Il minotauro Il minotauro

Il minotauro

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La storia di Arianna, Teseo e Minosse, del labirinto e del minotauro, il suo unico abitante, è nota a tutti, ma nella versione di Durrenmatt essa diventa anche dramma psicologico. Luogo dell'azione, il labirinto con le sue pareti a specchio e l'infinito susseguirsi delle immagini. Protagonista, il minotauro, metà uomo e metà toro, sempre al limite della conoscenza, delle sensazioni di amore, gioia, felicità e infelicità, paura e tormento, ma che per sua natura non può provare sensazioni: sempre sulla soglia delle emozioni che proverebbe, se solo sapesse cosa vuol dire provare emozioni.



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Il minotauro 2022-10-18 15:37:50 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    18 Ottobre, 2022
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Il ribaltamento del mito

Non è la prima volta che leggo un opera in cui Dürrenmatt si adopera a rielaborare un mito greco: ne avevo avuto prova anche ne “La morte della Pizia”, probabilmente una delle sue opere più riuscite e interessanti. Anche “Il Minotauro” è una prova di tal genere, sebbene con uno svolgimento decisamente più amaro, una rielaborazione del mito del “mezzo toro e mezzo uomo” che è probabilmente tra quelli più conosciuti della mitologia greca. Ma mentre nella storia che ci hanno sempre raccontato il punto di vista è sempre quello di coloro che sono al di fuori del labirinto, stavolta l’origine di questa ballata - perché in effetti l’opera è in versi, sebbene dia la sensazione della prosa - si ha proprio all’interno del labirinto, col primo risveglio del mostro all’interno della sua prigione intricata e psichedelica ideata da Dedalo. È al mostro che è dedicata la totale attenzione del narratore, ma ben presto sorgerà nella mente del lettore una domanda, che è secondo me è centrale in questo breve ma denso componimento: il Minotauro è davvero un mostro?
Occorre di certo considerare che il Minotauro è il risultato d’un rapporto bestiale e raccapricciante, quello tra la moglie di Minosse Pasifae e un toro bianco che il re avrebbe dovuto sacrificare agli dei. Contravvenendo a quest’ultimo comando divino, la punizione che colpisce Minosse è l’innamoramento della moglie verso questo toro e la sua passione incontrollabile placata grazie a Dedalo, la quale ha come frutto, appunto, il Minotauro. Ma quale colpa ha questa creatura per gli errori di Minosse e di Pasifae? Giudichiamo forse i figli per le colpe dei padri? Tralasciando il controverso insegnamento del giardino di Eden, possiamo dire di no. È dunque solo il suo aspetto mostruoso a renderlo malvagio, seguendo la linea di pensiero del Riccardo III shakespeariano? No, in quel caso si trattava soltanto di una giustificazione per una malvagità che aveva ben altre fonti. Dunque, analizzando bene la situazione, il Minotauro ci è presentato nel mito come una creatura bestiale, che si nutre di carne umana, alla quale vengono sacrificati dei poveri giovani che lui dilania e divora senza pietà. In quest’opera il geniale svizzero, invece, ci presenta la verosimilissima possibilità che il Minotauro altro non sia che una creatura innocente, ingenua e inconsapevole, piazzata all’interno di una prigione che manderebbe ai matti anche l’uomo più sano di questa terra. Eppure, la sua inconsapevolezza arriva al punto da impedirgli di impazzire: la sua figura che si riflette all’infinito all’interno di quegli specchi non è la sua stessa figura, per lui, ma sono altri esseri come lui che lo seguono in tutto e per tutto, in ogni suo movimento. Certo, il suo istinto animalesco non è una variabile da ignorare: la donna che troverà all’interno del labirinto sfrenerà i suoi istinti sessuali, ma non è ancora una creatura malvagia: è una creatura che segue il suo istinto perché non gli è stato dato null’altro, è una creatura ingenua e a tratti bambinesca. Danza, felice di aver trovato altri esseri come lui; danza per aver assaggiato l’idea dell’affetto e dell’amore; danza perché crede di aver trovato un amico. Ma è proprio quel che lui credeva un amico - non essendo capace di concepire la malvagità - ad aprirgli gli occhi verso quella che probabilmente è la parte davvero mostruosa di lui: quella umana. Il Minotauro non uccide se non quando viene ferito quasi a morte, e anche in seguito vedrà inizialmente nel suo carnefice, Teseo, un possibile amico, una possibile compagnia in quel mondo così strano, così pieno di figure eppure così vuoto. Teseo lo ucciderà, pur avendo percepito l’ingenuità della creatura che ha di fronte, proprio nel momento in cui il Minotauro si avvicina a lui in segno di fiducia bambinesca, una fiducia rotta brutalmente.
Avevate mai provato ad analizzare il mito da questo punto di vista? Magari sì, ma ancora una volta in pochissime pagine Dürrenmatt si rivela un autore con la A maiuscola, capace di farci riflettere e di condensare tante idee in poco spazio.

“[…] il Minotauro sognò di essere un uomo. Sognò un linguaggio, sognò fratellanza, sognò amicizia, sognò accoglienza, sognò amore, intimità, calore, eppure mentre sognava sapeva di essere un mostro cui mai sarebbe concesso un linguaggio, mai fratellanza, mai amicizia, mai accoglienza, mai amore, mai intimità, mai calore, sognò come gli esseri umani sognano gli dèi, l'uomo con la tristezza degli uomini, il minotauro con la tristezza degli animali.”

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Il minotauro 2020-02-02 06:36:01 siti
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siti Opinione inserita da siti    02 Febbraio, 2020
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La condizione umana

Una creatura, costretta al domicilio coatto, un essere quasi senza memoria, una creatura già disorientata prima ancora di essere trascinata dentro un labirinto claustrofobico. Una creatura moltiplicata, all’infinito in immagini concentriche tese anch’esse all’infinito e prodotte dagli specchi che rivestono le pareti del non luogo dove si trova. Un essere che non ha consapevolezza della realtà, intorpidito dal sonno della non conoscenza, una creatura senza categorie mentali, puro istinto.
Questo è il Minotauro per lo svizzero: un istinto messo di fronte a tanti specchi, una reazione motoria che è capace di iniziativa, di azione, anche se bestiale. È accovacciato, è rannicchiato, è in piedi, arretra, si tocca il capo, fa cenni di saluto, gli altri esseri riflessi lo imitano. Non è solo, la relazione instaurata con la moltitudine dei sé riflessi lo rende presuntuoso, anche se per un attimo: crede di essere un capo, un dio. Nel labirinto entrano i giovinetti ateniesi, una ragazza prima fra tutte, la creatura è istinto, festeggia il contatto con altri da sé ma la relazione con l’altro da sé precipita: si fa violenza bestiale, morte. Non c’è però alcuna intenzionalità. Il mito si sfalda ulteriormente, accresce la carica umana dell’essere mostruoso, perde di consistenza la sua leggendaria violenza. Non sa cosa siano maledizione, destino, nascita e morte, il sole gli rapisce, con i suoi bagliori che impediscono il riflettere degli specchi, l’unica non verità alla quale era appena pervenuto. Altre presenze. Il contatto con l’altro però lo fa diventare di nuovo bestia ma questa volta seguendo l’atavico istinto della bestia sopraffatta dall’uomo, della creatura che ha scoperto l’odio. Prima categoria mentale: il dubbio. Al dubbio seguono paura dell’altro da sé e orgoglio della propria unicità, la creatura è ora volontà di violenza. Rimasto solo combatte con se stesso: è l’epifania dell’identità ma è solo percezione senza comprensione. Solo l’ inganno di Teseo lo riconduce al desiderio di amicizia, di comunanza, di fratellanza, dato dalla parvenza di somiglianza: morirà tradito dalla fiducia verso l’altro.

Amarissima parabola sulla condizione umana: un misto di dubbio, di incomprensione del sé che si scontra con i medesimi dubbi e le medesime incomprensioni degli altri.

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Borges , L'aleph ( in particolare il racconto La casa di Asterione)
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Il minotauro 2020-01-21 20:13:22 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    21 Gennaio, 2020
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Tamburellare la solitudine

È un labirinto di specchi infiniti quello che Dedalo ha costruito per il Minotauro, forme che ripetono altre forme, la stessa innocente e pura sagoma di una creatura sospesa tra l’umano e la bestia. Gesti che si ripetono in eterno, nello spazio illusorio di un mondo costruito tutto a immagine e somiglianza dell’essere che vi dimora, fragile, solo, abbandonato. Senza amici, senza tempo, senza poter capire che la vita è esile e basta anche solo la gioia a incrinarla. Labirinto fisico, labirinto di vetri, ma anche labirinto mentale, costruzione disperatamente e impossibilmente razionale con cui dare forma alla materia informe del caos. Il labirinto è una metafora, non un simbolo, non possiamo spiegarlo, solo accettarlo, perderci e disperderci negli anfratti nascosti dei suoi angoli più scuri. Il Minotauro è ontologicamente solo, unica creatura metà umana metà taurina, incapace di pensare, ma capacissimo di sentire il dolore dell’abbandono. Gli restano solo gli specchi, la sua immagine che non sa riconoscere, che si muove con lui, ride con lui, piange con lui. Gli specchi dunque, e i ragazzi che ogni nove anni Atene devolve in sacrificio. Vita nuova, persone nuove, per un attimo la felicità. E il Minotauro danza la sua gioia, danza la sua pace, danza la sua sincerità e mentre danza stringe troppo forte i suoi nuovi compagni. Non sa che un abbraccio troppo intenso può uccidere, che il filo che ci tiene stretti alla vita è così trasparente da essere invisibile. E così per sempre, solo di nuovo, nella sua umanità indicibile, nella sua bestialità inappellabile, finché Teseo, travestito da Minotauro a sua volta, non gli si fa incontro, riflesso che non risponde ai comandi e come nel mito più crudo, lo uccide; uccide il mostro che non sa di essere un mostro e chiude dolorosamente il labirinto e la sua storia.

La perfezione di questo racconto non è solo nella sua esplorazione degli abissi più scuri dell’uomo e della ragione, ma anche nello stile meraviglioso, ritmico e lirico che Dürrenmatt riesce a trovare. Come a fare eco alla moltiplicazione degli specchi e delle immagini, alla vertigine dello spazio, la prosa si fa battente, martellante, drasticamente anaforica, ricca di allitterazioni, giochi verbali, cocciute ripetizioni. L’effetto che ne segue è che lo spazio già amplio del labirinto, si fa ancora più esteso e, paradossalmente, claustrofobico e il lettore si perde davvero in questo tessuto abnormemente dilatato per avvertire con ancora più intensità, su di sé, il peso di ogni parola ribattuta, di ogni suono ritrasmesso, in una tensione che cresce, cresce e si acumina fino a ferire. Riporto per farvi capire:

“Si distaccò dalla parete, sbirciò pieno d’odio la sua immagine, e quella di lui, colpì col pugno destro, l’immagine col sinistro, i due pugni s’incontrarono, nuovo scambio di colpi con lo stesso risultato, e allora colpì con entrambi i pugni, e così fece anche l’immagine: infine tambureggiò sulla parete. Tambureggiò la sua rabbia, tambureggiò la sua smania di distruggere, tambureggiò il suo desiderio di vendicarsi, tambureggiò la sua voglia di uccidere, tambureggiò la sua paura, tambureggiò la sua ribellione, tambureggiò l’affermazione di se stesso, ma ad un tratto avvertì che quell’essere davanti a lui, che era un essere come lui, era il suo traditore”.

Eppure il libro si spinge un passo più in là. Chi è il lettore? Il Minotauro, perduto nella sua solitudine e incapace di amare senza ferire? O forse il lettore è Teseo, che deve travestirsi da Minotauro per poterlo uccidere, deve diventare mostro anche lui per eliminare quello che in lui è più forte di lui. Forse ognuno di noi ha il suo labirinto, il suo modo di sfuggire al mondo e forse tutti noi abbiamo dimenticato la compassione, la comprensione e ci scopriamo, ucciso il mostro, ancora più soli di prima. E tutto questo Dürrenmatt ce lo chiede in 40 pagine scarse. E mi pare un crimine che un libro come questo, miracolosamente perfetto nel suo intangibile incanto, non venga più pubblicato, almeno a quanto ho visto in rete. Se lo trovate, prendetelo: prima o poi lo leggerete ed entrerete anche voi nel vostro labirinto, un passo più fondo a voi stessi.

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Il minotauro 2017-01-05 08:54:14 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    05 Gennaio, 2017
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Innocente colpevole

Per leggere questo brevissimo racconto bastano poche ore. Serve molto tempo invece per elaborare le riflessioni che queste pagine innescano e acquietare la sensazione di vertigine e malessere che lasciano dentro di noi.

Chi non conosce la storia del Minotauro? Il mostro, figlio di Pasifae e del toro bianco sacro a Poseidone. La bestia, selvaggia e feroce, che ogni anno uccide e divora i quattordici ragazzi inviati da Atene come tributo. Il colpevole, murato nel famoso labirinto di Cnosso e infine ucciso dall’eroe Teseo.

In questo folle e straziante racconto di straordinaria intensità, Durrenmatt fa saltare ogni punto di riferimento e ci propone la stessa storia che tutti conosciamo da sempre, stravolgendone la prospettiva. Ci ritroviamo così immersi nel famoso labirinto, un mondo di silenzi, di solitudine, di specchi. E ci immedesimiamo nel Minotauro, una creatura totalmente inconsapevole di sé, della propria esistenza, delle colpe che sta scontando. Si muove senza sosta per i bivi e le vie che costituiscono il suo mondo, senza sapere che quello è solo un mondo di prigionia. Va alla ricerca della propria identità cercando suoi simili, senza sapere che le immagini riflesse proiettano solo infinite varianti di se stesso. Danza di felicità nello scoprire finalmente l’esistenza di un altro sé diverso da sé, a placare il suo isolamento, senza sapere che quello è solo il travestimento di Teseo. E’ solo la fine dell’ultima illusione.

Il labirinto pieno di specchi si fa così simbolo di un intero mondo di illusioni e solitudini, dove la conoscenza di se stessi è quanto mai difficile e la diversità si paga spesso con l’emarginazione. E il Minotauro, con la sua innocente euforia che si trasforma in sangue e violenza, con la sua disperazione che si fa morte, diventa l’emblema di tutte le vite non vissute, delle speranze inespresse, delle colpe inconsapevoli.

E verrebbe voglia di poter infrangere gli specchi, mostrare al Minotauro il mondo, salvarlo dalla sua prigione. Perché all’improvviso non siamo più tanto sicuri di conoscerla bene, la storia.

"Sognò un linguaggio, sognò fratellanza, sognò amicizia, sognò sicurezza, sognò amore, vicinanza, calore, e contemporaneamente seppe, sognando, di essere un anormale cui non sarebbe mai stato concesso un linguaggio, mai fratellanza, mai amicizia, mai amore, mai vicinanza, mai calore, sognò come gli esseri umani sognano degli dèi, con tristezza d’uomo l’uomo, con tristezza d’animale il minotauro”.

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