Narrativa straniera Racconti Il giapponese di Varsavia
 

Il giapponese di Varsavia Il giapponese di Varsavia

Il giapponese di Varsavia

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Per ammettere una colpa che lo affligge da tempo e non riesce a raccontare nemmeno al prete in confessionale, un uomo si confida a un merlo indiano perché lo sguardo del volatile è colmo di compassione. Scritto nel 1964 e tra i testi più frequentemente inseriti nelle antologie giapponesi, "Un uomo di quarant'anni" apre questa raccolta di racconti di Shusaku Endo. In "Unzen", pubblicato nel 1965, l'autore introduce la figura dell'apostata Kichijiro, uno dei personaggi centrali del romanzo "Silenzio"; lo scrittore si reca in pellegrinaggio alle sorgenti calde e solforose del monte Unzen, dove molti cristiani del Seicento furono torturati e costretti all'abiura. "Il giapponese di Varsavia", scritto nel 1979, testimonia invece l'interesse di Endo per la figura di Massimiliano Kolbe, il frate polacco, ora santo, che aveva vissuto come missionario in Giappone prima di morire nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1941.



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Il giapponese di Varsavia 2019-10-22 08:01:37 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    22 Ottobre, 2019
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La verità nella letteratura

Questi racconti colpiscono per il tono inusuale, legato non tanto alla nazionalità di chi scrive quanto alla sensazione di scavo interiore o comunque di ricerca cui non siamo più abituati. La sensazione è di avere davanti qualcosa di vivo mentre la letteratura ha sempre più un tono artificioso e artificiale, e se non lo è abbastanza, non è considerata grande letteratura. Questi racconti mi hanno fatto sentire la mancanza di un diverso modo di concepire la scrittura. Dei tre racconti il primo mi ha colpito più degli altri per quel tocco di sensibilità giapponese molto gradevole. Nel racconto sui martiri cristiani mi è sembrato di cogliere una riflessione dello scrittore tra sè, riflessione che poi lo ha portato al suo romanzo più noto (e davvero bello) Silenzio, in particolare al personaggio di Kichijiro. Del resto come non immedesimarsi nel debole traditore (una specie di Pietro più che di Giuda) più che nei martiri, nel fatto che si domanda con angoscia se meriterà la misericordia di Dio.
L'autore non si dichiara cristiano convinto, dice di essersi ritrovato cristiano per la famiglia eccetera, però tutti i suoi lavori contengono riflessioni su tematiche religiose, riflessioni non superficiali o nozionistiche.

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Dei suoi testi consiglio Silenzio e Vita di Gesù che però è un saggio.
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Il giapponese di Varsavia 2019-09-18 12:10:18 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    18 Settembre, 2019
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L’Oriente incontra l’Occidente

Shusaku Endo nacque in Giappone nel 1923 e si convertì al cattolicesimo in giovanissima età, per assecondare il volere materno. Fu quindi sempre uno “straniero della religione”, appartenente a un credo poco praticato nel proprio paese e difficilmente compatibile con il sentire spirituale nipponico. Con queste poche righe biografiche non è certo mia intenzione dare informazioni esaustive sull’autore, ma semplicemente indicare a chi non lo conoscesse l’elemento a mio avviso imprescindibile per accostarvisi. Per provare a capirlo, lasciandosi permeare dai dubbi così umani di un uomo che ha sempre vissuto in modo problematico la propria religiosità e facendosi infine accarezzare dal gesto misericordioso di un ritrovato Dio d’amore.

“Nel mondo della fede c'erano i forti e i deboli: i forti venivano coronati di gloria, mentre i deboli dovevano portare il loro fardello per tutta la vita.”

Nei tre racconti raccolti in questo libro troviamo uomini vulnerabili e confusi, ben consci della propria fragile volontà e della propria carente integrità. Alzano gli occhi al modello di martiri e santi, percependo invece nella propria anima il tormento del dubbio, dell’insicurezza, della sciatteria delle proprie azioni e dei propri inganni. Una sofferenza bollente e schiumosa come l’acqua delle sorgenti solforose del monte Unzen nel secondo racconto, quell’acqua ove si compì il martirio dei cristiani nel Giappone del 1600. Eppure, quegli uomini così tormentati sono anche in grado di cogliere segni in grado di riconciliarli con la propria debolezza. Lo sguardo di un merlo indiano in cui percepire tutta la compassione di un Dio che accoglie e perdona. La fotografia del frate polacco Massimiliano Kolbe, a riportare alla memoria un ricordo che sa di tenerezza.

Cristallina e pulita la scrittura, oltre che di facile lettura per la brevità dei racconti. Profondo e denso il contenuto, una prospettiva diversa e dal retrogusto autobiografico sulla religiosità e la ricerca spirituale. Il mio incontro con questo scrittore è avvenuto in modo del tutto fortuito, ma sono contenta di averlo incontrato.

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