Ballo di famiglia
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Recensione della Redazione QLibri
Dio, che bello essere vivi!
Mi ricordavo che questi racconti letti secoli fa mi erano piaciuti molto, ma non che fossero così belli. Ai racconti David aggiunge una prefazione toccante e un racconto finale commovente per la naturalezza con cui condivide con il lettore il suo desiderio ingenuo e tenerissimo di poter riavere indietro, dieci minuti soltanto, il tempo di un abbraccio, la madre morta. Sia nella prefazione e che nei racconti David ci fa entrare nella sua vita, non perché le storie siano autobiografiche alla lettera, probabilmente non lo sono, ma contengono un nucleo di verità che non è limitato al famoso coming out relativo all’essere gay. Certo il tema dell’identità sessuale c’è, ma non mi pare sia così pressante come nei libri di altri autori. Si percepisce piuttosto un senso di contentezza di sè che fa risaltare l’insoddisfazione altrui. Quella ad esempio della coppia in crisi o dell’amica del gay innamorata infelicemente dell’amico, che passa la vita al suo fianco così simile e affine alla figura della moglie di una certa età, ingrassata, casalinga, dipendente dal marito, in certi racconti pure malata di cancro, innamorata perdutamente del proprio marito e ovviamente non ricambiata. C’è il malessere legato al naufragio della famiglia, il senso di perdita per la sua fine (Ballo di famiglia, Danny in transito). Il disfacimento della relazione è legato al desiderio di vita e di conseguenza di piacere a scapito dei legami di sangue in cui l’affetto incatena la voglia di vivere e di realizzarsi. Spesso uno dei coniugi, di solito la donna, ama senza speranza il marito infedele, cade in depressione dopo la separazione, si sente così male da non poter più pensare ai figli. Il racconto più bello e anche più toccante è Danny in transito, che rende meravigliosamente il disagio di Danny e quanto sia profondo e ingiusto il suo dolore . In questo racconto il lettore si sente in sintonia con la nonna che rimprovera tutta la famiglia, che dice che ai suoi tempi si soffriva ma si rimaneva al proprio posto pensando ai figli. Questo racconto è bellissimo. C'è anche il tema dell'amore edipico con il genitore di sesso opposto, tema appena accennato, ma importante per decifrare alcuni personaggi dei racconti. Per alcuni di loro l'identità gay sembra legata al legame troppo stretto con la madre. David Leavitt è uno scrittore di grande sensibilità, che emerge pienamente in questi racconti. In altri testi invece prevale una scrittura diversa, o troppo gay, nel senso più di genere o troppo estetizzante come nel decoro che a me non è piaciuto molto.
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Armoniosa dissolvenza
Nella metà degli anni ‘80 David Leavitt fu precocemente catapultato con grande risonanza nel mondo letterario grazie a una raccolta di racconti, “ Ballo di famiglia “, oggi riproposta nella nuova traduzione di Fabio Cremonesi, specchio di un mondo frammentato e frammentario che pone il microcosmo famigliare accompagnato da un senso di vuoto e precarietà al centro del proprio narrare.
Al suo interno molto altro, un’ identità sessuale rivelata o celata, malattie, perdite, dolori, tormentate relazioni genitori-figli, silenzi protratti, matrimoni infranti, famiglie a pezzi, la perdita dell’ innocenza ma anche una presa di identità, la gioia di vivere, la consapevolezza dell’esistere e del resistere, ovvero il cuore della vita.
Si ha l’ impressione che Leavitt, che ha fatto della propria omosessualità un’identità dalle tinte forti ( prevalentemente nelle opere successive ) accentuando esponenzialmente i legamiintrafamigliari e le loro devianze, in questi racconti ci parli prevalentemente di relazioni, affettive, potenziali, inespresse e di sentimenti, scoperchiati, negati, traditi.
“ Tutte le cose brutte succedono nelle case pulite, dove tutto è ordinato e tutti si dicono buongiorno e nient’ altro “. Sovente dietro l’ apparenza emerge tutt’altro, il marcio e il superfluo, una passività che si lega a una famiglia a pezzi, figli traditi da madri inadeguate, persi per semplice distrazione o negligenza, e niente pare reale, sopraffatti da un dolore che ogni volta ritorna.
Sovente la famiglia e’ assente, semplice convenzione, e tutto è andato perso, finendo con il chiedersi perché si è la causa del dolore della propria madre i cui racconti si devono ascoltare anche quando non se ne ha voglia.
Altrove il silenzio è una scelta obbligata, poche parole, pochi attimi, altre perdite da affrontare. Capita di sentirsi infelici della felicità altrui, capita che nella gioia apparente niente sembri reale, e, imbrattati da una gioia perversa, si può ricordare l’ anno in cui la propria madre stava morendo come il più felice della propria vita.
Forse tutto è andato perduto, c’è chi si prende gioco di una moglie devota, tra relazioni famigliari distanti, così distaccati e isolati gli uni dagli altri. Talvolta si galleggia nello strano liquido del proprio amore, un amore che non osa pronunciare il proprio nome, stretti in un angolo ad osservare impotenti la felicità altrui, attendendo il proprio momento.
Tutti i protagonisti di queste storie monologano incessantemente, prendondosi delle lunghe pause, Leavitt riesce, con maestria e profondità, nonostante la giovane età, a tessere un puzzle di grande equilibrio, illustrando mirabilmente un microcosmo ( la middle class americana ) che conosce bene, protagonisti non protagonisti impantanati in un’ immobilità apparente che sfocia in pulsioni irrefrenabili.
Nel cuore di racconti così diversi c’è un filo conduttore, quel monologo soggettivato che fatica a riconoscere l’ oggettività dei fatti, un grido di dolore nel vuoto standardizzato, l’affermazione di un io imprigionato da relazioni al limite dell’ ossessivo, in prevalenza madre-figlio.
L’autore è prematuramente sbocciato e fa sentire la propria voce, questi racconti, di una perfezione mirabile, a testimoniare un talento che andrà affievolendosi nei romanzi a seguire, per esaurirsi nel presente, forse, come lui stesso rivela, per semplice mancanza di ispirazione, forse per un cambiamento radicale dei tempi ( in senso negativo ) in cui non si riconosce.