Intima apparenza
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Recensione della Redazione QLibri
la felicità dilata il tempo
Godolphin è l'immaginario tranquillo quartiere di Boston in cui sono ambientati la maggior parte dei venti racconti di “Intima apparenza”, l'ultima raccolta di Edith Pearlman.
Protagonisti di queste storie sono uomini, ma soprattutto donne, che sanno ascoltare le confessioni di chi custodisce un segreto e sanno vedere oltre l'apparenza per carpire ciò che si nasconde nell'animo umano. Vite esternamente soddisfacenti, talvolta ben mascherate da professioni appaganti, ma interiormente devastate da un dolore che trova consolazione solo nel riconoscimento, negli altri, della medesima condizione.
Storie di solitudini e di rimpianti, come nel caso di Page, protagonista del primo racconto, e di Bobby, cliente del salone di pedicure che lei gestisce; Page vive nel rammarico di non essere stata in grado di preservare la vita di suo marito, partito per la guerra senza che lei si opponesse con decisione. Bobby, tranquillo professore universitario, è stato invece lasciato dalla moglie per via di un'incompatibilità nata nel giorno in cui lui si rifiutò di fermarsi per soccorrere degli automobilisti coinvolti in un incidente di cui era stato testimone. Page e Bobby si ritrovano così accomunati dal peso di un inesprimibile senso di colpa che dovranno scontare fino alla fine dei loro giorni.
Storie di desideri inconfessabili: Ingrid, protagonista del racconto “Pietra”, a settantadue anni lascia New York per recarsi in una cittadina del Sud dove il nipote Chris, che ha una falegnameria, l'ha invitata a collaborare come segretaria. Chris è sposato ed ha una bambina; Ingrid, ancora avvenente, due volte vedova e una figlia ormai adulta, si inserisce nella vita della famiglia finché non si accorge che tra lei e Chris, nonostante trent'anni di differenza, sta nascendo una forte attrazione. Ingrid, per preservare la serenità della famiglia di Chris e scongiurare un eventuale scandalo, deciderà di tornare a New York senza aver mai fatto trasparire il suo sentimento.
Tema ricorrente di molti racconti è la capacità delle persone più sensibili di vedere oltre ciò che appare, ma l'autrice ci avverte: “i segreti bisogna conservarli nel cuore” e “troppa conoscenza uccide la gioia”. Emblematico a tal proposito il racconto “Aspetta e vedrai” che narra di un bambino con un dono speciale: ha una visione pentacromatica che gli consente di percepire più colori rispetto ai normali esseri umani. Questa dote, all'apparenza positiva, reca al ragazzo numerosi disagi sia livello fisico, sia a livello psicologico. Lyle si sente combattuto tra l'accettazione e il rifiuto della sua condizione fintanto che gli vengono regalati degli occhiali che gli inibiscono la percezione multicromatica: Lyle accetta di metterli consapevole che “la verità non ha niente a che fare con la testimonianza degli occhi”.
Significativo sul tema della percezione dei segreti e dei dolori altrui è anche “La Golden Swan”, testo che mi è piaciuto in modo particolare. Il titolo si riferisce al nome della nave da crociera su cui viaggiano due giovani cugine, Robin e Bella. Il racconto è filtrato dallo sguardo di Bella, ragazza insicura, solitaria, affetta da disturbi alimentari; si intuisce che il suo disagio è anche esistenziale, la ragazza si sente sola ed estranea al mondo circostante. Durante il viaggio Bella acquisisce una nuova consapevolezza, inizia a percepire anche in chi la circonda la sua stessa sofferenza e la sua vita si anima di un nuovo appetito, la curiosità. Emozionante il finale del racconto: Bella segue, non vista, la donna delle pulizie che lei aveva considerato, fino a quel giorno, un essere insignificante, spento ed inespressivo e scopre che, nella parte nascosta e più profonda della nave, la donna nasconde un segreto di cui anche Bella si renderà complice.
Edith Pearlman (Rhode Island, 1936) ha ottenuto nel 2012 il National Book Award con la raccolta di racconti “Visione binoculare” (Bompiani); ha pubblicato oltre 250 storie nelle migliori riviste e nelle più famose antologie americane ed è stata insignita di diversi premi letterari; la sua scrittura è stata definita dal New York Times, «intelligente, acuta, divertente, ottima». Il suo stile è stato paragonato ad autori come John Updike, Alice Munro e William Trevor.
I racconti della Pearlman mi sono piaciuti molto, sia per le tematiche trattate, sia per come sono strutturati: gettato in medias res il lettore è reso partecipe della vita del personaggio nel momento in cui sta per accadere qualcosa che ne cambierà l'esistenza; rapide descrizioni e brevi flashback ne inquadrano età, professione, studi, relazioni e come in un puzzle viene ricostruito il retroscena necessario alla comprensione della storia. Lo sviluppo della vicenda è sempre filtrato dallo sguardo del protagonista che conduce il lettore, un passo alla volta, su tragitti talvolta ingannevoli salvo poi svelare, all'ultima pagina, una fulminante verità oppure lasciare la vicenda con un finale aperto.
Le storie si differenziano per struttura, tema, voce narrante, ma nonostante ciò si percepiscono, in tutta la raccolta, una certa uniformità di stile, pacato ed elegante ed una rassicurante atmosfera di calma e di fiducia nel destino e nelle qualità dell'uomo.