Il mercante di coralli
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Le molteplici facce...
...del “cantore del Finis Austriae”
Probabilmente pochi scrittori hanno lasciato nella loro vita e nella loro opera tracce così sottilmente ambigue come Joseph Roth.
Ebreo, nato alla periferia dell’impero austroungarico, si trovò ad attraversare un’epoca scandita dalla prima guerra mondiale, dalla frantumazione del vecchio impero, dai convulsi anni del dopoguerra europeo, dall’avvento del nazismo. Ai ritmi drammatici della Storia egli reagì modificando il suo pensiero, o forse mostrandone in pubblico, attraverso le sue opere, le varie sfaccettature, esaltandone via via un lato piuttosto che un altro, probabilmente in funzione del necessario adattamento ad una realtà che progressivamente si andava facendo sempre più cupa e tragica, che progressivamente sfilava alla vista di questo indubbiamente acuto osservatore ogni punto di riferimento a cui di volta in volta cercava di aggrapparsi.
Esemplare di questa sua ambiguità, della difficoltà di classificare l’opera di Roth all’interno delle grandi correnti del pensiero occidentale, è secondo me l’episodio (riportato nell’ottima voce di Wikipedia dedicata all’autore) della quasi rissa cui si giunse al suo funerale a Parigi tra comunisti, legittimisti asburgici, cattolici ed ebrei ortodossi, ognuno rivendicante lo scrittore come rappresentante delle proprie idee.
Va subito detto che tale ambiguità non oltrepassò mai i limiti di un lucido e coerente antinazismo: anzi Roth fu tra i primi intellettuali ad intravedere e a descrivere in termini quasi profetici la catastrofe rappresentata dall’avvento al potere di Hitler, che pagò con un duro esilio.
Azzardo che probabilmente il drammatico finale della sua vita, l’alcolismo che lo portò alla morte emblematicamente pochi mesi prima che sull’Europa si scatenasse la tragedia bellica, sia dovuto – oltre che a vicende personali – proprio alla constatazione del proprio fallimento come intellettuale, della assoluta inadeguatezza delle proprie posizioni rispetto ad un mondo che non poteva non percepire che in continuo, inarrestabile crollo.
Questo imperdibile volume di Adelphi (editore cui si deve in gran parte la riscoperta di Roth in Italia) ha l’indubitabile pregio di mostrarci, attraverso di fatto l’intera produzione di racconti e novelle di Roth, l’evoluzione delle tematiche trattate dall’autore ed anche, per certi versi, la sua evoluzione stilistica, pur in un quadro di piena riconoscibilità di quel suo caratteristico modo di scrivere fatto di frasi brevi e – generalmente – di impersonalità quasi giornalistica (Roth fu anche un eccellente giornalista per importanti testate, soprattutto tedesche).
Dai racconti emerge un Roth sicuramente più sfaccettato dello scrittore classificato come il cantore del finis Austriae sulla base dei romanzi più famosi come 'La marcia di Radetzky' e 'La cripta dei Cappuccini', anche se come vedremo la nostalgia del perduto impero multilingue e multiculturale gioca una parte essenziale anche in questa raccolta.
Il primo racconto, 'L’allievo modello', è anche la prima opera pubblicata da Roth, all’epoca ventiduenne , nel 1916. Narra la vita di un di un ambizioso opportunista che attraverso l’ipocrisia e la capacità di saperci fare riesce ad elevarsi al di sopra delle modeste origini. Una tematica che potrebbe apparire forse banale e scontata viene però trattata da Roth con molta originalità, sia per quanto riguarda il tono sarcastico utilizzato, sia per l’angolatura dalla quale viene vista. Infatti Roth ribalta sui personaggi che circondano Andreas Wanzl, il protagonista, la colpa di non accorgersi dei suoi veri sentimenti, delle vere motivazioni del suo agire: tanto più Andreas è subdolo e financo spietato al fine di raggiungere i suoi obiettivi tanto più viene pubblicamente apprezzato e lodato. L’ipocrisia del singolo si traduce così in una feroce critica alle convenzioni sociali ed alla stupidità umana, magistralmente espressa nella agghiacciante risata di Andreas nella bara. Altro elemento di feroce critica dei valori convenzionali è dato dal fatto che Andreas esercita tutto il suo saperci fare non per raggiungere una qualche posizione di prestigio, ma per assicurarsi una tranquilla, drammaticamente piccolo-borghese esistenza di direttore di una piccola scuola di provincia.
'Lo specchio cieco' è del 1925: l’impero è crollato ormai da quasi sette anni, ma in Roth non c’è ancora traccia della nostalgia per il passato che caratterizzerà molte sue opere future. La dolente figura della piccola Fini rappresenta semmai il paradigma delle incertezze del presente, dell’emarginazione, delle diverse, magmatiche suggestioni di un’epoca caratterizzata da miseria e dalla perdita di ogni certezza. E’ a mio avviso uno dei racconti più belli della raccolta, anche perché la storia e la figura di Fini vengono delineate attraverso uno stile di scrittura quasi da apologo (stile che Roth avrebbe utilizzato anche in seguito) che tuttavia permette una profonda introspezione sia nell’animo dei protagonisti sia nello spirito dell’epoca.
Il successivo 'Aprile. La storia di un amore', sempre del 1925, è secondo me il racconto più debole del volume: piccola storia, inusualmente raccontata in prima persona, dei sentimenti di un giovane uomo durante il breve soggiorno in una città di provincia, non riesce ad elevarsi al di sopra di un vacuo intimismo, anche se alcuni personaggi secondari sono descritti mirabilmente.
Segue 'Il capostazione Fallmerayer', una delle pietre miliari di questa raccolta. Siamo già nel 1933, ed infatti il racconto sarà pubblicato ad Amsterdam. Compare per la prima volta con una sua precisa centralità nei racconti di Roth il tema della prima guerra mondiale, che in precedenza era stato solo sfiorato ne 'Lo specchio cieco'. Qui la guerra è vista come elemento in grado di sovvertire qualsiasi ordine sociale: il protagonista della storia, che in tempo di pace è un semplice capostazione, riuscirà infatti a coronare il suo impossibile sogno d’amore con la contessa Walewska solo per il fatto di essere andato in guerra, e perché la guerra ha sconvolto anche la vita della contessa. Il bellissimo, fulminante finale ci dice tuttavia che questo sovvertimento è solo temporaneo, e che il ritorno alla normalità della pace porta con sé anche l’impossibilità di procrastinare una situazione resa possibile solo dall’eccezionalità della guerra. Fallmerayer non accetta il ritorno ad un ruolo subordinato, anche se è pienamente conscio dell’impossibilità per lui di tornare alla sua vita precedente: fa quindi l’unica scelta possibile. Ricordando che 'La marcia di Radetzky' fu pubblicato l’anno precedente, si può quasi dire che questo racconto occupa un posto antitetico al romanzo nella complessa personalità artistica di Roth: non c’è qui, infatti, alcuna nostalgia organica del mondo di ieri, anzi nella vicenda del capostazione si può forse ravvisare la consapevolezza che alcuni cardini della costruzione sociale rimangono immutabili nonostante tutti gli apparenti sconvolgimenti della Storia.
'Trionfo della bellezza' (1935, significativamente l’anno del divorzio di Roth dalla moglie Friedl) è una tragicommedia molto godibile, anche se intrisa di una buona dose di misoginia, condita da un aspro sarcasmo nei confronti della mentalità borghese contrapposta a quella del vero signore. Curiosamente il protagonista (o meglio il narratore) è medico termale, come accade in uno dei romanzi di un altro grande scrittore austriaco, Arthur Schnitzler, e come in molte delle opere di Schnitzler anche qui il tema della patologia gioca un ruolo essenziale.
Con 'Il busto dell’Imperatore' ci immergiamo in pieno nel Roth nostalgico di 'kakania', del quale questo racconto rappresenta il vero e proprio manifesto, in modo persino troppo didascalico. La nostalgia per l’armonia delle culture nel vecchio impero, per la saggezza e la magnanimità del potere su cui l’impero era basato raggiunge vette francamente difficilmente conciliabili con la realtà, come pure sicuramente falso suona il paternalismo con cui Roth guarda al popolo e ai suoi bisogni. Non bisogna dimenticare tuttavia che ormai siamo in pieno nazismo, e che Roth vedeva il germe del nazionalismo che stava portando alla catastrofe l’Europa proprio nella sostituzione del concetto di popolo con quello di nazione, e quindi guarda indietro, in un’epoca in cui secondo lui i vari popoli trovavano la loro identità in uno spazio politico e sociale unitario come il defunto impero. Pur in una cornice come detto didascalica, è comunque notevole (oltre alla consueta perizia narrativa) la descrizione della volgarità dell’epoca nuova e dei suoi padroni, in particolare nelle pagine dedicate al viaggio in Svizzera del protagonista.
'La leggenda del santo bevitore', racconto famosissimo da cui Ermanno Olmi ha tratto un bel film, è a mio avviso in ogni caso, seppur suggestivo, un racconto minore, nel quale un Roth ormai preda dell’alcool si rifugia in una sorta di sogno mistico.
Chiude la raccolta 'Il Leviatano', pubblicato postumo ma scritto e parzialmente pubblicato nel 1934 con il titolo Il mercante di coralli, nel quale il tema del piccolo mondo antico è sviluppato con una profondità molto maggiore che ne Il busto dell’imperatore. Il sovvertimento della tranquilla vita del mercante ebreo Nissen Piczenik ad opera dell’irruzione della moderna tecnologia ed il suo andare incontro all’inevitabile fine nel momento in cui decide di voltare le spalle ai i suoi princìpi etici sono ancora una volta un inno all’armonia perduta, alla semplicità rinnegata per un mondo senza senso. Ancora una volta Roth si rifugia in un passato idealizzato, tuttavia il racconto è molto bello e carico al solito di suggestioni e poesia.
Un bellissimo volume, quindi, come detto imperdibile per capire meglio la complessa ed anche ambigua personalità letteraria di Joseph Roth, che non sarà forse stato uno dei più grandi interpreti della convulsa epoca in cui ha vissuto ma è senz’altro da annoverare tra gli scrittori che vale la pena conoscere a fondo per capirla meglio, quell’epoca, che tante inquietanti analogie ha con la nostra.
Indicazioni utili
Romanzi, racconti e opere teatrali di Arthur Schnitzler.