genere “fantastico”: così lo stesso Borges, a margine del volume, classifica queste storie. Tuttavia non si tratta di quella definizione oggi comunemente usata per classificare un certo genere letterario, bensì di storie che giocano con lo spazio, il tempo, la memoria – a volte con tono dolente e altre con il gusto della sfida – fino a raggiungere dei sorprendenti paradossi.
Racconti certo non adatti a chi cerca una lettura leggera, o comunque non gradisce il tipo di erudizione di cui si è detto. Consigliati, invece, a chi non disdegna di... meravigliarsi.

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Consigliato a chi ha letto...
libri la cui forza attrattiva ha poi cercato in altri testi, ritrovandola di rado...
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L'Aleph 2014-02-26 12:07:40 Elisabetta.N
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Elisabetta.N Opinione inserita da Elisabetta.N    26 Febbraio, 2014
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L'Aleph

Non è semplice dare un giudizio su questo libro. Non è mai semplice dare un giudizio, ma nel caso di una raccolta di racconti, il compito si fa ancora più difficile perché spesso, a seconda dell’argomento trattato, un brano può essere piaciuto di più o di meno..
Questo è esattamente quello che è capitato a me.

Ho adorato il primo racconto, “L’Immortale”, per l’immagine che la descrizione del palazzo mi ha suscitato: mi ha ricordato infatti il dipinto “Relatività” di Escher, che tanto avevo amato per la sua irrazionale logica (il dipinto rappresenta la relatività del punto di vista, ciò che è pavimento per uno può essere il soffitto per altro).
Infine mi è piaciuto l’ultimo racconto, quello che dà il nome alla raccolta, per l’idea di un singolo punto che racchiude al suo interno interi e infiniti universi.
Gli altri racconti mi sono rimasti impressi, chi più chi meno, per i personaggi che erano molto particolari, ma che, allo stesso tempo molto umani e rilevatori delle debolezze dell’umanità.

Ammetto che lo stile è un po’ troppo elaborato per i miei gusti e questo non mi ha consentito di leggere il romanzo con il mio usuale ritmo di lettura (in parole povere ho trovato alcuni passaggi molto noiosi…)

Credo che questa sia una lettura molto importante, ma, forse per il momento o i miei impegni, non sono riuscita ad apprezzare appieno questa raccolta.

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