Verdi colline d'Africa
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Caccia, chiacchiere e fiumi di alcool.
Premettendo l'innegabile verità che l'autore nella sua lunga carriera abbia scritto (molto) di meglio, partiamo col dire che il libro va visto sotto due differenti aspetti, uno prettamente letterario, l'altro morale. Dal primo punto di vista, siamo davanti ad una specie di resoconto di caccia, di diario di viaggio, raccontato però senza la schematicità tipica di questo genere di opera ma con la fluidità, la naturalezza e la passione propri del romanzo. Lo stile di Hemingway non conosce fronzoli, si sa, è semplice ed asciutto ma sempre brioso, disinvolto, coinvolgente. Le descrizioni degli animali sono perfette, quelle dei paesaggi meno curate ma riescono tuttavia a trasmettere la maestosità, la bellezza ed il fascino di un continente impareggiabile. Hemingway porta il lettore sotto il sole cocente di un'Africa selvaggia, incontaminata, dura ed affascinante, lo arma di carabina e installa in lui il piacere non tanto della caccia indirizzata all'uccisione, quanto quello della preparazione, della tattica, dell'attesa. Lunghe giornate acquattati ai limiti di un lick in attesa di un animale che forse non verrà mai, oppure ore di marcia attraverso erbe alte, cespugli, intrichi vegetali, a combattere con il caldo, gli insetti e con se stessi, con la propria smania, le proprie ambizioni, le proprie paure. Poi cala il sole, la caccia termina, si accende il fuoco e tra un pezzo di carne arrostita su un falò crepitante e un sorso rigenerante di alcool, ci si gode il fresco della sera. Illuminati dal chiarore delle stelle che tempestano gli sconfinati cieli africani, ci si lascia andare ai ricordi, ai commenti e ai programmi per il giorno successivo. Ma ci sono anche il tempo e la voglia di staccare, di pensare ad altro. Allora ci si abbandona ad interessanti dissertazioni riguardanti la vita e l'arte, ovviamente con particolare attenzione alla letteratura e a ciò che ci gira intorno, a scrittori più o meno bravi e a critici che sembrano assomigliare sempre più a pidocchi. Passando agli aspetti morali ci imbattiamo invece davanti a qualcosa che non sempre quadra. Se la caccia è un argomento che può infastidire qualcuno, bisogna comunque considerare che ogni cosa va rapportata con il suo tempo e come è noto a tutti in quegli anni non c'era la sensibilità attuale riguardo al rispetto per gli ecosistemi e al rapporto tra uomini ed animali. Spesso non c'era neanche, ma questo ahimè manca in troppi casi tuttora, la capacità di rapportarsi ad altre culture "meno sviluppate" senza arroganza e senza porsi in posizione di superiorità, come troppe volte e con grande naturalezza sembrano fare il protagonista-scrittore ed i suoi compagni nei confronti degli indigeni di cui si circondano e dei quali si servono come portatori, autisti e guide. Forse il sensibile lettore moderno gradirebbe che ogni tanto il dito non schiacciasse il grilletto e sicuramente preferirebbe una maggiore commistione tra diverse culture e, perché no, l'instaurazione di una sincera amicizia tra cacciatori occidentali e aiutanti (non schiavi) Masai. Sorvoliamo con la speranza e (meno) la convinzione che ciò oggi non accadrebbe. Lasciano perplessi anche l'idea di ritorno al contatto diretto con la natura, di rifiuto della società moderna senza tuttavia rinunciare ad aspetti peculiari di essa come la comodità di armi e mezzi di trasporto, di scarpe dalle soffici suole, al piacere rinfrescante di una schiumante birra tedesca d'importazione e al calore rinfrancante di un sorso di ottimo whisky. Ma passi anche ciò, non bisogna essere integralisti. Fanno sorridere le rivalità e la competizione che si creano tra compagni-rivali per chi uccide l'animale più grosso, chi conquista il manto più pregiato o le corna più lunghe e la boria quasi infantile che si genera in chi, uccisa la preda, sente per un attimo di essere il re del mondo. Insomma, un'opera dai due volti di cui è difficile criticare l'innegabile valore letterario ma che, per il resto, ognuno può giudicare, tenendo presente il momento storico in cui i fatti sono accaduti, in base alla propria sensibilità a certi argomenti, alla propria maturità e a ciò che cerca quando si imbarca in una nuova lettura.
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L'anello mancante
Il tempo che si cristallizza in una lucente bolla di cruda passione, di odorosa realtà (giacché la realtà quand'è tale ne profuma ne puzza) e di vivida armonia, e il respiro dell'uomo che si fonde con il respiro universale concorde con il ritmo della vita. Verdi colline d'Africa non è il resoconto di un safari, non è la storia (vera) dello scrittore in cerca di emozioni che organizza battute di caccia in Africa, è di più: è il richiamo del selvaggio, il ricollocamento dell'uomo nel proprio naturale ambito d’appartenenza; e non è solo il racconto di un episodio di un' interessante vita: è il racconto di tutte le vite.
Il genere umano con tutta la superiorità di cui è capace vantarsi tende a prendere le distanze dalle sue origini, dalla sua discendenza animale, Hemingway con questo libro lo riporta con i piedi per terra, o per meglio dire nel fango, nella sabbia, nell'erba, non più evolutivamente sopra gli altri esseri ma in mezzo ad essi con l'armonia della propria specie a contatto con le altre.
Per decenni si è cercato l’anello di congiunzione tra l' uomo e gli altri animali, questo libro per la prima volta c’è lo mostra, ce lo descrive: è ciò che ci circonda, ciò che condividiamo con gli altri, uomini e non, il terreno su cui camminiamo, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo. Tutto ciò che ci lega ad ogni altro singolo essere vivente, questo è l’anello. Non a caso questa armonia, questo anello che non riuscivamo a trovare, a spiegarci, Hemingway lo trova in Africa, la culla della vita, dove il contatto tra uomo e suoi simili è ancora possibile (almeno all’epoca dello scrittore, almeno stando a quello che ci racconta) dove la vita tra uomo e animale può ancora appunto essere armoniosa.
Attenzione però armonia non vuol dire l'artefatta immagine idilliaca di un paradiso terrestre in cui tutte le creature vivono in pace tra loro, ma è l’equilibrio della realtà, è il rapporto dell' essere umano con tutte le creature nel giusto ordine delle cose. L'uomo è parte della natura e la natura (ammesso che si possa attribuirle una caratteristica del singolo) è violenta: in natura gli animali cacciano, mordono, uccidono e così anche l'uomo, e cosi anche gli uomini del libro.
Dunque la caccia non più come gesto barbaro di una mente superiore che malgrado il suo acume prevarica gli esseri inferiori, ma come gesto normale, come normale è il ciclo della vita, di tutte le vite. Dunque il cacciatore non più come estemporanea incognita, malgradita da un ecosistema perfettamente autonomo, ma come tassello di quel puzzle eterno ed essenziale che comprende l'esistenza di ogni essere vivente.
Il viaggio, il safari, raccontato in "Verdi colline" è relativamente breve, e dal ritmo della narrazione traspare la fretta che in una permanenza di pochi giorni pervade la mente del viaggiatore: la paura che passate un paio di notti il sogno finisca, il timore che tempo di disfare le valige e sia già ora di rifarle; e più che una battuta di caccia, il racconto pare una costante rincorsa del momento perfetto, dell'istante dove, felici di essere "altrove" , finalmente ci si gode la vacanza e il tempo non conta più. Ma quell'istante si fa attendere: ha l'aspetto del leone che non riescono a trovare, del cervo (o quel che è) che non riescono a colpire, e quando finalmente ci riescono, quando l'autore preme il grilletto e colpisce la sua preda, ci si rende conto che in realtà è già passato, che l'istante è nuovamente sfuggito e che ci si era anche sbagliati, poichè non è nello scovare la preda, nell' ucciderla, la perfezione, ma prima, nello scorgerne le tracce, nel trovare la pista, nell'acquattarsi dietro un cespuglio per studiarne i movimenti, per attendere che il vento non rivelì l'odore dell'uomo, la sua presenza. Quelli erano i momenti giusti, gli istanti perfetti: quelli delle attese, quelli che anche nel viaggio, nella stranezza, nell'originalità, sono la quotidiana normalità. Ed Hemingway ad un certo punto se ne accorge, lo sente, lo capisce e il ritmo della narrazione prima e dopo affrettato, lì, in quei momenti, diventa calmo, lento, statico, tanto che pare arrestarsi e dilatarsi all'infinito come a ribadire che le singole ore della caccia e le singole ore del giorno (poichè pur nel particolare di un esperienza fuori dal normale qui il libro si fa parabola del quotidiano vivere) le singole ore, le si possono frazionare in minuti e in secondi, e ogni secondo in milionesime parti, ma nessuna di queste conta se non la si sente, comprende, vive e gode fino in fondo; e solo allora, quando le si saranno comprese e si sarà dentro di esse si troverà che il tempo in realtà non conta, che il passato e anche il futuro non hanno importanza ma solo il momento.
E' solo in quello, sembra dirci Hemingway, nel momento, che il cacciatore è presente; è solo in quello che, grazie alla viva forza dell'animale a confronto con la sua, l'uomo può trovare l'anello mancante tra le specie e il suo ruolo nella natura; ed è solo in quello che l'autore è veramente se stesso e può raccontarcelo, e noi leggerlo. Prima di questo istante infatti lui e noi non ci siamo più, siamo già oltre, dopo questo istante non ci siamo ancora, dobbiamo ancora arrivarci, e così anche il libro: quello che sì è prima della caccia va lasciato dietro, quello che si è dopo va lasciato davanti.
E’ estremamente difficile avere esperienza del presente, e in quello avvertire l'energia che lega ogni essere vivente ad ogni suo simile, ancora di più narrare una storia che vi si mantenga costantemente con coscienza, descrivendo questa energia, mostrandocela non più come un offuscato vaneggiamento d'un santone indiano, o lo psichedelico pavoneggiarsi di un cavaliere Jedi, ma come una concreta, oggettiva, reale, e talvolta brutale, esperienza di vita; è estremamente difficile, eppure Hemingway, con il suo stile che è in grado di racchiudere l'universale nel particolare ci è riuscito (scusate il luogo comune, ma quando ci vuole, ci vuole!): è riuscito a raccontare una storia fissa nel tempo senza oggi e senza domani, che pur circondata dalla rutilante fretta dell'inesorabile incedere del tempo riesce a descrivere, la forza, l'enorme potere, che in ogni singolo istante scorre in lui, in noi e in ogni altro essere vivente.
E se qualcuno riesce in tale impresa, scrittore, pittore, o musicista che sia, davvero non occorre aggiungere altro, poichè di fronte ad un tale risultato ogni ulteriore complimento, ogni ulteriore parola, è superflua.