Il cappotto
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In poche pagine, tutta l'esistenza dell'uomo
Cosa può desiderare di più il sottomesso, umile, impiegato Akakij Akakievic? un bel cappotto caldo che lo ripari dal terribile infinito inverno di Pietroburgo e che gli dia la dignità di un uomo evoluto, alla moda, pulito e magari anche desiderato da qualche donna.
E il nostro eroe cosa fa per procurarsi questo indumento? si prostra al potere, si sottomette ai propri capi, ingoia bocconi amari dai suoi colleghi.
Eppure non demorde e dalla sua stanzuccia, sogna questo cappotto caldo, se lo vede già indosso e il tempo scorre, le giornate si fanno corte e fredde, incombe la notte.
Una cosa mi stupisce in questo piccolo immenso capolavoro, ennesimo, che esce dalle mente feconda di questi giganti russi che hanno segnato, con il loro pensiero l'umanità: riuscire in poche pagine a descrivere il destino e la vita di un uomo, che è poi uguale e identica al destino di tutti noi.
La lotta per il lavoro, il desiderio spasmodico di piacere agli altri, la bramosia per un oggetto, la sottomissione all'autorità, il freddo che ci gela le membra, il timore del calare della notte e ritrovarsi in un luogo deserto, davanti all'ignoto.
La scena nella immensa piazza di Pietroburgo, ammantata dalla neve, con le luci che sfumano nella notte e le due figure che si scrutano in lontananza e i pensieri del protagonista, che si fanno man a mano che ci si avvicina al proprio destino, cupi, malati, estremi. Si percepisce quasi di essere con lui in quella scena che segnerà irrimediabilmente il suo destino.
E' un piccolo grande capolavoro, un saggio di psicologia che ci regala la visione di una società miope e cinica, forgiata nella cattiveria, nell'astio, nella sopraffazione. Dove non vi è posto per gli umili, gli sconfitti, i sottomessi, i conformisti.
E allora il cappotto è metafora del volersi proteggere non solo dal rigore invernale, ma anche dall'altrui cattiveria. Rintanarsi fra quelle stoffe calde è come quando dopo un brutto incubo ci rigiriamo nelle coperte e cerchiamo riparo nel calduccio confortante del nostro letto.
Ma il destino a in serbo sempre una sorpresa per tutti noi. Chissà se bella o brutta, basta vivere e forse lo scopriremo.
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Non era tardi per ribellarsi
L’abilità di Gogol nel ritrarre a tinte fosche la mediocrità umana spicca in un racconto breve, il cappotto. Nella gelida Pietroburgo di metà ottocento si consuma il dramma della quotidianità attorno alla figura di Akakij Akakievic Basmackin, impiegatuccio di basso profilo che nella monotonia del lavoro conduce una vita priva di soddisfazioni. La penna acuminata del grande Gogol, nonché la vicinanza al realismo ottocentesco emergono nella scelta del nome,che in sé contiene l’epilogo stesso del racconto; Akakij, di etimologia greca, sottolinea l’incapacità del protagonista di far del male ad altri e la mancata ribellione. Basmackin, termine russo, indica in senso lato la sottomissione. Il protagonista è dunque succube del destino, a lui funesto. Trascorre una vita lineare, indurita forse dalle beffe dei colleghi e dal bassissimo salario, finché il gelo dell’inverno russo inaspettatamente interrompe la monotonia della sua esistenza. La necessità di riparasi dal freddo conduce Akakij alla porta di Petrovic, sarto di fiducia, affinché egli possa riparare un vecchio soprabito, ormai logorato dal tempo. Ed è proprio in questo istante che la genialità di Gogol mette in scena il dramma, grottesco, dell’impossibilità. Il vecchio cappotto non può essere rattoppato, bisogna acquistarne uno nuovo per sopportare le intemperie russe. L’incredulità iniziale si trasforma in non accettazione e sfocia nel tormento. Akakij con fatica riesce a raggiungere la somma per il nuovo cappotto: una novità nella buia linearità. Il cappotto dunque diviene il sogno raggiunto e riscalda l’animo penoso dell’anonimo impiegatuccio. La condizione di Akakij sembra destinata a cambiare; i colleghi interrompono ogni genere di scherzo, per celebrare, non privi di stupore, l’ottimo acquisto. Qui Gogol si abbandona ad una descrizione tragicomica della festicciola e dello stato d’animo di Akakij destinato ad un cambiamento repentino. Terminata la festa si dirige verso casa, riscaldato dal vino e dal cappotto ma imboccata una strada che era meglio non percorrere si ritrova esposto al gelo della neve e della sorte: privato del cappotto. L’incredulità riaffiora, fortissima. Il peso del fato ingiusto grava su Akakij e nella Russia gogoliana accade qualcosa di irreale. Un finale del tutto inaspettato: il fantasma di Akakij sul ponte di Pietroburgo alla spasmodica ricerca di un cappotto.
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Dignità umana e composta semplicità
Ciò che Dostoevskij diceva " Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol " definisce i tratti della novella, che assume temi e contorni poliedrici e camaleontici, di difficile collocazione all' interno di una palese linearità e semplicità narrativa. Tratti psicologici, sociali, morali, politici, metaforici, reale e fantastico miscelati in un concentrato di poche pagine .
Akakij Akakievic, in una Pietroburgo zarista dominata da una rigida e secolare posizione classista, simboleggia la mediocrità, impiegato in una burocrazia amministrativa irregimentata e senza possibilità di ascesa sociale. E' ignorato, invisibile e, peggio ancora, deriso persino dai propri colleghi, dedito ... " non solo con zelo, ma con amore "... al proprio lavoro di copista, specchio della sua personalità. Vive e si muove all' interno della limitatezza del suo mondo, devoto alla propria natura tra i binari di una ordinaria quotidianità.
È quello che sa fare e qualsiasi altro compito affidatogli si farà mistero rivelandosi impossibile e disatteso.
Sta sempre allo stesso posto, nell' identico atteggiamento, svolgendo la stessa mansione, ..." un impiegato che ricopiava, che non vedeva oltre le sue pulite righe "... non si concede la minima distrazione, si accontenta semplicemente della propria sorte e di un significato legato alla produttività.
Quella idea nata da una necessità, inizialmente invisa alle proprie tasche ed al proprio sentire, che prevede un allontanamento dal mondo conosciuto, quel cappotto divenuto improvvisamente indispensabile, quando il vento gelido scuote ed irrigidisce i volti infreddoliti dei pietroburghesi, diviene simbolo di individualità e riscossa personale, nuova pelle e fine supremo, autoriconoscimento e condivisione, possibilità di scelta e ribaltamento sociale, acquisendo significati del tutto inattesi," umani ", coprendosi di aspettative e di ..." una idea amorosa, l' amorosa idea del cappotto "...
Una vita che sembra improvvisamente cambiare, animata da una nuovo senso decisionale e da una esistenza di certo più piena.
Ma quel desiderio sovversivo disconosce l' ordine precostituito e l' apparentemente casuale furto del cappotto ricondurrà allo status quo e ad una catastrofe annunciata, perché Akakij si è spinto in un territorio sconosciuto, ed il desiderio agognato rappresenta solo un ideale, la cui venale realizzazione cambierà le carte in tavola.
Ed allora quella neo dimensione che credevasi riscatto e gioia suprema si scontrerà con un dolore invivibile ed intollerabile mentre la crudeltà umana continuerà a dispiegare la propria brutale essenza, abbandonandolo ad un destino tragico ed inevitabile.
Uno spettro finirà con l' aggirarsi tra le macerie del proprio passato alla ricerca di una gratificazione personale o di una semplice istanza vendicativa.
I molteplici temi della novella sono divenuti nel tempo oggetto di interpretazioni anche di carattere psicologico che mi sono parse estranee al protagonista ed al suo mondo.
Credo che l' essenza di Akakij Akakievic stia nel suo non apparire, nell' accettare la propria limitatezza tramutandola in grandezza, nel gioire della semplice dote ( il copiare ) che la natura gli ha donato, scevro da odio, invidia, accuse, desiderio vendicativo per un mondo che lo ha sempre deriso nutrendosi della propria pochezza che a lui non compete, ed è in questo senso di finitezza che risiede l' infinito e la grandezza del suo sentire.
È nella " figura " del cappotto, idealizzato, amato, trattato come una persona ( il termine in russo e' femminile ), fonte di piacere personale, di riconoscimento di se' in una forma quasi narcisistica che si compie l' inganno, oltrepassando il semplice desiderio e mostrando un oggetto che ai più, ma non al protagonista, appare semplicemente come un bell' oggetto da ammirare.
Nella novella presenziano tutti i temi cari a Gogol, quel realismo sociale ottocentesco che descrive una realtà russa governata da un rigido apparato burocratico, da gerarchia e forma che disconoscono l' individuo ed il proprio sentire. Ma anche situazioni che riportano all' " Oblomov "( il vecchio cappotto e la vestaglia) o al racconto " Il naso " ( il tema dell' indefinitezza e dell' autoriconoscimento nel continuo specchiarsi ) tratti stilistici e ricercatezze linguistiche e grottesche di difficile traduzione insieme ad una accezione messianico-religiosa ( il protagonista nei confronti delle derisioni continue esclama ..." Io sono tuo fratello "... secondo l' accezione cristiana del termine fratello ). Ma alla fine, per Gogol, non esiste giustizia alcuna, né umana ne' divina.
Personalmente, nell' oceano interpretativo della novella, ho amato la forza espressiva del racconto, quei tratti così' magistralmente espressi, parole forti, significanti, la descrizione di una realtà altrettanta vivida ed aspra, la profondità di ogni singola espressione inserita in un quadro generale che suscita sgomento ed indignazione, la storia di un uomo e del proprio triste destino, segnato dall' indifferenza e crudeltà di un mondo che non lo ha mai accolto e che lo rigetta, tra le righe un' aria gelida ed un grido smorzato, ma anche un senso di profonda dignità umana, la propria composta semplicità.
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Rivoglio solo il mio cappotto
Come si può prendere una storia semplice, fatti di tutti i giorni, e farne un grande esempio di letteratura. Gogol ci descrive con precisione, senza fronzoli questo ometto che nessuno vede. Del resto Akakjj non si preoccupa di quello che lo circonda. Fa qualche debole tentativo di allontanare i colleghi che lo beffano, ma sen e cura poco così come non si cura di ciò che succede in strada, di quello che gli cade addosso dall'alto.
Il suo unico piacere è fare il suo lavoro di trascrizione di testi. Lo fa anche nel tempo libero, solo per avere il piacere di scrivere parole importanti.
Un guizzo nella sua vita arriva quando suo malgrado si decide ad acquistare un cappotto nuovo: i sei mesi che precedono questo evento sono da un lato esaltanti e dall'altro un inasprimento della sua vita di stenti. Si decide a saltare i pasti, a camminare con leggerezza pur di non consumare troppo le suole delle scarpe, si toglie la biancheria in casa per non sdrucirla. Ma tutto questo è ripagato dalla gioia dell'attesa. Si addormenta felice, sul lavoro si lascia andare persino a qualche errore, cosa mai successa, perchè distratto dalle fantasticherie del suo prossimo soprabito.
Il giorno tanto atteso arriva, la gioia e l'orgoglio sono inenarrabili, ma come spesso succede durano poco.
Il povero impiegato, o qualche entità ultraterrena per lui, avrà comunque occasione di trovare il modo per avere giustizia la prima volta nela sua vita. Così come riuscirà suo malgrado ad essere notato, temuto e forse rispettato.
Mi è piaciuto molto lo stile in cui è scritto questo libro. Forse anche per merito della traduzione, questo volume di metà 1800 e per di più russo si legge con facilità. Pochi dialoghi, molta attenzione alla descrizione sia fisca che intellettuale del protagonista, ma in modo semplice, immediato che spinge a continuare la lettura.
Fa un pò tristezza immaginare che già nel momento in cui scriveva questo libro Gogol iniziava a dare i primi segni di quelle crisi di nervi, poi trasformatesi in manie religiose e di autopurificazione che lo hanno afflitto con sempre maggiore intensità. Forse è vero che la genialitò va sempre un pò a braccetto con la follia.
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“Lasciatemi stare, perché mi offendete?”
Gogol' è un Maestro della letteratura e lo dimostra in un racconto perfettamente cesellato che si legge in un'ora e lascia attoniti, col sorriso sulle labbra e un senso di pena nel cuore.
Racconta di una solitudine assoluta nel gelo pietroburghese con un'ironia sottile e ben calibrata che stempera ad arte i tratti drammatici della storia, esaltandone per paradosso la tragicità.
Akakij Akakievic Basmackin è un umile impiegato con mansioni da copista, felice a suo modo e zelante nel lavoro fino al ridicolo:
“Si metteva a letto sorridendo in anticipo al pensiero del domani, di quel che l'indomani Dio gli avrebbe mandato da copiare”.
Basmackin è innocuo e di poche pretese, ma sembra che la vita si diverta a tormentarlo, proprio come i colleghi che non perdono occasione per burlarsi di lui con scherzetti di bassa lega:
“Lasciatemi stare, perché mi offendete?”, è la sua unica, sporadica protesta... Il lamento di un agnello tra i lupi.
Il fatto è che il povero Basmackin dà l'impressione di essere nato per quello: per essere tormentato da uomini e cose.
Lo seguiamo per le vie di Pietroburgo, perfettamente descritte tra squallide scale di servizio e appartamenti dei quartieri alti, tra proletari dediti all'alcol e tronfi burocrati che hanno fatto carriera.
La necessità di un cappotto dà una sferzata alla sua misera esistenza, funziona da diversivo e da sprone: con qualche sacrificio, starà al caldo e si libererà della logora “vestaglia” oggetto dei lazzi di tutti gli altri impiegati.
Le sue precarie condizioni economiche lo portano ad una serie di tragicomici buoni propositi (“procedere quasi in punta di piedi, per non consumare prima del tempo le suole”), e lo scrittore, attraverso il motteggio, ci dà come meglio non si potrebbe la misura dello stato miserabile dell'uomo: il pensiero del nuovo cappotto lo rende più ardito e colma un vuoto, come se “una gradita compagna avesse acconsentito a percorrere al suo fianco il cammino della vita”.
La svolta surreale sorprende in un contesto così tanto realistico, ma non fa perdere mordente alla storia, che resta quella di un omicidio a più mani, di un colpo mortale inferto dal più forte al più debole, tra indifferenza e meschinità.
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PER 80 RUBLI AKAKIJ PRESE IL CAPPOTTO
Akakij Akakievic è un impiegato di bassa lega, si occupa di copiare e ricopiare lettere e documenti, sa fare solo quello e solo quello brama fare.
La sua vita scorre monotona ma tutto sommato soddisfacente, quando un’improvvisa tragedia lo colpisce.
Il suo fidato cappotto, ormai ripetutamente sdrucito e rammendato, si logora irrimediabilmente.
Il suo sarto di fiducia non può porvi rimedio e consiglia al povero Akakij di acquistarne uno nuovo.
Il nostro fantozziano impiegato quindi lavora duramente per mesi, prostrato da rinunce e digiuni per racimolare i soldi necessari ad acquistare un nuovo cappotto.
Dopo lungo tempo riesce nella sua impresa, il cappotto nuovo non solo lo protegge più efficacemente, ma gli fa da ascensore sociale, permettendogli di inserirsi nei circoli bene della sua azienda.
Ma non tutto andrà per il verso giusto.
Gogol crea un racconto che sa essere surreale ma allo stesso tempo crudamente verista.
Testimonia così una società superficiale, in cui già il cambio di cappotto garantisce un’alterazione della propria immagine pubblica.
Lo stile è balzano, Gogol racconta il tutto come se si trattasse di una qualche leggenda metropolitana di cui ha sentito parlare, anche se improvvisamente aggiunge dei particolari molto minuziosi, che stonano positivamente con la vaghezza di altri passaggi.
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Il cappotto
Pietroburgo, metà ottocento, Akakij Akakievic è un impiegato grigio, mediocre, insignificante, deriso dai colleghi, che ha una sola passione e un solo scopo nella vita: il lavoro. Copiare documenti è tutto quello che sa e vuole fare. Il freddissimo inverno russo gli suggerisce che è ora di cambiare il proprio cappotto, liso, consunto, come la sua vita. Con sacrifici e rinunce mette da parte i soldi necessari e si fa confezionare il nuovo cappotto. La sua vita cambia; si sente più forte e determinato, i colleghi si complimentato con lui, tutto diventa più bello ed interessante, ma non durerà molto; una sera viene aggredito e derubato del nuovo cappotto.
Il cappotto è uno dei racconti Pietroburghesi di Gogol; letteratura russa di duecento anni fa. Una pennellata realista della società piccolo borghese di Pietroburgo i cui personaggi vivono esistenze misere, grigie, dove il possesso di un bel cappotto cambia la propria vita ai propri occhi e a quelli degli altri, dove sei giudicato e valutato per quello che hai, un consumismo ante litteram ancora lontano dall'essere spazzato via dalla Rivoluzione. Il racconto di Gogol sfuma dal realismo della descrizione di Pietroburgo e dei suoi abitanti al grottesco della trafila per la denuncia del furto e dei personaggi dell'apparato burocratico incontrati, al surreale del finale e lo fa attraverso una descrizione tragicomica e satirica della società del tempo. Un racconto piacevole, precursore di tanta letteratura.