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Il signore delle mosche Il signore delle mosche

Il signore delle mosche

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Un aereo cade su un'isola deserta mentre è in corso un conflitto planetario. Sopravvivono solo alcuni ragazzi che si mettono subito all'opera per riorganizzarsi senza l'aiuto e il controllo degli adulti. Sembra il prologo ideale per un romanzo d'avventura che celebri il pragmatismo e il senso della democrazia britannici. Qualcosa invece comincia a non funzionare come dovrebbe, emergono paure irrazionali e comportamenti asociali, da cui si sviluppa una vicenda che metterà a nudo gli aspetti più selvaggi e repressi della natura umana. Il Signore delle Mosche, 14 milioni di copie vendute solo nei paesi di lingua inglese, è la prova d'esordio e il manifesto di William Golding, che ama riconoscersi e riassumersi in questa frase: "L'uomo produce il male come le api producono il miele".



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Il signore delle mosche 2020-09-21 20:51:18 Chiara Semeraro
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Chiara Semeraro Opinione inserita da Chiara Semeraro    21 Settembre, 2020
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L'umanità messa a nudo

Il Signore delle Mosche venne scritto da William Golding, uno scrittore inglese del XX secolo, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (1952) e sembra portare con sé le paure e gli orrori del conflitto appena terminato. È un romanzo di formazione che racconta l’avventura di un gruppo di bambini che dopo un incidente aereo si ritrova su un’isola deserta senza adulti. Sono costretti ad autogovernarsi, ma con il passare del tempo il male prende il sopravvento sui bambini. Nascono rivalità che porteranno il gruppo di ragazzi a dover affrontare eventi tragici.
L’ambientazione de “Il Signore delle Mosche” è realistica (l’isola) e ha valore simbolico. Questo luogo viene presentato ai protagonisti in modo forte e crudele, a causa dell’incidente aereo, e ciò rispecchia l’atmosfera che si crea sull’isola. Infatti, nei bambini, dopo un po’ di tempo passato sull’isola senza una forma di governo ben precisa, comincia ad emergere l’essenza cruda e selvaggia della natura umana.
Ogni personaggio presente nel libro rappresenta un esponente dei ruoli all’interno di una società: Ralph rappresenta il leader, Jack il boss, Piggy il braccio destro di Ralph e gli altri bambini il resto della comunità.
L’autore, con questo romanzo, riesce a mettere in risalto il contrasto tra il bene e il male e la visione pessimistica che ha dell’umanità, attraverso la narrazione delle avventure di un gruppo di ragazzi. L’abilità narrativa di W. Golding riesce a far trasparire questo messaggio senza esplicitarlo. Secondo lo scrittore, nell’essere umano non c’è niente di istintivamente solidale e buono. Già nel bambino si annida una cupa volontà di compiere il male, citando il testo: “L’uomo produce il male come le api producono il miele”.
Ciò che non mi è piaciuto è che la prima parte del romanzo è abbastanza lenta e con tante descrizioni, ma la seconda parte, al contrario, è più veloce ed avvincente e capace di attirare l’attenzione del lettore.
Questo romanzo fa trasparire la vera natura umana e fa riflettere su come non aver paura di saper attendere e non aver paura di essere vittima degli eventi. Infatti, soltanto trovando dentro di noi la possibilità di saper attendere, di saper trovare dei momenti in cui siamo in grado di fare la sintesi di tutto ciò che ci avviene intorno, avremo la possibilità: di interiorizzare le difficoltà che ci circondano, di farne coscienza e di non sentirci più dei naufraghi su un’isola che ricorrono alla violenza per trovare delle loro parti che sono rimaste nel bosco.
Questo romanzo lo consiglio a chi predilige i romanzi di formazione e di avventura. Pur non rientrando nei miei gusti letterari ho apprezzato questo romanzo perché in modo implicito, W. Golding è riuscito a trasmetterci il suo sentimento pessimista nei confronti dell’umanità.

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Il signore delle mosche 2020-04-29 18:29:28 Kvothe
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Kvothe Opinione inserita da Kvothe    29 Aprile, 2020
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MOSCA TZE TZE

Finalmente ho letto questo decantato titolo che mi ha perseguitato per tanto tempo. Citato, osannato e ispirazione per serie tv, cinema e libri, questo romanzo di formazione è una pietra miliare del genere. Vola via che è un piacere e i personaggi sono ben caratterizzati e tra le righe fa crescere la tensione piano piano. Mi è piaciuto molto e se non l’avete ancora fatto leggetelo perché i classici lasciano sempre qualcosa nel bene e nel male e questo ne ha di cose da lasciare. Mi è piaciuta come sono contrapposte le varie nature presente nell’ uomo che sono presenti in tutti noi e che dalla nascita istintivamente ne prevale più una che un’altra in una continua lotta per combattere l’istinto animale. Un passo che mi ha colpito particolarmente è di quando ralph andando avanti con il romanzo venga sempre richiamato da piggy (coscienza) al loro scopo primario e cioè al fuoco e all’ importanza di esso. Il protagonista infatti con l’andare del tempo si piega anche lui alla natura e all’ istinto e tende sempre di più a dimenticare la sua persona che si andrà a confondere con gli altri. Tendiamo sempre a pensare di noi stessi una cosa ma all’ interno di queste situazioni la nostra momentanea diffidenza verso quella cosa è conquistata e quando la si prova si ha la curiosità e l’ ebbrezza animale che pervade di adrenalina l’uomo. Questa cosa è acuita ancora di più rendendo i protagonisti i ragazzini che con la loro personalità non ancora del tutto formata e con il lato selvaggio che si strascica negli anni ma che rimarrà per sempre parte di loro. Alla fine l’uomo di per sé è animale e inserito in un determinato contesto lo rivela sempre (o quasi). Il distacco da questi istinti è un illuminazione anche se può limitare in altri frangenti. L’ equilibrio nel non abbandonare la parte selvaggia ma limitarne gli aspetti più grotteschi e non umani è la chiave (parere personale). Il finale è un crescendo e mi è piaciuto veramente molto evocando in me delle belle immagini forti.

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Romanzi di formazione
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Il signore delle mosche 2020-04-27 09:57:10 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    27 Aprile, 2020
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Involuzione della civiltà in 200 pagine

"Il Signore delle Mosche" è romanzo a tesi che rientra per molti aspetti nel genere della distopia classica, risultando idealmente vicino soprattutto a "La fattoria degli animali" di George Orwell con il quale condivide il passaggio dall'illusoria utopia, conseguenza di una situazione di improvvisa libertà (in un caso dal fattore Jones, nell'altro dagli adulti), alla violenta distruzione di ogni traccia di civiltà.
La trama, sfruttata da un moltitudine di romanzi successivi come "Battle Royale" di Koushun Takami o la trilogia The Hunger Games di Susanne Collins, ci porta su un'isola deserta dove -dopo un tragico incidente aereo- si trovano a naufragare un gruppo di ragazzini inglesi, senza alcun genitore o insegnante che possa vigilare su di loro. In un primo momento questa situazione sembra quasi idilliaca, con i bambini entusiasti di questo luogo incontaminato

«Accarezzò un momento il tronco di palma e, costretto alla fine a cedere alla realtà dell'isola, rise di nuovo di gioia e fece un'altra capriola.»

e dell'assenza di imposizioni esterne. Due ragazzi decidono di riunire gli altri usando una conchiglia, oggetto che diventerà ben presto simbolo della loro neonata società, tanto da perdere poi progressivamente colore con la scomparsa di limiti morali; infatti, inizialmente i protagonisti dimostrano un naturale ribrezzo nei confronti della violenza, com'è evidente nel loro primo incontro con uno dei maiali che popolano l'isola:

«Lo sapevano benissimo perché non l'aveva colpito: per quell'enormità del coltello che scendeva a immergersi nella carne viva, per quella cosa insopportabile, quel sangue.»

non passa però molto tempo perché la caccia diventi non solo accettata, ma anche vista come qualcosa di emozionante e più importante del fuoco per le segnalazioni o della cura dei piccoli.

«"Io ho continuato", disse Jack. "Li ho lasciati andare. Io dovevo continuare. Io..."
Cercava di far capire il bisogno che aveva d'inseguire e di uccidere, un bisogno irresistibile.»

La situazione si fa quindi via via più brutale, specialmente nel momento in cui i personaggi iniziano a considerare come vere delle paure irrazionali: ecco che un paracadutista precipitato nella notte diventa una bestia feroce da temere

«"Ma le leggi sono l'unica cosa che abbiamo!"
Ma Jack gli gridava contro, in piena rivolta.
"Chi se ne frega delle leggi! Noi siamo forti... siamo cacciatori! Se c'è una bestia, le daremo la caccia! [...]"»

o alla quale offrire sacrifici. Il ritorno ad un comportamento da primitivi fa sì che si perda anche il desiderio di essere salvati e lasciare l'isola, come capitava agli abitanti de "Il condominio" di J.G. Ballard, pur rendendosi conto del rischio concreto di poter morire lì.
Tutti i personaggi sono scritti con grande attenzione, anche quelli privi di nomi come i bambini più piccoli o l'ufficiale di marina, che si erge a giudice del comportamento dei ragazzi quando lui per primo ha un ruolo attivo in un mondo in guerra. Ovviamente tra i giovani naufraghi alcuni vengono caratterizzati maggiormente, come l'impetuoso Jack e il riflessivo Piggy ma soprattutto Ralph, dotato del carisma naturale del leader.

«[...] se qualcuno aveva dato prova di intelligenza era Piggy, mentre era ovvio che Jack aveva la stoffa del capo. Ma c'era qualcosa di eccezionale nella calma con cui Ralph sedeva immobile.»

I dialoghi sono il tallone d'Achille del romanzo, perché spesso risulta incomprensibile chi stia parlando e quale tono venga adottato, specie nelle scene in cui sono presenti molti personaggi; l'autore sembra non voler perdere tempo ad indicare le voci nelle conversazioni, come avesse troppa fretta di riportare ciò che viene detto.
Molto valide e suggestive sono invece le descrizioni dell'isola, e non solo; Golding non usa delle immagini troppo ricercate, puntando invece su in risultato immediato e più efficace: ecco come la luna calante si trasforma in un'unghia, il fulmine che brilla in cielo in una cicatrice e le fiamme in movimento da un ramo all'altro in uno scoiattolo salterino.
Il romanzo è ricco di simbolismi, concretizzati in diverse immagini evocative, ognuna con un significato da scoprire: la già menzionata conchiglia, il fuoco in cima alla montagna, la testa del maiale, la danza dei cacciatori. L'autore crea anche degli interessanti parallelismi, come nella scena in cui uno dei piccoli lancia della sabbia mentre poi vediamo Roger lanciare ben altro sull'inconsapevole Henry.

«Il braccio di Roger era condizionato da un civiltà che non sapeva nulla di lui ed era in rovina.»

Da notare anche come il solo a comprendere la realtà dietro le sciocche superstizioni sia Simon. Lui è l'unico a cercare di scoprire e poi comprendere la vera natura della bestia,

«[...] Simon si volse verso la povera figura spezzata che giaceva accanto a lui e ammorbava l'aria. La bestia era innocua e orribile: bisognava farlo sapere a tutti al più presto.»

ma al tempo stesso è il più folle di tutto il gruppo. La pazzia diventa quindi sinonimo di razionalità, mentre i sani hanno ceduto al loro lato bestiale.

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Il signore delle mosche 2019-11-16 16:14:52 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    16 Novembre, 2019
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“Teniamo il fuoco acceso”

Romanzo ben scritto, ma decisamente al di sotto delle aspettative, poco verosimile, non privo di fastidiosi accenti nazionalistici e ormai piuttosto datato.
Nella prima parte, le descrizioni particolareggiate di un'isola, in cui un gruppo non meglio identificato di ragazzini inglesi si ritrova dopo un incidente aereo, appesantiscono una trama già di per sé soporifera, con i toni un po' ridontanti della commedia.
Per contro, la spiegazione delle strategie di sopravvivenza adottate dai ragazzi in questione è liquidata il più delle volte con un generico accenno a scorpacciate di frutta e a certi “rifugi” tirati su alla bell'e meglio.
Il fuoco, che nel corso della narrazione diventerà simbolo di civiltà contro il buio della ragione (“Teniamo il fuoco acceso”), lo accendono in quattro e quattr'otto col riflesso del sole attraverso un paio di occhiali, più efficaci di un lanciafiamme.
Andando avanti, il ritmo incalza ma la retorica si spreca con i buoni – pochi – da una parte e i cattivi dall'altra, la democrazia letteralmente in fumo da una parte e i soprusi di una dittatura selvaggia dall'altra. Dittatura appoggiata dalla stragrande maggioranza, vuoi per debolezza vuoi per la natura fondamentalmente brutale dell'essere umano.
Cosa resta? Di sicuro, non abbastanza per parlare di capolavoro letterario: una discreta capacità introspettiva dei personaggi e un finale emozionante e paradossale.

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Il signore delle mosche 2018-10-26 13:09:24 ChiaraC
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ChiaraC Opinione inserita da ChiaraC    26 Ottobre, 2018
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Quel maledetto finale

Quel maledetto finale.

Allora, io detesto i critici che spesso e volentieri commentano una mia storia con il classico "Il finale non mi e' piaciuto, potresti sostituirlo?" oppure "Questa parte non mi e' piaciuta, come mai il tuo personaggio fa questo e non quello?"
BENE. Storia mia decido IO come deve finire. Quindi detesto commenti del tipo "non mi piace il finale, non doveva finire in questo modo etc etc".
Mi ritrovo pero' a dover fare la stessa critica per Il signore delle mosche.

Idea geniale, alcuni bambini sono gli unici sopravvissuti di un'incidente e si ritrovano a dover vivere come selvaggi su un'isola deserta. La loro prima scelta e' cooperare, ma poi le cose degenerano...
Eccellente critica della societa' e dell'animo umano, che ne rivela tutti i lati piu' turpi e bestiali. I bambini partono con l'essere cooperativi, pieni di buoni propositi, e si ritrovano a scadere nelle logiche tribali, nella legge del clan, finiscono con il perpetrare strani riti e a venerare teschi di cinghiale...

I personaggi sono un po' semplici e stereotipati, ma funzionanti, infondo si parla di bambini. La storia dipinta con crudezza e con un pathos che ti lascia con il fiato sospeso e ti fa pulsare il cuore a mille fino a quando...non vedi il finale.



Insomma, leggetelo si', sono solo rimasta delusa dalla fine e generalmente e' una critica che ho sentito spesso fare per questo romanzo.

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Il signore delle mosche 2018-10-25 08:49:19 Liebestraum
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Liebestraum Opinione inserita da Liebestraum    25 Ottobre, 2018
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Forte, vero e crudo.

Uno dei libri più forti, veri e crudi che abbia mai letto.
Un gruppo di bambini precipita su un'isola deserta e da qui devono iniziare ad organizzarsi senza l'aiuto degli adulti.
Così da soli e senza guida precipiteranno, lentamente (ma non troppo), verso un baratro di barbarie che mette a nudo la vera essenza, cruda e selvaggia della natura umana.
immagini forti, descrizioni a volte raccapriccianti fanno da sfondo ad un romanzo che rappresenta una pietra miliare della letteratura mondiale.
Personaggi definiti. Dialoghi diretti dai quali emerge tutta la cruda realtà di un gruppo di bambini che deve crescere troppo in fretta.
Duro e spietato. Un romanzo che non fa sconti.
Da leggere per scendere sino in fondo alla più lercia (e vera) natura umana.


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Il signore delle mosche 2018-05-11 07:25:28 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    11 Mag, 2018
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INNOCENZA PERDUTA

”Il Signore delle Mosche” ha la semplicità e l’immediatezza narrativa di un romanzo d’avventura alla Verne (“L’isola misteriosa”) o alla Defoe (“Robinson Crusoe”), ma anche la lucidità e la profondità analitica di un saggio antropologico o di un esperimento scientifico. Se all’inizio è il primo aspetto ad emergere di più, rischiando erroneamente di far scambiare il romanzo di Golding per uno dei tanti esempi di narrativa per ragazzi, è in realtà il secondo a rivelare sintomaticamente le provocatorie intenzioni dell’autore: verificare cioè le reazioni e le conseguenze che possono essere innescate dal verificarsi di una particolare situazione limite, quella di un gruppo di fanciulli inglesi che viene strappato improvvisamente alla vita disciplinata del college e della famiglia e catapultato in un’isola deserta senza la presenza degli adulti, in una libertà totale e priva di limiti. Ad essere messo in discussione è innanzitutto il mito del buon selvaggio, ossia la teoria, largamente condivisa, che, nel contrasto tra natura e cultura, è la prima a garantire il più favorevole dispiegamento delle potenzialità umane. Nella realtà i ragazzi, abbandonati a loro stessi e costretti a lottare per la sopravvivenza, fanno gradualmente venire allo scoperto l’autentica natura dell’uomo, e purtroppo questa natura è quanto di più amorale, ferino e selvaggio si possa immaginare.
La presunta innocenza dell’infanzia viene smentita fin dalle prime pagine e i ragazzi, privi di ogni controllo esterno e con l’inebriante possibilità di far prevalere i loro istinti, finiscono per costruire una società che è la brutta copia di quella da cui provengono. Non c’è tanto nel romanzo una funzione pedagogica (del tipo, i ragazzi hanno bisogno della guida e del sostegno dei grandi), quanto un più generale ammonimento intriso di pessimismo: senza l’uso della ragione (che non è per nulla naturale ed innato, ma il prodotto di un’educazione, e quindi di un condizionamento) si rischierebbe facilmente che le relazioni umane cadano nelle spire autodistruttive della violenza e della prevaricazione. I diritti, i princìpi e i valori che noi oggi diamo per scontati sono infatti il frutto di faticose conquiste, e devono essere continuamente difesi da tentazioni irrazionali che di tanto in tanto, puntualmente, riemergono (è significativa in questo senso la vicinanza temporale del romanzo alla Seconda Guerra Mondiale), rischiando di far precipitare la Storia in un nuovo Medioevo (cui indubbiamente l’isola abbandonata allude).
Nel romanzo i ragazzi, come in ogni raggruppamento sociale, si dividono naturalmente in gregari e leaders, e questi ultimi a loro volta incarnano le due facce, perennemente in conflitto, del potere. Mentre Ralph è il capo democratico, rispettoso delle regole e della volontà popolare (simboleggiate dalla conchiglia, la quale è sia il simbolo dell’autorità sia il viatico per esprimere l’opinione individuale di ciascuno), Jack è il dittatore autoritario, abile nello sfruttare con cinica spregiudicatezza l’innegabile carisma che possiede e pronto a ricorrere all’uso della forza ogni volta che si tratta di far valere le proprie ragioni. “Da una parte c’era il mondo brillante della caccia, della tattica, dei giochi feroci e pieni di destrezza; dall’altra il mondo del senso comune, con le sue aspirazioni e con le sue delusioni”. Mentre all’inizio a prevalere è Ralph, e gli sforzi di tutti riescono ad essere convogliati verso il bene comune (la costruzione dei rifugi, l’accensione del fuoco), con il trascorrere del tempo è Jack, sempre più insofferente del suo ruolo subordinato, a prendere il sopravvento e a proporsi come guida della comunità, spostando gradualmente il baricentro dell’agire collettivo verso attività maggiormente legate agli istinti primordiali, come la caccia, le danze rituali e i sacrifici alle potenze misteriose dell’isola. Più in generale, il gruppo di ragazzi, che in principio ha come scopo precipuo quello di farsi salvare, si fa pian piano sopraffare dalle forze oscure dell’inconscio (la paura della Bestia) e, per proteggersi da esse, istintivamente abbandona la ragione e si abbassa a compiere le azioni più turpi. E’ esemplare a questo proposito la sorte riservata a tre personaggi secondari del romanzo: Piggy, Simone e Ruggero. Mentre i primi due, che rappresentano le istanze dell’intelletto e della spiritualità, diventano con la loro morte le vittime sacrificali della maggioranza accecata, l’ascesa del terzo esprime l’inquietante deriva violenta del potere, il terrore che segue ad ogni rivoluzione.
Golding racconta il suo apologo senza pedanteria e senza didascalismi, fa un uso accorto dei simboli e, soprattutto, non trascura mai le esigenze del racconto, il quale si sviluppa con una progressione continua ed incalzante, fino al folle orgasmo della caccia all’uomo finale. Pur nel suo schematismo narrativo e nella sua semplicità lessicale, “Il Signore delle Mosche” contiene delle acute riflessioni sul fascino irresistibile che le pulsioni irrazionali e dionisiache esercitano anche sugli animi che coraggiosamente vi si oppongono. Perfino Ralph, l’unico che fino al termine si sforzi di rimanere ancorato ai valori del vecchio mondo, è costretto infatti a confessare con vergogna di essere stato la notte prima ipnoticamente attratto dall’orgiastica danza culminata con l’omicidio di Simone. “Il Signore delle Mosche” è così uno di quei romanzi destinati a rimanere impressi nell’immaginario collettivo, perché, al di là dei suoi indubbi meriti letterari, riesce a mostrarci, in quel vero e proprio specchio deformante che è la narrazione in forma di parabola, l’eterno e immutabile substrato di violenza che, sotto la facciata di civiltà, tradizioni, abitudini e convenzioni, si nasconde dentro all’animo di ciascuno di noi.

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Il signore delle mosche 2016-01-07 08:13:33 Misspix
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Misspix Opinione inserita da Misspix    07 Gennaio, 2016
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L'innocenza dei bambini è una menzogna.

Perfetto. Non è il romanzo migliore di Golding ma è difficile trovare studente che non abbia sfogliato le pagine di questo libro.

Partiamo dal presupposto che in questa sua produzione non c’è nulla di rassicurante. Non il titolo, né tantomeno la trama.

Che l’autore fosse convinto della malvagità insita nei bambini ce ne eravamo accorti dal famoso esperimento portato avanti durante gli anni dell’insegnamento.
Lascia un gruppo di bambini soli in classe a discutere di un argomento e ci scapperà il morto.
Non si è arrivati a questo punto ma come rivelato da un testimone dell’epoca la verità non è molto lontana.

Da questa convizione nasce il Signore delle Mosche. E’ un idea che ossessiona lo scrittore a tal punto che passa ogni momento libero a scrivere, a casa, a scuola, in ogni occasione possibile

Partorisce Ralph, Piggy ,Simon, Jack, i gemelli e sopratutto "L’isola", luogo di meraviglie e bestie oscure. Cosa succederebbe se gli unici sopravvissuti di un disastro aereo fossero dei bambini?

Il romanzo ha il pregio di guidarci dal sogno all’incubo con naturalezza. I personaggi sono definiti anche se incastonati in maschere stereotipate che ne appiattiscono lo spessore emotivo.

Lo stile non entusiasma ma non annoia. L’azione negli ultimi capitoli del romanzo si fa serrante e sfocia in un finale che a mio parere poteva essere maggiormente curato, soprattutto nei dialoghi conclusivi. Ho avvertitola stanchezza dell’autore nella chiusura della vicenda.

Nonostante queste considerazioni consiglio sicuramente la lettura di questo romanzo per la capacità di turbarci, inquietarci e infine farci riflettere sulla parte buia che vive in ognuno di noi. Quella stessa parte che Golding non fa fatica ad accettare come parte di se stesso.

“Con la mancanza di sonno e con molta intelligenza sono cresciuto un po' pazzo, penso, come tutti gli uomini che vivono sul mare molto vicini gli uni agli altri, e così vicini tuttavia a tutto ciò che è mostruoso sotto il sole e sotto la luna.“ (W.Golding)


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"La fattoria degli animali" di G. Orwell
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Il signore delle mosche 2015-08-24 16:28:14 Martin
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Martin Opinione inserita da Martin    24 Agosto, 2015
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Riflessione sul potere



William Golding deve la sua fama al Signore delle Mosche, un romanzo, da lui scritto e poi pubblicato nel 1954, che è ben ascrivibile alla gloriosa lista dei classici della letteratura di tutti i tempi. La trama si dipana a partire da un evento particolare: un gremito gruppo di ragazzi e bambini sopravvive a un incidente aereo e si scopre “gettato” su un’isola disabitata, lontana dal mondo degli adulti e delle regole. Sono due i ragazzi, l’avveduto Ralph e il temibile Jack, che si sfidano per detenere il potere, necessario per dar forma a una nuova civiltà, a nuove regole. A vincere la sfida è Ralph, eletto democraticamente, ma ben presto la sua “pedocrazia” si dimostra fallimentare e minata nelle fondamenta da paure che serpeggiano, viscide, fra i ragazzi, spaventati da una misteriosa Bestia che dimora sulla montagna, nel cuore della foresta. Crollato il tentativo di costruire una società, Jack e i suoi fedelissimi si allontanano da Ralph e regrediscono allo stadio di meri selvaggi, cominciando a compiere barbarie e delitti. Ralph diventa un avversario, un pericolo, un fuorilegge.
La storia, che procede a tinte sempre più fosche, si conclude con il salvataggio dei ragazzi “sopravvissuti”.
“Avrei pensato che un gruppo di ragazzi inglesi… Siete tutti inglesi, no?… Sarebbero stati capaci di qualcosa di meglio…” sono le parole amareggiate del militare che salva Ralph dalla furia di Jack e dei suoi cacciatori nell’ultimo capitolo.
La narrazione è ostruita qua e là da un descrittivismo naturalistico che toglie spazio alla caratterizzazione dei personaggi, che si rivelano solo abbozzati, ma in fin dei conti è scorrevole, icastica, piacevole, densa di significati degni d’analisi.
Il tema portante dell’opera è il male, che riesce a insinuarsi anche nelle menti di giovanissimi, ma trovo interessantissime le riflessioni circa il potere e i suoi meccanismi cui il libro conduce.
Il potere che sembra trovare suo punto d’origine nella paura più nera e ancestrale, come del resto formulò Thomas Hobbes: entrambi i leader, infatti, puntano la loro “campagna politica” su due paure, quella di rimanere per sempre sull’isola (Ralph è ossessionato dalla necessità di creare segnali di fumo) e quello irrazionale della Bestia, che Jack esorcizza e utilizza per manipolare i suoi uomini. Il potere che fa uso dei simboli (la conchiglia bianca di Ralph e il bastone con la testa di maiale di Jack), dell’efficacia delle immagini per trasmettere sensazioni e stimoli. Il potere che s’innerva in gerarchie marcate con la violenza. Il potere che ha bisogno di capri espiatori per spostare l’attenzione dalle proprie debolezze (il visionario Simone che sa la verità sulla Bestia viene scambiato per la Bestia stessa).
Il potere che è proiezione degli egoismi umani, cui non sono da escludersi neppure i fanciulli.

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Il signore delle mosche 2015-07-09 12:07:59 Kaonashi
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Kaonashi Opinione inserita da Kaonashi    09 Luglio, 2015
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Alte pretese, rispettate solo in parte

Ne “Il signore delle mosche” ci viene narrato di un gruppo di ragazzi, bambini ed adolescenti, che in seguito al crollo di un aereo finiscono in un’isola. La componente narrativa è quasi secondaria rispetto alla psicologia umana, che Golding tenterà di mettere a nudo nell’esporre le diverse debolezze e gli istinti che prenderanno piede in ogni bambino.

I personaggi, va detto, si poggiano su degli stereotipi assai comuni. I topoi letterari a cui essi riconducono possono immediatamente essere scorti anche dal lettore più inesperto, che potrà notare come la marmaglia di bambini è composta dal protagonista (Ralph), il quale pur essendo un ragazzo del tutto nella norma viene visto come speciale dagli altri, dal tipico “bullo” geloso del protagonista, dal bambino socialmente imbranato cui il protagonista si legherà, e cosi via. Realisticamente non si riesce a notare, nel corso della lettura, un reale sforzo compiuto per differenziare i personaggi gli uni dagli altri, che tranne i tre sopracitati si andranno a collocare all’interno di un mucchio nel quale difficilmente si andranno a discernere gli uni dagli altri. Narrativamente infatti, dal punto di vista prettamente del romanzo, Il signore delle mosche mostra qualche debolezza. Le vicende sono narrate con molta lentezza, trascurando molti meccanismi causa-effetto e portando ad uno sviluppo psicologico di fatto estremamente semplice, che non conferisce profondità a dei personaggi nei quali risulta quasi impossibile osservare delle figure reali. Il setting e la particolare premessa della vicenda è ciò che lega il lettore e lo porta a continuare, seppur purtroppo l’assai prevedibile svolgimento, composto da una lenta degradazione degli aspetti sociali dell’umanità verso il selvaggio, non riesca a soddisfare come ci si aspetterebbe. Va inoltre segnalato, e qui non sono purtroppo in grado di attribuire la colpa a Golding oppure al traduttore, che la lettura è assai poco scorrevole. Il libro prosegue dando per scontato fin troppo e con dei dialoghi che, pur dovendo rappresentare dei bambini, risultano nella maggior parte dei casi ai limiti della superficialità, portando a delle interazioni umane ripetitive e a tratti quasi incomprensibili. Golding risulta inoltre assai altalenante nel suo modus scribendi, decidendo di trascurare dettagli e precisione nelle descrizioni che probabilmente avrebbero conferito una maggior immersione nella vicenda, a discapito di altri dettagli che invece ci vengono comunicati costantemente, con una ripetizione quasi martellante, come il gesto del protagonista per sistemare i propri capelli. Il più grande problema de “Il signore delle Mosche” è l’immensa creazione di aspettative nel lettore per un romanzo con tantissime potenzialità, sia narrative che introspettive, ma che si riduce ad una piuttosto breve lettura che riesce a raggiungere solo dei brevissimi picchi sul finale, trascurando grossolanamente la narrazione nella fase centrale a discapito di non troppo convincenti digressioni.

E’ quindi tutto da buttare via ne “il signore delle mosche”? Assolutamente no, e sarebbe pretestuoso per un comune lettore come me affermare questo. Pur nei suoi problemi, riesce ad offrire un interessante spaccato di istintualità e natura umana posta in una situazione diversa dal solito. L’idea di base proposta è ottima, e nel finale riesce a raggiungere interessanti, seppur brevi, picchi di intensità. Riesce inoltre, a proporre numerose allegorie interessanti, sulle quali il lettore più interessato potrà ragionare e costruirsi una propria idea su quanto proposto: nota positiva a tal proposito è uno dei punti più forti della scrittura di Golding, che non rende nulla evidente e costringe il lettore a pensare con la propria testa.

Trattasi quindi di un’interessante opera pessimistica che, pur forse non essendo il meglio a cui si potesse ambire – specie considerando la pretenziosità implicita nell’opera stessa – risulta comunque un potente catalizzatore di pensieri nel soggetto che lo legge.

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