Il muro
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Stimolante flusso di pensieri
Cinque storie scritte magistralmente, apprezzabili sia per la forma che per il contenuto, apparentemente diverse tra loro ma piene di aspetti in comune. Contesti diversi, protagonisti differenti, storie disparate, eppure accomunate dal contrasto tra paura e coraggio, dal profondo senso di sconfitta che attanaglia l'essere umano, dalla forte carica filosofica, introspettiva, per molti aspetti anche sensuale. Non si tratta di racconti fini a se stessi. Le vicende narrate spingono il lettore a riflettere, porsi domande, mettere in discussione il proprio io e le proprie certezze, stimolando un flusso di pensieri che scorre parallelo alla lettura, incanalato delle parole dell'autore ma capace di rompere gli argini e spaziare verso altre mete. Si parte con "Il muro", storia che dà il titolo alla raccolta, in cui seguiamo le ultime ore di un condannato a morte, Pablo, che insieme ad altri due commilitoni e ad un medico chiamato a dare supporto morale, attende in uno scantinato gelido e pieno di umidità, l'ora dell'esecuzione. I pensieri di Pablo sono freddi, razionali. Il suo interrogarsi sul senso della vita lo porta ad affrontare la morte con indifferenza, quasi si rendesse conto dell'insensatezza dell'esistenza, dell'inutilità delle azioni compiute in vita. Ma, mentre la mente resta lucida e distaccata, il corpo, quasi avesse vita a sé, non può fare a meno di sudare, tremare, esternare la propria paura. "Nello stato in cui mi trovavo, se fossero venuti ad annunciarmi che potevo tornarmene tranquillamente a casa mia, che mi avevano graziato, la cosa mi avrebbe lasciato indifferente: qualche ora o qualche anno d’attesa è assolutamente la stessa cosa, una volta che si è perduto l’illusione d’essere eterni. Non tenevo più a niente, in un certo senso, ero calmo. Ma era una calma orribile, a causa del mio corpo: il mio corpo, io vedevo coi suoi occhi, udivo con le sue orecchie, ma non era più me; sudava e tremava da solo e non lo riconoscevo più. Ero costretto a toccarlo e a guardarlo per sapere cosa gli succedeva, come se fosse stato il corpo d’un altro. A momenti lo sentivo ancora, sentivo degli slittamenti, delle specie di cadute, come quando siamo in un aeroplano che cala in picchiata, oppure mi sentivo battere il cuore. Ma ciò non mi rassicurava: tutto quel che veniva dal mio corpo aveva un’ariaccia losca. Per lo più esso taceva, stava tranquillo e non sentivo altro che una specie di pesantezza, una presenza immonda contro di me; avevo l’impressione d’esser legato a una putredine enorme. Un momento mi tastai i calzoni e sentii che erano umidi; non sapevo se fossero bagnati di sudore o d’orina, ma per precauzione andai a pisciare sul mucchio di carbone". "La camera" racconta il contrasto tra il signor Darbédat e la figlia Eva, colpevole secondo lui di negarsi al mondo, alla società, ai suoi stessi genitori, per assecondare la follia del marito Pietro. L'uomo, ormai privo di senno, si è rinchiuso in una stanza buia da cui non vuole più uscire, ossessionato da statue volanti che lo tormentano. Eva però non ha nessuna intenzione di farlo internare, anzi lo asseconda, rimane al suo fianco, incapace di recidere la corda che la tiene legata a lui in maniera morbosa e sensuale. Perché per lei non può esistere vita fuori da quella camera. "Ebbe improvvisamente un desiderio violento di veder Pietro; le sarebbe piaciuto poter ridere con lui del signor Darbédat. Ma Pietro non aveva bisogno di lei; Eva non poteva prevedere l’accoglienza che le riservava. Pensò d’un tratto con una specie d’orgoglio che in nessun luogo c’era più posto per lei. «Gli uomini normali credono ancora ch’io sia dei loro. Ma non potrei restare neppure un’ora in loro compagnia. Ho bisogno di vivere là, dall’altra parte di questo muro. Ma là, non sanno che farsene di me»". In "Erostrato" siamo alle prese con Paolo Hilbert, un disadattato incapace di interagire con la società civile, pieno di livore nei confronti del mondo, tormentato da manie di persecuzione. Quando l'uomo entra in possesso di una pistola decide di trasformarsi in una sorta di "eroe nero", un novello Erostrato deciso ad incidere il proprio nome nella storia attraverso un gesto eclatante. "Cominciai a credere che il mio destino sarebbe stato tragico e breve. Ciò mi fece paura in principio e poi mi ci abituai. Se si prendono queste cose in un certo modo è atroce, ma da un altro lato, esse dànno al momento che passa una forza e una bellezza considerevoli. Quando scendevo in istrada mi sentivo nel corpo una strana potenza. Avevo su di me la rivoltella, questa cosa che esplode e fa rumore. Ma non era più da lei che traevo la mia baldanza, era da me stesso: ero un essere della specie delle pistole, dei petardi e delle bombe. Io pure, un giorno, al termine della mia oscura vita, sarei esploso ed avrei illuminato il mondo d’una luce breve e violenta come un lampo di magnesio". Lulù è la protagonista di "Intimità", una donna frigida sposata con Enrico, un uomo impotente. La noia, la routine, alcuni atteggiamenti del marito, spingono Lulù, incitata anche dall'amica Rirette, a lanciarsi verso una nuova passione, abbandonando Enrico per fuggire a Nizza con un nuovo amore, Piero. Ma basterà un colpo di testa per diventare una persona diversa? Quanto potrà mai, una nuova avventura, accendere il fuoco in un animo algido come il suo? "Non gemevo! Ma si capisce ha finito per turbarmi, a forza di smaneggiamenti, ci sa fare: ho orrore dei tipi che ci sanno fare, preferirei andare a letto con uno vergine. Quelle mani che vanno diritte dove si deve, che sfiorano, che premono un poco, non troppo… ti pigliano per uno strumento che sono orgogliosi di saper suonare. Detesto che mi si turbi, ho la gola secca, ho paura e ho un sapore in bocca e mi sento umiliata perché credono di dominarmi. Piero, lo schiaffeggerei quando piglia quell’aria fatua e mi dice: ‘Ho la tecnica “. Dio mio, dire che è questa la vita, che per questo ci si veste, ci si lava e ci si fa belle e tutti i romanzi sono scritti su questo e ci si pensa tutto il tempo e finalmente ecco che cos’è, si va in una camera con un tizio che mezzo ti soffoca e che per finire ti bagna la pancia. Voglio dormire: oh se solamente potessi dormire un poco!" Si chiude con "Infanzia d’un capo" in cui conosciamo Luciano Fleurier, giovane rampollo di una stirpe di importanti industriali, e seguiamo il suo percorso di crescita dall'età più tenera fino alla giovinezza. Un percorso come tanti, fatto di studio, di gioco, di amici e famiglia, di esperienze erotiche. Tappe che ogni uomo affronta nella sua esistenza, ma che Luciano non può fare a meno di fronteggiare misurando, ad ogni passaggio, la sua attitudine ad essere un "capo", la sua adeguatezza a prendere un giorno le redini delle industrie di famiglia ed essere un comandante credibile. Ogni volta che il giovane si trova ad interrogarsi sulla questione, non può fare a meno di giudicarsi mancante. "Si sdraiò sul letto e si mise a sbadigliare. Gli sembrava d’essere una nuvola capricciosa e fugace, sempre la stessa e sempre diversa, sempre nell’atto di dissolvere nell’aria i suoi contorni. «Mi domando perché esisto?» Era lì, digeriva, sbadigliava, udiva la pioggia battere contro i vetri, e c’era quella bruma bianca che si sfilacciava nel suo capo: e poi, dopo? La sua esistenza era uno scandalo e le responsabilità che avrebbe assunte più tardi a malapena sarebbero bastate a giustificarlo. «Dopo tutto,non ho chiesto di nascere», si disse, ed ebbe un moto di pietà verso se stesso. Si ricordò le sue preoccupazioni di fanciullo, la sua lunga sonnolenza, ed esse gli apparvero sotto una luce nuova: in fondo, non aveva mai smesso di sentirsi impacciato dal peso della vita, da questo dono voluminoso e inutile, e l’aveva portato fra le braccia senza sapere che farne né dove deporlo. «Ho passato il tempo a rimpianger d’esser nato». Ma era troppo depresso per spingere oltre i suoi pensieri; si alzò, accese una sigaretta e scese in cucina per chiedere a Berta che gli facesse un po’ di tè".
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Realtà aliena
I racconti di Jean Paul Sartre si avvicinano molto di più a trattati filosofici che a semplici romanzi. Sartre, pensatore francese che ha fatto del surrealismo ed esistenzialismo i soggetti delle sue disquisizioni, fa vivere i suoi personaggi in un continuo stato di sofferenza e pena in cui ci si interroga continuamente sulla propria natura e sulla (non) esistenza dei vari oggetti che capitano nella propria mano o sotto i propri occhi. “L’esistenza - fa dire Sartre a un suo personaggio nell’ultimo racconto- è un illusione; dal momento che so di non esistere, non ho che a tapparmi le orecchie, a non pensare più a nulla e mi annienterò. […] Ma l’illusione era tenace”.
Questa è la cornice in cui i personaggi si susseguono tra una storia e l’altra, ritrovandosi sempre spaesati, fuori contesto, incapaci di decifrare intorno a loro quella realtà che sembra addirittura farsi beffe di loro al punto che l’assurdità paventata fin dall’inizio della crisi esistenziale, insita nell’animo di ciascuno, si è trasformata repentinamente in uno sconvolgimento emotivo che spesso e volentieri è sfociato nella pazzia. La diretta conseguenza è l’impossibilità di trovare una via di fuga. Si vedono solo muri invece che strade, morte invece che vita.
Questa struggente analisi interiore non prevede quasi mai dialoghi: il silenzio e la voluta reiterazione di gesti ritmici a cui assistiamo nel primo racconto - il cui titolo è quello del libro - è ciò che riempie e scandisce il tempo in quella cella, buia e fredda, in cui Pablo capisce che il confine tra vita e morte è molto più labile rispetto al muro che si frappone tra lui e la realtà.
Si vive e si pensa in modo estremo. Facciamo conoscenza con un mondo in cui la moderazione e la sobrietà sono banditi: c’è follia (intesa come sconfitta del pensiero razionale sull’irrazionale), surrealismo (inteso come ricerca dei meandri più profondi della mente e dell’uomo) e crisi esistenziale (intesa come incapacità di definirsi e di collocarsi nella società). Che la loro manifestazione sia nei pensieri o nei gesti - a questo punto - poco importa.
Dai silenzi della prima storia si passa a silenziosi urlati e soffocate grida che eruttano in una lacerante lotta interiore. La camera non è solo il titolo del secondo racconto di Jean Paul Sartre, ma rappresenta anche quel luogo in cui paura, amore e assurdo trovano casa perché, in fondo, amare qualcuno appare a coloro che sono estranei a quella relazione come un sentimento logico, ma talora incomprensibile. Quante volte non ci spieghiamo come una nostra amica possa ancora voler amare il proprio fidanzato dopo che questi l’ha tradita più e più volte?
E allora non ci possiamo meravigliare di fronte a una donna che si ritrova nell’incapacità di abbandonare il proprio fidanzato con cui non riesce nemmeno a dialogare e, allo stesso tempo, vorrebbe alienare a sè il proprio padre - perché scettico e riottoso proprio sul fidanzamento della figlia -, ma sa di non poterlo fare perché, in fondo, riconosce che “ha ragione”. La ragazza si trova sola nei propri sentimenti e circondata da muri fisici (la camera) e metaforici (l’incapacità di entrare in sintonia). Emblematica la sua lapidaria constatazione: “c’è un muro tra te e me. Io ti vedo, ti parlo, ma tu sei dall’altra parte”
In fondo non può che essere così, dal momento che l’autore inculca nei suoi personaggi la convinzione che la realtà in cui viviamo sia un’illusione e pertanto priva di ogni felicità. La razionalità dell’uomo si scontra con l’irrazionalità dell’esistenza. Lo scontro produce follia che rischia anche di tradursi in perversioni e dipendenze sessuali o tendenze all’omicidio. Questo succede a chi si interroga sull’esistenza dell’uomo. Sartre utilizza cinque storie il cui comune denominatore è l’ideologia pessimistica, e per certi versi macabra, della sua visione sulla condizione umana.
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Il Muro
Il primo racconto, che dá il titolo alla raccolta, é ambientato durante la guerra civile spagnola e vede come protagonista un anarchico condannato al plotone d'esecuzione. La descrizione dell'ultima notte in cella insieme ai compagni segnati dalla stessa sorte é il pretesto per una riflessione sul valore della vita, o meglio sul valore della vita di una persona rispetto a quella di un'altra. Ma é la morte la vera protagonista, che si insinua nella cella subito dopo la lettura della sentenza. E cosí i condannati sono magistralmente dipinti quali "corpi agonizzanti ancora vivi", grigi come cadaveri, vampiri dal corpo putrido, innaturali come innaturale sembra proprio la morte ed inutile una vita lasciata incompiuta.
Se ogni cosa, incluso l'amore, perde di senso di fronte a tale irreversibile esperienza, insensato sembra pure l'ironico epilogo carico di humour noir.
"La Camera" tratta il tema della pazzia, contrapponendo due visioni antitetiche: quella del padre, che vede nel genero ammalatosi qualcosa di inumano, di diverso, qualcosa di altro per cui non si puó che provare compassione, e quello della figlia, che non hai mai smesso di provare amore per il marito nonostante sia diventato mentalmente infermo, tanto da cercare di tendere verso di lui, di pensare come lui, di entrare nel suo mondo.
Un testo che, senza prendere una posizione, fa riflettere sull'esistenza di una scala di doveri e/o opportunitá e su quale gradino della scala si debba eventualmente stare in casi estremi come quello raccontato.
Si prosegue con un bellissimo racconto sull'alienazione il cui protagonista é un misantropo nel tentativo di compiere un gesto risolutivo che dovrebbe consegnarlo agli annali della storia. E' uno scritto sulla vanitá, sulla debolezza umana, sulla violenza che alimenta sé stessa e, ancora una volta, su contrapposizioni: in questo caso l'io e gli altri.
"Intimitá", ovvero quello che le donne non dicono, ma pensano. Questo il quarto racconto, che consiste principalmente nei flussi di coscienza di due donne, due amiche, entrambe alle prese con la separazione di una di esse dal marito. Amore, tradimento, sessualitá, fisicitá, gelosia, fermezza, indulgenza, egocentrismo, incostanza... emerge un po' di tutto questo dai pensieri delle protagoniste.
"Infanzia d'un capo", racconto di formazione, é certamente il piú politico tra i cinque.
La realtá si mischia al gioco che, visto con gli occhi del bambino, diventa esso stesso realtá. Grande spazio é dato all'interpretazione del comportamento degli adulti ed al rapporto con il proprio corpo, un tema questo che verrá ripreso dal protagonista ormai adolescente con la scoperta di Freud e della psicanalisi. Tra i personaggi che accompagnano la sua evoluzione ne emergono alcuni che, per un naturale ascendente o per carisma, ne segnano le varie fasi della crescita: dal complesso di Edipo in etá infantile all'esaltazione della giovinezza, "inquietudine" e negazione del proprio io in etá adoscenziale, fino all'episodio che sancirá l'avvenuta maturazione, vale a dire la definitiva trasformazione in un capo.
Lotta di classe, esplorazione dell'omosessualitá, antisemitismo, trasgressione, autoaffermazione, influenza delle avanguardie... sono solo alcuni dei temi trattati da questo piccolo capolavoro ricco di spunti filosofici.
Nutro un certo pregiudizio per le raccolte di racconti ma penso che dovró ricredermi: questo libro presenta un perfetto equilibrio tra sostanza, tecnica e intrattenimento. Davvero bello.