Narrativa straniera Racconti Defender of the Faith
 

Defender of the Faith Defender of the Faith

Defender of the Faith

Letteratura straniera


Quando sul New Yorker del 14 marzo del 1959 apparve il racconto "Defender of the Faith" di Philip Roth, l’autorevole rivista fu sommersa da migliaia di lettere di protesta, nelle quali si esprimeva lo sdegno e la rabbia per il fatto che quel giovane autore ebreo, al suo esordio letterario, avesse avuto l’ardire di rappresentare un personaggio ebreo con quei tratti tipici della più becera pubblicistica antisemita d’ogni tempo: viziato, pigro, scaltro e manipolatore all’eccesso. Le reazioni esasperate non ebbero comunque l’effetto desiderato e pochi mesi dopo la pubblicazione sulla rivista lo stesso racconto apparve nella raccolta Goodbye, Columbus, che ha come tema centrale la questione dell’identità ebraica in America, in una società che forse per la prima volta nella storia offriva la possibilità di realizzarsi, al di fuori dall’aderenza obbligata alle tradizioni culturali di origine.



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Defender of the Faith 2015-09-23 16:27:38 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    23 Settembre, 2015
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Difensore della fede

Prima uscita di una nuova serie di Short Stories con il testo a fronte, questo racconto di ambiente militare vede la luce alla fine degli anni Cinquanta, quando cioè il suo autore non è ancora famoso. Dopo essersi distinto in Europa durante il secondo conflitto mondiale, il sergente Marx torna negli Stati Uniti ed è destinato a un campo di addestramento: la guerra sta per finire, ma la fabbrica di nuovi soldati è ancora in funzione. Al sottufficiale si rivolge ben presto la recluta Grossbart che, facendo leva sulla comune origine ebraica, inizia a estorcergli una serie di favori che aumentano via via d’importanza: il soldato distorce la realtà quel tanto che basta a convincere Marx che, alla fine, in qualche modo si rifà utilizzando pressappoco gli stessi metodi. Alla comparsa sul New Yorker, critiche pesantissime caddero sulla testa di Roth, reo di aver messo alla berlina un ebreo descrivendolo untuoso e ricco d’insidie come la propaganda ha sempre fatto per secoli con la sua razza: per l’autore, però, la considerazione pare non avere importanza perché si tratta solo di un personaggio e per di più secondario. Il vero protagonista è – pare superfluo sottolinearlo – Marx, il suo essere ebreo oramai secolarizzato e indurito dalle esperienze di guerra che, all’improvviso, si trova a confrontarsi con le proprie radici e il proprio passato: bellissimi sono, ad esempio, gli squarci dei ricordi riferiti all’infanzia e alla giovinezza. Non è difficile vedere nel personaggio una trasfigurazione dello stesso autore che cerca di raggiungere un equilibrio con il proprio mondo d’origine nascondendo magari sotto un sorriso beffardo (gli immancabili riferimenti alle asfissianti famiglie ebree sono l’esempio più evidente, ma anche il cognome del protagonista offre il destro all’umorismo) l’impossibilità - e anche l’ingiustizia - del tentativo di lasciarselo del tutto alle spalle. Nel bene o nel male, alla fine Marx è un uomo diverso, incerto se esserne contento o no: la sua evoluzione è raccontata da Roth con una ritmo veloce e asciutto che si diverte a rendere la secchezza e il ritmo del linguaggio militare specie in originale, dove compaiono spesso sigle, acronimi ed espressioni gergali.

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