Cattedrale
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Solitudini e incontri
Contiene qualche inevitabile anticipazione.
“Penne”, il primo racconto della raccolta: Jack e Fran sono invitati ad una cena da incubo. Un pavone li accoglie in giardino con la sua ruota, continua a lanciare il suo grido lamentoso per tutto il tempo, finchè Bud e Olla, i padroni di casa, lo lasciano entrare, scorrazzare nella sala da pranzo, dirigersi come un cagnolino verso il piccolo Harold, il bambino più brutto che Jack, la voce narrante, abbia mai visto: ”nessuno escluso”. Sul televisore fa mostra di sé, a imperitura gratitudine, il gesso della dentatura storta e scombinata di Olla, prima che un dentista gliela correggesse con i soldi del marito.
Eppure quella serata segnerà per Jack e Fran una svolta, facendo loro conoscere una forma fino ad allora ignota di amore, di riconoscenza, di devozione, di senso della maternità e della paternità, che segnerà il resto delle loro esistenze, deviandole dallo sterile egoismo in cui erano comodamente sprofondate
Qui il pavone e il calco di una dentatura, altrove un frigorifero guasto e il cibo andato a male, un orologio, una cravatta di seta bianca indossata da un vecchio senza scarpe, una briglia: oggetti, particolari, dettagli realistici che ci rimandano al cuore segreto della narrazione, svolgendo la funzione di simbolo, metafora, finanche di "correlativo oggettivo". Dietro c’è un senso che rischia continuamente di sfuggirci, un filo sottile che siamo chiamati a cogliere in queste storie “senza trama e senza finale”, pur spiazzati dalla loro brevità, dal loro entrare “in medias res”, dal loro cominciare quando tutto è finito e terminare quando ci sarebbe tanto ancora da dire. Incuriositi, però, da quel linguaggio minimale nella struttura, da quelle piccole frasi che si affiancano più che subordinarsi entro una più complessa architettura sintattica. Caratteristiche ancor più evidenti in "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore".
Ce ne sono altri di questi incontri che cambiano la vita, tanto da diventare un tema della raccolta . E’ il caso del protagonista di ”Febbre”, che troverà in un’anziana governante, capace di accudire i suoi figli e di ascoltarlo durante una breve malattia, la spinta necessaria per riannodare il filo smarrito della propria esistenza e superare il trauma da separazione che lo paralizzava e gli rendeva insormontabile qualsiasi difficoltà.
Ma anche nel racconto che dà il titolo alla raccolta, si assiste ad un incontro che mette in moto un processo di formazione. L’indifferenza, l’ostilità, il rifiuto dell’altro sembrano inizialmente connotare il protagonista di “Cattedrale”. Dapprima ostile all'ospite, amico della moglie, e come infastidito dalla sua cecità, supera alla fine barriere e pregiudizi, entra nel suo mondo, si estranea dal proprio, accettando un diverso modo di “vedere”. La solidarietà passa in questo caso attraverso un mutamento di prospettiva ed una immedesimazione con la diversità: "Gli occhi li tenevo ancora chiusi. Ero nella mia casa. Questo lo sapevo. Ma era come se non fossi dentro a niente".
La solidarietà, spesso inaspettata, sorprendente: ecco un altro tema ricorrente. Non c'è bisogno che si manifesti in gesti clamorosi, a volte può concretizzarsi in “piccole, buone cose”, come quelle che un fornaio offre ad Howard e Ann, le ciambelle calde, il pane appena sfornato, che aiutano a lenire per un momento il calvario dei due genitori grazie a chi li aveva involontariamente perseguitati al telefono, ignaro della tragedia.
Poi c'è l'alcol, che scorre a fiumi in queste pagine, trasposizione di una vicenda personale che coinvolse l’autore stesso, e chiude le creature letterarie di Carver in un cerchio nel quale rischiano di restare intrappolate per sempre. Spesso il personaggio ne è travolto, come Wes in ”La casa di Chef” o Lloyd che, in ”Stare attenti”, si aggrappa ad una banale sordità temporanea, dovuta ad un tappo di cerume, per rinviare il chiarimento con la moglie e ottenerne ancora qualche premura.
In “Da dove sto chiamando”, l'ospite di una casa di recupero telefonerà per il nuovo anno alla sua nuova compagna, dicendole semplicemente: “Sono io”. La reiterazione del vizio ha tolto ogni credibilità alle parole e ai buoni propositi: l'ultimo appiglio è ricordare di esserci a chi ancora può nutrire comprensione per noi.
Altrettanto disperata e senza sbocchi la sorte del personaggio di Carver quando si relaziona con il mondo del lavoro: in “Conservazione” il marito di Sandy, dopo essere stato licenziato, trascorre tutto il suo tempo sul divano, "come se ci abitasse"; in "Vitamine", il lavoro è fonte di stress e di nevrosi dentro una società dell’opulenza nella quale non tutti riescono ad integrarsi. Una vicenda più attuale che mai nella nostra società precarizzata e sottomessa all’utile.
Accanto agli oggetti, sono le ambientazioni di alcune storie a colpire: i treni, le stazioni, le sale d’attesa, notturne, tristi, solitarie, sono uno sfondo ideale, di ascendenza ottocentesca, per le devastate esistenze carveriane, per la loro solitudine, per la loro incapacità di comunicare. Ma “Lo scompartimento” e “Il treno” - tra le gemme più preziose della raccolta- sono anche connotati da un'aura di mistero, di enigma irrisolto, soprattutto il secondo, dove i protagonisti compaiono quando hanno già fatto e compiuto quello che sarebbe il plot di una narrazione tradizionale, e a noi resta da osservare solo la risacca che risulta dall’onda che si è infranta: da una parte, Mrs Dent, che stava per uccidere un uomo, dall'altra un vecchio senza scarpe con una cravatta di seta bianca, cui prima si alludeva, e una donna, reduci da un’esperienza negativa presso una comunità di cui ci vengono riferiti frammenti, nomi che non ci dicono nulla. Una scena quasi beckettiana. I tre attendono insieme l’arrivo del treno, non c’è nessuna comunicazione possibile tra loro, piuttosto diffidenza e astio. La stessa indifferenza da parte dei passeggeri li accompagna dopo che sono saliti : "Ma i passeggeri avevano visto ogni genere di cose nella loro vita [...]. E così non dedicarono altri pensieri ai tre che si muovevano lungo il corridoio [...].
La condensazione minimalistica di queste short stories può ingannare, facendole scivolare via senza lasciare eco nella nostra anima. I sentimenti sono infatti nascosti sotto l'apparente freddezza dello stile, la brevità asciutta, come una corda segreta che bisogna far vibrare perché ci riveli il mondo poetico dello scrittore, con la sua sofferente umanità.
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La traduzione dei brani citati è di Francesco Franconeri, nella edizione Oscar Mondadori, quella di cui sono in possesso.
Vite di carta
Credo che, tra le opere letterarie che ho letto, i racconti di Carver siano quanto più si avvicina alla "vita vera", soprattutto per quanto riguarda l'ambito familiare. Non è raro infatti, quando si pensa a una storia di Carver, immaginarsi un focolare in cui una o più coppie sono riunite a consumare una cena e discutere di un qualsivoglia argomento. Come fa ben notare Francesco Piccolo nella sua prefazione all'edizione Einaudi di "Cattedrale", spesso nei racconti di Carver non succede nulla e gli eventi davvero significativi o sono già accaduti (con evidente influenza sui personaggi) o sono ancora di là da venire, e magari il racconto in sé non è altro che la scintilla che li porterà a compiersi.
Ma noi lettori non vi assisteremo, e dovremo limitarci a immaginarli.
È palese, dunque, quanto non sia la storia narrata a svolgere un ruolo importante, bensì coloro che la popolano, le dinamiche che vengono a crearsi nei loro rapporti e la profonda umanità che ne traspare. È proprio su questa umanità che credo di dover porre l'accento più netto: i personaggi di Carver non sono eroi, né antieroi, né nemesi: non sono altro che persone normali i cui sentimenti, contraddizioni, stranezze, pregiudizi, virtù, difetti e tutto ciò che ci appartiene in quanto specie umana vengono descritte dall'autore in maniera divina. Racconti come “Una cosa piccola una buona”, "Da dove sto chiamando", “Febbre" o lo stesso “Cattedrale", oltre a essere probabilmente i più belli e toccanti, ne sono un esempio lampante. I personaggi ci vengono presentati all’improvviso e ci sembrano subito persone in carne e ossa, con una propria vita alle spalle di cui non sappiamo quasi nulla, eppure allo stesso tempo abbiamo la sensazione di sapere tutto, perché sono simili a noi in modo spaventoso. Nel breve stralcio di vita che condivideranno con noi, Carver sembra volerci dare gli elementi per sondarne l'animo e immaginare quel che gli riserverà il futuro, almeno nel medio termine. In fondo, in quelle poche pagine, abbiamo imparato a conoscerli un po' e possiamo azzardarci a indovinare quali saranno le loro scelte, anche se gli stessi personaggi non lo ammetterebbero neanche a sé stessi. Ma Carver ci ha addestrati anche in questo, a capire quando i suoi personaggi sono sinceri con sé stessi, e quando non lo sono.
Eppure, Carver non inventa nulla di incredibile. Non vi troverete davanti storie da mascella spalancata, né avvenimenti inspiegabili e misteriosi che possano tenervi incollati alle pagine con l’irrefrenabile voglia di sapere come va a finire; Carver ci tiene incollati raccontandoci la nostra stessa vita (non prendetemi alla lettera); quella vita quotidiana fatta di gioie, dolori, difficoltà, ansie, sollievo; tragedia e commedia. È questo a renderlo un autore unico, anche se questo tipo di unicità potrebbe non rientrare nei gusti del lettore in cerca di "evasione".
Ma una possibilità, a Carver, va data, e forse “Cattedrale” rappresenta la scelta migliore.
“Sono davvero grandi. Massicce. Sono fatte di pietra. A volte di marmo. Ai vecchi tempi, quando costruivano le cattedrali, gli uomini volevano essere vicini a Dio. Ai vecchi tempi, Dio era una parte importante della vita di ognuno. Lo si capisce da tutte le cattedrali che costruivano.”
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aperture d'ottimismo
Vi sono autori che esercitano un sottile, lontano, fascino sui lettori; come divi cinematografici sono noti, acclamati e menzionati. A differenza di un divo cinematografico, la cui immagine appare un po’ dovunque, o di un noto cantante, la cui voce può capitare di sentire un po’ dovunque, senza premeditazione, uno scrittore necessita di un ben preciso ragionamento, viene il momento per un lettore medio di dirsi, ora leggo Carver, magari approfitta dei numerosi sconti nelle librerie e si munisce di una copia di un libro dello scrittore-icona. La scelta non è facile, visti i roboanti strilli sulle manichette e gli entusiastici toni nelle recensioni, nel mio caso la scelta è caduta su “Cattedrale”, considerato uno dei massimi esempi della scrittura dell’autore americano, e non nasconderò che il titolo ha sottilmente vellicato in me quel mai sopito desiderio di trovare in qualunque pagina echi o e reminiscenze di colui che veramente edificò una cattedrale con foglio e penna dal letto della sua stanzetta. Ora, in questa raccolta di racconti di echi di cui poc’anzi detto non ne serba traccia, i personaggi si muovono in quella sorta di America minore, che sono i villaggi nel “middle of nowhere” statunitense che sembrano anni luce distanti dagli scintillii della costa est o dalla rutilante vitalità californiana. Qui incontriamo operai, spazzacamini, professori di liceo, alle prese con vite scialbe e costellate di fallimenti. L’atmosfera aleggiante tra le guglie di questa cattedrale è grigiastra e pessimista, gli uomini sono spesso abbandonati – o ignorati - dalle mogli, le quali spesso fuggono col primo venuto o sopportano a fatica la presenza in casa di un uomo dedito alla bottiglia o aggrovigliato nelle proprie delusioni al punto da non alzarsi dal sofà di casa. L’alcool scorre a fiumi, anestetico di vite amare, inconcluse. È una America del disincanto, dei cocci esistenziali, quella raccontata da Carver, il quale racconta in parte sé stesso quando parla di matrimoni alla deriva, di crisi dovute all’alcool e interminabili bevute che distruggono tutto ciò che circonda una esistenza. La raccolta comprende dodici racconti i quali pur conservando una matrice comune, riconoscibile, sono tutti ben differenziati fra loro, le ambientazioni cambiano, le trame sono sempre originali e narrate da punti di vista sempre nuovi, anche il linguaggio si differenzia da un racconto all’altro, esplorando vari registri: si va da quello tipo vecchio west con espressioni quali “che io possa essere dannato se non l’ho visto con questi occhi”. Altri sembrano raccolti dalla viva voce dei protagonisti su di un nastro registrato con quelle ripetizioni tipiche di chi ricorda e si sforza di fare un discorso lineare; sino a giungere ad accenti più sofisticati, quasi esistenzialisti, come nel racconto “Il treno” particolarissimo, che si staglia netto sugli altri rappresentando una variazione importante di ambiente e di struttura, circonfuso di una atmosfera grigiastra pare per metà sognato e per metà vissuto. Per concludere il racconto che dà il titolo alla raccolta in cui Carver apre all’ottimismo, e il protagonista dapprima restio ad accettare l’altro – l’intruso – alla fine si lascia andare permettendo alla fantasia e alla comunicazione di erompere nel suo piccolo chiuso mondo. I racconti sono formalmente perfetti, molto precisi, ben costruiti, quasi cesellati, com’è lecito aspettarsi da quello che è considerato uno dei massimi autori americani, la raccolta si legge con grande piacere, ci si appassiona e si ammira l’inventiva dell’autore, coadiuvato per i lettori nostrani dall’ottima traduzione di Riccardo Duranti. Se posso concludere con una mia impressione che mi creerà molti nemici, durante la lettura accanto all’ammirazione verso l’autore come già detto, ho avuto talvolta una sensazione di gelo, spesso la bellezza di un racconto non riusciva ad emozionarmi, come un lavoro svolto perfettamente ma con poca anima. Sono sensazioni difficili da spiegare, e forse infondate per una raccolta di racconti che si legge con leggerezza e che con leggerezza si dipana lungo le pagine con un effetto paradigmatico su quel che significa scrivere un racconto.
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La gente comune secondo Carver
Piccole storie, che contengono piccole speranze. Magari solo quella di non annoiarsi ad una cena cui non ci si può sottrarre. O di riuscire a trovare, ad un'asta, un frigorifero di seconda mano che sostituisca quello che si è appena rotto (è per questo che il gelato, nel congelatore, sta colando sul macinato di carne, un miscuglio che sa di schifezza già allo sguardo).
Piccoli punti di vista: “La maggior parte dei frigoriferi sono costruiti per durare una vita. Gesù non lo so mica cosa gli ha preso a questo nostro. E' solo il secondo in vita mia che vedo andare in malora così all'improvviso”.
Dodici racconti brevi di vita ordinaria (“provinciale”, si potrebbe dire) più che minimale. Che Carver provvede a decorare con elementi imprevisti e “coloriti”: una squadra di agguerrite venditrici di vitamine porta a porta, un orecchio umano portato a spasso come fosse un souvenir, una consulenza legale in caso di futuro divorzio come primo premio di una improvvisata lotteria... O il malandato camioncino del delicato “La febbre”, da cui ogni mattina uno spaesato Carlyle vede scendere la sua unica speranza di salvezza: l'anziana signora Webster, baby-sitter dei propri figli, ai quali la madre si è sottratta per seguire smanie d'artista.
A questi ritratti sembrano adeguarsi anche le emozioni. Come accade ne “Lo scompartimento”, dove Myers è seduto in una carrozza del treno per Strasburgo, e assapora l'idea di rivedere il proprio figlio dopo otto anni di assenza da casa, di sapere come è diventato, di capire che dirgli, anche sui litigi e sul successivo divorzio che ha sfasciato un'ordinaria famiglia americana. Fino a quando non si accorge che la giacca non è messa sul sedile come l'aveva lasciata prima di andare al bagno, che forse qualcuno ci ha messo le mani... E allora, sorprendentemente (e con grande abilità dell'autore), il treno delle emozioni prende lo scambio sbagliato e finisce su un binario che porta in tutt'altra direzione.
Racconti di vita ordinaria che non risparmiano le durezze (l'autore non ne ha intenzione): a rubare la scena, allora, sopravvengono desideri di ricucire rapporti compromessi, sconfiggere la dipendenza dall'alcool, o comunque di avere una seconda occasione...
Fino ad arrivare al caso in cui l'apparente ordinarietà è solo la rampa di lancio dalla quale spiccare un volo più universale. Accade in “Una cosa piccola ma buona”, forse il racconto più bello (e duro) dell'intera raccolta: un intreccio di vite – una madre, un padre e... il pasticciere del quartiere – che sembra uscito, dritto e tagliente, da “Crash” (il film del 2005 che mostrava come gli esseri umani, ai giorni nostri, non entrino più in contatto tra loro per affinità, ma solo per conflittualità).
Alla fine, c'è da dire che non tutti i racconti appaiono allo stesso livello, e che un pieno grado di soddisfazione è garantito solo a quei lettori che amano muoversi tra vicende “ordinarie”. Almeno il tris di storie di cui si è citato il titolo, tuttavia, pare valere l'intero prezzo della lettura.
sublime e doloroso
Premetto che il mio libro preferito di Carver è Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, ma Cattedrale è un libro sublime che dona al lettore un perfetto equilibro tra dolore, smarrimento, pace indotta, come uno sguardo sul nulla, frammenti silenziosi, sospesi, dilatati proprio accanto al vuoto, angoli di vite spesso anonime che la foto di copertina dell'edizione Mondadori ben ritraeva: un quadro di Ralph Goings. Realismo estremo? Minimalismo? Maniera? Ciò che importa è cio che rimane dopo averlo letto, qualcosa che permane anche con il passare del tempo, quando la memoria tenta di colmare i silenzi. I racconti Cattedrale e Una piccola cosa ma buona sono le punte di diamante della raccolta. Peccato che in Italia non esista traccia di letteratura simile, eccettuati i tentativi alterni di Giulio Mozzi, emulo di prestigio del buon Carver, i cui racconti però non raggiungono l'intensità del minimalista americano, troppo intrisi come sono di un cattolicesimo in cui la maniera si fa più accentuata e probabilmente perchè la lingua anglosassone per il suo dono di sintesi pare essere la naturale madre e balia del minimalismo.
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Stare dentro a niente
"Tenevo gli occhi ancora chiusi. Ero a casa mia. Lo sapevo. Ma avevo la sensazione di non stare dentro a niente."
Sta tutto in questo periodo, tratto dal racconto "Cattedrale", l'ultimo ma sicuramente il più significativo, il filo conduttore della raccolta. In un'ambientazione tipicamente americana, dove gli States si respirano in ogni quadro senza essere esplicitamente descritti: i problemi quotidiani, la libertà e la noia, l'acoolismo, le partenze e le fughe. Ma poi, a poco a poco, i personaggi ti entrano dentro, riuscendo ad assurgere a un'universalità fatta di pensieri improvvisi, desideri e dolori inaspettati. Carver riesce a mostrare la vita più che a dirla, usando poche descrizioni e tanti dialoghi, a volte reali ma spesso addirittura via via immaginati. Fino a creare un mondo dove le persone appaiono e scompaiono dalla visuale, come quelli che incontriamo per caso o ci appartengono per poco tempo, tanti quadri di uno stesso "on the road" che però, a ripensarci, lasciano il segno. Anche se le vicende sono tutte, a loro modo, tragiche, sono attraversate da un sottile filo di speranza, che s'incarna ogni volta in una persona, una cosa o un gesto illuminante e fa intravedere una via d'uscita, facendosi spiraglio anche per il lettore. I racconti migliori, da questo punto di vista, sono il già citato Cattedrale e Una cosa piccola ma buona. Un'autore da conoscere. Anche per chi non ama i racconti, questa raccolta è imprescindibile.
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momenti di vita
Leggere i dodici racconti di Carver è come entrare per un attimo nella vita dei personaggi che animano il libro, "osservarli" inquadrarli per poi chiudere la porta, ed entrare subito dopo nella vita di un altro personaggio.
Quando si termina un racconto si ha la sensazione che la vita di quei personaggi, di quel racconto, vada avanti comunque, anche se si è passati alla vita seguente di Betty o di Ann...
Carver raccontando frammenti di vita quotidiana senza troppi colpi di scena, con poche descrizioni, ma concentrandosi sul significato preciso del momento è come se passasse la "palla" al lettore, che una volta terminato il racconto si immagina i retroscena o gli sviluppi delle storie. Almeno a me è accaduto questo, di lasciare che le emozionanti parole dell'autore prendessero il largo nella mia testa per continuare a pensare, mentre mi accingevo a iniziare Conservazione, che fine avrà fatto Wes dopo aver lasciato la casa del suo amico Chef!!!
L'esistenza di persone qualunque dove a volte è il caso che le porta ad un cambiamento repentino delle loro esistenze, come una banale cena tra amici o una torta di compleanno.
Sono rimasta entusiasta da questa lettura, lo stile di scrittura, i personaggi, e la scelta accurata dei titoli che nascondono il significato incisivo del singolo racconto.
Ps Ci tengo a sottolineare che la curiosità mi è nata leggendo la recensione di Gio...
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...umanità apparentemente immobile...
Devo prima di tutto premettere che non sono un amante di racconti ho iniziato a leggere Carver perchè mi è stato vivamente consigliato da un'amica: una vera amante della BUONA LETTERATURA.
Entrare nei racconti di Carver è come immergersi nella vita quotidiana di "gente comune" non particolarmente bella,non ricca,non eroica,i dolori sono talvolta forti ,ma espressi in modo "sottole",le svolte non sono mai delle vere e proprie SVOLTE le definerei piuttosto delle "piccole illuminazioni" oppure cosi, momentaneamente appaiono, talmente sono avvolte dall'enorme strato delle apparenze e della vita quotidiana,piu' concentrata sui fini delle esigenze materiali che noi stessi ci imponiamo per "tirare avanti".Cosi, alla fine di ogni racconto si ha la sensazione che tutto si sia spostato ma nello stesso tempo sia rimasto immobile.
Dodici racconti ambientati in sale d'aspetto,nei vagoni dei treni,in salotti modesti e corsie d'ospedale.
Lo stile estremamente cristallino e nell'insieme minimalista tanto da sembare sempre,all'inizio di ogni nuovo racconto,banale, Carver dietro questa "lucidità emotiva" esprime un mondo carico di emozioni,di pericolo,di mistero e delle posssibilità che la vita riseva ma ciò viene espresso e narrato in modo straordinariamente "onesto"...tutto si muove eppure resta comunque immobile...l'essenza della vita REALE...cio' che avviene nell'animo dei protaginisti è come se restasse un mistero agli occhi del lettore,come il cieco che insegna ad uomo "vedente" a guardare a "vedere" ,cosi nello steso modo Raymond Carver ci aiuta ad intravedre le emozioni, le piccole o grandi "metamorfosi" che dentro ad ognuno di essi penetrano e si confondono insieme ad episodi superflui o per meglio dire semplicemente "piu' quotitidiani".
Lo stesso autore aveva definito questi racconti come i suoi piu' pieni,piu' ricchi,piu' generosi.