Honolulu e altri racconti
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Il verso del chik-chak
“Ha mai fatto caso a quante sono le persone che, una volta arrivate qui in Oriente, sembrano smettere di crescere?”.
Lo scrittore britannico deve aver esplorato in lungo e in largo i Mari del Sud e sembra conoscere a menadito quelle isole popolate da nobili decaduti, avventurieri e marinai, luoghi dalla bellezza feroce dove trovano terreno fertile le passioni umane più estreme.
Maugham le racconta con uno stile in apparenza leggero, a metà strada tra il reportage e il pettegolezzo, che ricorda quello di alcune novelle di Maupassant.
I nove racconti sono caratterizzati da personaggi bizzarri, patetici, talvolta tragici, mentre una natura indomabile accompagna la narrazione: la schiuma che batte incessante sulla barriera corallina e tormenta i nervi di un uomo dominato dall'astio, i rumori assordanti della giungla dopo un delitto, o i suoi silenzi, immediatamente prima, il verso del chik-chak - una lucertola bruna - simile al “ghigno di un bambino idiota”, che sembra sottolineare beffardo l'emergere di una verità da tutti taciuta.
L'odio soprattutto, in queste pagine che assorbono il lettore con forza magnetica, sembra avere più potere dell'amore, come una pozione che avvelena deliziosamente e che non si può fare a meno di sorbire con voluttà.
Ma si sa che la distinzione tra buoni e malvagi mostra spesso confini molto labili e tutto lascia pensare che l'imprevisto sia sempre dietro l'angolo, ignoto e insondabile almeno quanto l'animo umano:
“Le dirò una cosa, c'è un lavoro che davvero non vorrei mai fare. Quello di Dio nel giorno del giudizio. Nossignore!”.