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Prima di raggiungere il successo nel 1950 con il suo romanzo d'esordio, "Sconosciuti in treno", Patricia Highsmith scrisse una serie di racconti noir: Donne ne raccoglie sedici, alcuni del tutto inediti per i lettori italiani. In queste storie, ambientate a New York e nei suoi sobborghi tra gli anni Quaranta e Cinquanta, le figure femminili sono la chiave di volta delle vicende, anche quando non ne sono le reali protagoniste. Un'insegnante di ginnastica trae piacere dal tormentare le proprie allieve, una bambina appena trasferitasi in città con i genitori alla ricerca di una vita migliore viene umiliata da una coetanea, una moglie rovina per sempre l'acquisto di un quadro al marito perché considera sbagliato il colore con cui sono dipinti i fiori. I protagonisti sono provati dalle tempeste della vita, ma tutti sperano che il vento possa ancora cambiare. Lasciano così le vecchie abitudini, un lavoro, una persona o un luogo per ricominciare. Anche se, per un senso beffardo che attraversa tutti i racconti, ciò che un personaggio desidera, un altro lo vive e lo detesta.



Recensione della Redazione QLibri

 
Donne 2021-02-06 14:34:24 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    06 Febbraio, 2021
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I primi passi di una grande scrittrice

Patricia Highsmith è nota al mondo per aver ideato il personaggio di Tom Ripley. protagonista di una serie di romanzi ampiamente trasformati pure in film di successo. In questa collana sono offerti ai lettori italiani alcuni lavori giovanili della controversa scrittrice americana, ma naturalizzata svizzera. Sono sedici racconti scritti tra gli ’40 e ’50, quando l’A. era poco più che adolescente. Sedici storie ambientate in un’America che mostra ancora aspetti ingenui, bigotti e provinciali. Sono francobolli di vita quotidiana, istantanee su micro drammi nei quali i protagonisti si trovano a dover affrontare le piccole tempeste interiori con risultati a volte paradossali, a volte terribilmente concreti.
Una bambina, eccitata dal trasloco a New York, solo per il banale commento di una coetanea precipiterà in uno stato di profondo sconforto. Uno stressato tassista newyorkese fuggito dalla metropoli alla ricerca di pace in una cittadina di provincia, subirà il trauma opposto: dopo essersi sentito accettato e appagato dal nuovo ambiente bonario che lo circonda, si troverà all’improvviso reietto e disperato. Una mamma borghese e conformista spezzerà la spontanea gioia del figlioletto per stupidi pregiudizi classisti. Un collezionista di stampe antiche vedrà scemare la gioia per la sua ultima conquista, a causa di un apparentemente insignificante dubbio semantico. Una governante, troppo ansiosa nel volersi prodigare per la famiglia che l’ha accolta così benevolmente, provocherà una tragedia.

Non è facile commentare un libro privo di una coerenza e unitarietà di base, nel quale ognuna delle parti che lo costituisce fa storia a sé. In alcuni dei racconti si percepisce ancora l’ingenuità infantile della scrittrice. Addirittura è possibile immaginarne il manoscritto, vergato in una calligrafia immatura su quadernetti dalla copertina nera e dai bordi rossi, come si usavano negli anni ’40. In altri, invece, è già presente l’acuta, cinica capacità di osservare e analizzare i comportamenti umani con fredda precisione portando situazioni apparentemente ordinarie alle estreme conseguenze.
I temi delle storie sono molto diversi ed eterogenei: alcuni sono beffardi, altri simpaticamente sentimentali, altri fiabeschi, alcuni sfiorano la tragedia. Il titolo italiano tenta di unificare la raccolta, ma, in effetti, è fuorviante. Per quanto la presenza femminile sia predominante e spesso immanente, non si può affermare che le donne (o le femmine, visto che non si può parlare di donne a proposito di una mamma ragno o di una borsa color cachi) siano le assolute protagoniste, dirette o indirette, delle storie.
Se si vuol trovare un filo conduttore della raccolta lo si potrebbe cercare in quel particolare stato d’animo, quella trepidazione, quel sentimento di lieve inquietudine che sembra riunire quasi tutti i protagonisti delle vicende. Una strisciante angoscia o disillusione mina le loro certezze e li strappa con derisoria crudeltà dalla serenità che agognano. Il più delle volte assistiamo a un loro iniziale stato di ebbra felicità, di ottimismo e gioia incondizionati in cui tutto sembra in perfetta armonia con le più intime aspettative. Poi, per una ragione, non di rado futile e secondaria, quell’apparente stato di grazia si incrina, talvolta repentinamente, talaltra in modo lento e subdolo, e una cappa plumbea di frustrazione se non addirittura di disperazione piomba addosso a loro. In alcuni racconti il processo è inverso e da un’ansia e un’angoscia iniziali sboccia un effimero stato di gaiezza, forse pure sproporzionato alle circostanze. In altri, infine, quel tremore dei sentimenti deflagra in tragedia. In tutti, comunque, la normalità del fatto quotidiano viene amplificata e ingigantita nell’animo dei protagonisti.

Mi piace segnalare soprattutto tre racconti. Ne “Un uomo tanto gentile” due bambine si trovano alle prese con uno sconosciuto che si dimostra oltremodo (troppo?) cortese: fa loro complimenti, offre caramelle, un giro in auto. Visto con gli occhi di una bimba, quell’episodio appare solo come un piacevole intermezzo di una noiosa e afosa giornata estiva. Con la saggezza (o il pessimismo?) dell’adulto (soprattutto dell’adulto di oggi), invece, quella presenza risulta scomoda, incongrua e getta un’angosciante ombra di minacce su tutta la vicenda. La storia è fatta più di sottintesi e di obiter dicta, ma lascia con il fiato sospeso sino all’epilogo.
Per altri versi è simpaticamente coinvolgente “Una scampanellata per Louisa” dove un’acida zitella, immigrata danese, tutta chiusa nel proprio mondo, si trova involontariamente coinvolta nell’assistenza a due bambine e alla loro nonna, ammalate di scarlattina. Quella breve esperienza alla Flora Nightingale le aprirà un mondo di sensazioni nuove schiudendole il cuore a sentimenti a cui pensava di aver rinunciato per sempre.
Infine ne “Il Guardalumache” una situazione strana e surreale, ma, al tempo stesso, convenzionale, evolverà sino a tingersi di connotazioni horror.

Lo stile della Highsmith, in queste sue prime prove, è già decisamente maturo e fluente, considerando, soprattutto l’età a cui le scrisse. l’A. è molto attenta a costruire le ambientazioni e le atmosfere. Con descrizioni precise delinea accuratamente i contesti. Come osservavo sopra, in alcuni casi le storie peccano ancora di una buona dose di ingenuità, ma in generale i racconti, nella loro stringata essenzialità, sono tutti già molto “adulti”: le situazioni sono tratteggiate da abili, rapidi colpi di penna che hanno il merito di lasciare astutamente spazio alla fantasia del lettore perché si scateni aggiungendo, magari, ancora un po’ più di pepe a contesti spesso solo accennati.

In definitiva si tratta di un buon libro, nel quale i singoli racconti possono essere goduti in rapide sessioni di lettura e apprezzati come un cabaret di tartine, dove al dolce si alterna il salato e, magari, il piccante, con gradevole variabilità.

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