Il dolore
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Un romanzo incentrato sul dolore e sull’attesa
Il dolore di Marguerite Duras è un romanzo autobiografico pubblicato nel 1985 in Francia. Narra l’attesa del ritorno dei deportati francesi dai campi di concentramento.
L’opera è composta da due parti: la prima è costituita da pagine di diario, la seconda da cinque racconti: Il Signor X detto qui Pierre Rabier, Albert des Capitales, Il miliziano Ter, L’ortica spezzata, Aurélia Paris. I primi tre sono autobiografici gli ultimi due invece sono racconti d’invenzione.
L’autrice ritrova questi scritti abbandonati in armadi blu di una casa di campagna e decide di pubblicarli, senza apportare modifiche, quando la rivista “Sorcières” le chiese dei testi giovanili.
"La parola “scritto” qui stonerebbe. Mi sono trovata davanti a pagine uniformemente piene di una calligrafia minuta, straordinariamente regolare e calma. Mi sono trovata davanti ad un disordine formidabile del pensiero e del sentimento, che non ho osato toccare, e davanti al quale mi vergogno della letteratura."
La narrazione è ambientata in Francia, fra il 1944 e il 1945, durante la ritirata dei tedeschi e la liberazione dei campi di concentramento. In quel periodo l’autrice, in attesa del marito Robert Antelme, militava nella Resistenza e scriveva per “Libres” un giornale che dava informazioni sui deportati alle loro famiglie.
Il primo testo, il più toccante, narra l’attesa del ritorno.
Durante la liberazione dei campi di concentramento l’autrice aspetta l’arrivo del marito dal campo di Dachau, o la comunicazione della sua morte. La Duras non ha più sue notizie da molto tempo e questa attesa è logorante sia nel corpo che nell’anima. Quello che emerge da questo racconto è una donna forte, ma duramente provata dall’incertezza sul destino del proprio compagno.
L’attesa è così snervante da ridurre l’autrice allo stremo delle forze, non mangia quasi più ed ha la mente offuscata dalla paura, realtà e fantasia si mescolano in un susseguirsi di pensieri tragici e speranzosi.
"Io continuo ad aspettare perché niente è sicuro, forse ne ha per un secondo ancora. Forse morirà di qui a un secondo, la cosa ancora non è accaduta. Così di secondo in secondo la vita lascia anche noi, più nessuna possibilità, poi la vita ritorna, tutte le possibilità ritornano con lei."
Quello che torna dal campo di concentramento però non è lo l’uomo che l’autrice ricordava, ma un altro, fortemente debilitato nel corpo e nello spirito, segnato dalla privazione del cibo, prima durante la prigionia e una volta a casa per poter guarire.
"Non lo riconosco. Mi guarda, sorride. Si lascia guardare. Una fatica soprannaturale nel suo sorriso, la fatica di essere arrivato a vivere sino a questo momento. E’ un sorriso che improvvisamente riconosco, ma lontano, come lo vedessi in fondo a un tunnel. Un sorriso confuso. Si scusa di essere ridotto così, un rifiuto. Poi il sorriso scompare. Torna a essere uno sconosciuto. Ma ora so che quello sconosciuto è lui, Robert L., nella sua interezza."
Il dolore di un popolo
Marguerite Duras in questo romanzo non ci racconta solo il proprio dolore, ma quello di un intero popolo, segnato dalla seconda guerra mondiale, è un pezzo della nostra storia che non dev’essere dimenticato.
"Noi apparteniamo all’Europa, tutto questo accade qui, in Europa, siamo chiusi in questo recinto agli occhi del resto del mondo. Intorno a noi, stessi mari, stesse invasioni, stesse guerre. Siamo della razza dei bruciati nei crematori, dei gasati di Maidanek, della razza dei nazisti anche. Funzione livellatrice dei crematori di Buchenwald, della fame, delle fosse comuni di Bergen-Belsen. Una parte di noi sta in quelle fosse, quegli scheletri straordinariamente uguali appartengono a una sola famiglia europea."
È un dolore da condividere col resto del mondo per impedire che tragedie come questa si ripetano in futuro, per creare una coscienza comune.
"Se l’orrore nazista viene considerato un destino tedesco, non un destino collettivo, l’uomo di Belsen sarà ridotto a vittima di un conflitto locale. Una sola risposta per un tale crimine: trasformarlo nel crimine di tutti. Condividerlo. Come si condivide l’idea di eguaglianza, di fraternità. Per sopportarlo, per tollerarne l’idea, condividere il crimine."
Lo stile
In quest’opera l’autrice è sincera, talvolta brutale, le descrizioni sono molto dettagliate e lo stile è incisivo, con frasi brevi e dirette.
L’autrice
Marguerite Duras nacque a Saigon il 4 Aprile 1914 e morì a Parigi il 3 Marzo 1996.
Visse a Saigon fino al 1932 quando si trasferì a Parigi per studiare, ma l’esperienza in Indocina fu per lei molto importante e traspare nelle sue opere.
Nel 1939 sposò lo scrittore Robert Antelme.
Negli anni della seconda guerra mondiale militò nella resistenza e collaborò al giornale “Libres”.
Fu scrittrice e regista, una delle sue opere più famose è “L’amante” da cui è stato tratto l’omonimo film, che parla della relazione tra l’autrice quindicenne e un uomo cinese molto più grande di lei, raccontata anche nel romanzo “L’amante della Cina del Nord”.
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pagine sconvolgenti
La Duras ritrova questi scritti in un vecchio armadio e decide di pubblicarlo senza revisioni Facendoseguito ad una richiesta della rivista ‘’Sorcieres’’ ,che le richiede un testo giovanile, del quale lei stessa non aveva ricordo.
‘’Mi sono trovata davanti ad un disordine formidabile del pensiero e del sentimento, che non ho osato toccare, e davanti al quale mi vergogno della letteratura.’’
Il dolore. Una delle cose più importanti della mia vita.
I testi si riferiscono all’ultimo periodo della seconda guerra mondiale. Un diario di quel periodo.
L’autrice faceva parte della resistenza
Il primo testo è sicuramente il più toccante, quando, avendo ricevuto la notizia della liberazione dei campi di concentramento, la Duras aspetta il ritorno del marito Robert, da Dacau dove era arrivato da altri campi. Non sapendo se è sopravvissuto trascorre giorni e giorni nell’incertezza .
Mette a nudo i suoi sentimenti e il suo stato d’animo, scoprendo un lato di se che non conoscevo e che mi ha permesso di apprezzarla ancor di più .
‘’Se tornasse andremmo al mare, la cosa che gli piacerebbe di più. In ogni caso io morirò ne sono convinta. Pure se torna, morirò. Suonasse la porta, chi è? – Io Robert, tutto quello che potrei fare è: aprire la porta e morire. ……………..’’
Lo scritto altalena fra l’ottimismo, la speranza di rivederlo e il pessimismo ,lo vede morto, gli hanno sparato, morto con il viso nella terra , morto con la bocca spalancata in un grido soffocato dalla terra , la terra di una buca piena di cadaveri. Lei stessa si sente parte di quel corpo senza vita e racconta come solo lei sa fare, la sua disperazione, il suo dolore fisico e intimo.
Il primo scritto, quello di cui sto parlando, è sicuramente il più significativo, questo è vero dolore, non la testimonianza di chi è tornato vivo dai campi, ma l’esperienza di chi ha aspettato, ha curato, ha nutrito ciò che rimaneva di un corpo talmente malnutrito per il cibo negato , che a causa del cibo somministrato nuovamente avrebbe potuto essere causa di morte.
Notti bianche ad ascoltare ogni singolo respiro, di quell’essere , quella forma che non aveva più nulla di umano, che non era più il suo Robert.
La sofferenza di chi pur non essendo stato internato nei campi col proprio corpo, lo ha vissuto ugualmente, disperatamente, attraverso l’incontro della devastazione umana compiuta in quei luoghi.
Un punto di vista diverso, nuovo per me.
Struggente.
Gli altri scritti, sono una cronaca di ‘resistenza’ , di ciò che accadeva Parigi .
Eserienze dirette, vissute dall'autrice.
I cittadini che volevano contribuire con le armi che possedevano ,all’annientamento dei nazisti, delle spie che si infiltravano e che denunciavano ai tedeschi i cittadini ribelli.
Uno spaccato di vita del movimento di resistenza.
Lo consiglio, è una lettura che si differenzia da altri libri della Duras.
Questa autrice , più la conosco, più mi piace ; la stimo, come donna e come scrittrice.
Scopro che ogni sua opera è frutto indubbio della sua esperienza personale.