Il gioco del panino
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Recensione della Redazione QLibri
RIDERE DI QUALCOSA CHE RIDERE NON FA
È possibile poter ridere, e ridere da morire, di qualcosa che in realtà non fa poi così ridere? Anzi…
Beh, se si apprezza e se si riesce a capire il tipico humour inglese, sicuramente sì.
Quell’humour caustico, amaro, ma che io personalmente trovo irresistibile.
In una raccolta di sei racconti che sono in realtà dei brevi sketch teatrali.
Alan Bennet, drammaturgo inglese a me, prima di questo “il gioco del panino”, del tutto sconosciuto, parte un po’ in sordina con “La mano di Dio” in cui la rigida rigattiera Celia, per avidità si lascia sfuggire l’affare della vita.
Si prosegue con “Miss Fozzard a piede libero” in cui il rapporto paziente/medico (in questo caso, per essere precisi, Miss Fozzard/podologo) diventa qualcosa di sicuramente insolito… nella sua narrazione, nonostante, per dirla terra terra, si parli praticamente di prostituzione, il tutto prende una piega quasi surreale e quasi “entusiastica”.
“Il gioco del panino”, un lavoro complesso sul tema della solitudine più devastante, arriva come un pugno nello stomaco, si intuisce solo verso la fine quello che succede e come dice lo stesso Bennet nella sua lunga introduzione (citando un altro autore) “E’ questo che bisogna fare per venire isolati: ammazzare bambini. Nient’altro ha lo stesso effetto, perché qualsiasi altro crimine ti farà comunque trovare degli amici. Stuprali, ammazzali e fatti beccare”.
Da qui in poi l’omicidio diventa il filo conduttore dei racconti a seguire.
“Il cane deve stare fuori”: una donna ormai matura, vera “malata di pulito” odia a morte il cane del marito, non lo vuole in casa, sporca, perde peli, deve stare fuori… la sua ossessione non le fa nemmeno vedere che il marito si comporta stranamente, e ogni volta che porta fuori il cane…una giovane donna della zona viene uccisa…
“Notte nei giardini di Spagna”: una donna di mezza età, sposata da 30 anni, senza figli accorre a casa della vicina, che ha appena ucciso il marito. Diventa la sua migliore amica e scopre che la vicina Fran ha solo messo fine ad una vita di soprusi e maltrattamenti da parte del marito…maltrattamenti a cui forse ha preso parte anche suo marito, il timido e dimesso Henry… e si interrogherà se in prigione è Fran (che comunque sconta la sua pena) o lei che finalmente, dopo una vita di lavoro, ha seguito il marito a Marbella…
“Aspettando il telegramma”: qui non viene ucciso nessuno, ma la morte è comunque protagonista con la vecchia Violet che, tra momenti nebulosi e momenti di lucidità, vede andarsene tutti quelli che la sua mente annebbiata ama, in particolare l’infermiere Francis. Aspettando il telegramma della regina che si congratula per il suo secolo di vita, la sua mente prenderà del tutto il largo, ricordando quell'altro telegramma, quello che annunciava la morte in guerra del suo primo amore.
I temi di questi sketch sono largamente spiegati nell'introduzione dell’autore, ma è sicuramente riconoscibile il tema della vecchiaia (nessun protagonista è giovane), della sterilità (nessun protagonista ha figli, solo Violet ne ha uno, ma non lo riconosce), della malattia (ictus, alzheimer, aids) della solitudine, della morte, dell’omicidio…storie che raccontano una cosa, ma in parallelo anche tante altre.
Temi amari, temi deprimenti, per i quali si riesce anche ridere, in puro stile british.
Sei racconti che sono più dei bozzetti, scorrevoli, piacevoli e per nulla scontati.
Guardare è bello,
toccare ancor di più,
ma se lo rompi
dovrai pagarlo tu.
Il marito era disteso su un tappeto, a pancia in su – un tappeto di quelli a pelo lungo – e gli era uscito sangue e non so cos'altro da dietro la testa. La cosa orribile è che per prima cosa ho pensato: non verrà mai via.
Dev'esserci una parola per definire quello che sto facendo, ma… le giro intorno.