In Patagonia
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UN ARIDO DESERTO
Avevo grandi aspettative da questo libro, forse perché un bel viaggio in Patagonia è uno dei miei sogni. Invece ho ritrovato un libro arido, a dispetto delle recensioni entusiastiche lette. Certo non mi aspettavo una guida, ma pensavo fosse, come tutti i libri di viaggio, un racconto intriso di paesaggi e di storie umane. Ci sono sia gli uni sia le altre ma miscelate in modo strano, fra passato e presente. Con un ritmo lento. Che non mi ha offerto alcuno stimolo, né come mete, né dal punto di vista umano. Le parti che ho maggiormente apprezzato sono degli accenni descrittivi sul deserto tipico di quest’area, che non è un deserto di sabbia o di ghiaia, ma una distesa di bassi rovi dalle foglie grigie. La Patagonia è un’amante difficile, che lancia il suo incantesimo, ti stringe fra le sue braccia e non ti lascia più. Chi c’è stato ne porta a casa quest’immagine. Forse perché chi percorre il deserto scopre in se stesso una calma primitiva che forse è la stessa cosa della pace di Dio. Mi aspettavo che il libro lasciasse queste sensazioni. Invece mi è proprio sembrato un continuo saltellamento fra storie di personaggi veramente noioso.
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Vecchia Pat
Spesso le passioni, le fissazioni nascono durante l'infanzia come un presagio passeggero, in cui si ripone poca importanza.
Nella credenza della nonna, il piccolo Bruce osservava un pezzo di pelle con ciuffi rossicci su cui con uno spillo era appuntato un cartoncino. Brontosauro. Ebbene avere un lembo di animale preistorico in casa, rinvenuto da un avo nei ghiacci di Punta Arenas val bene l'attenzione di un ragazzino. Se poi il brontosauro si rivelo' essere un bradipo gigante, questo non interferì con la curiosita' ed il legame per la Patagonia, che si riverso' in eta' adulta in un lungo percorso che Chatwin ci racconto' nel 1977 attraverso questo libro.
Da Buenos Aires fino all'estremo sud dell'Argentina, nella citta' piu' australe del mondo, il viaggio avvenuto con mezzi di fortuna tocca un perimetro assortito.
Caratteristica saliente del libro e' che la vecchia Patagonia proposta dall'autore non e' solo luogo, geografia, panorama. Si tratta di un articolato connubio di territorio ed umanita', terre di immigrazione e di nazionalita' disparate che si incrociano e sedimentano.
Opera proposta su larga scala nei diari di viaggio, il libro mi ha delusa ed annoiata oltre ogni aspettativa. Sebbene molto dettagliato nei paesaggi e non manchi del movimento centrifugo di una grande avventura, scarseggia un elemento fondamentale a mio avviso : il cuore.
Ho trovato la narrazione scorrevole ma asciutta, avara di emozione, corposa ma frettolosa, priva di quell'enfasi che non concepisco possa mancare a chi sta scoprendo e vivendo un gran pezzo di mondo coltivato fin dai sogni di bambino.
Punto abbastanza in alto il bilanciere di stile e contenuto per onesta' critica, sulla piacevolezza non lo rileggerei e non lo consiglierei.
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Il viaggio
Ormai lo sanno anche i sassi che ogni scrittore, come ogni artista in genere, insieme alla sua creatura, vanno affrontati criticamente tenendo presente il tempo e lo spazio, quindi l'ambiente che ne hanno consentito la genesi e il divenire.
Ma gli stessi sassi non immaginano neanche lontanamente che esista anche un ambiente esterno alla creatura: la fruizione della stessa. Un preciso momento, quindi un tempo e uno spazio, da parte del lettore, in cui l'opera viene scoperta e metabolizzata.
E visto che si tratta di terra, quindi anche di sassi, il trovarmi tra le mani, scelto tra centinaia di titoli, "In Patagonia" di Bruce Chatwin, vederlo, guardarlo, e poi decidere di leggerlo non è stata un'azione legata al caso ma l'espressione della voglia di cercare un percorso, una meta e di trovare sicuramente un qualcosa di grande, luminoso e solitario lontano da questa Italia e da tutte la nefandezze dei suoi territori fisici e mentali che in questo momento storico rappresenta.
E ben venga allora, com'è scritto nella quarta di copertina: il libro-simbolo di tutti i viaggi, per bere queste parole scritte sulla carta e inebriarsi di cielo, terra, vento e polvere, fiumi, laghi, praterie, deserti e ghiacci che sorgono e sprofondano nel mare, in orizzonti freddi e salati che non ci appartengono, fuori da queste stanze latine soffocanti e lontani da questo oggi così viscido, umido e buio.
E' il viaggio perchè è la vita, come dovrebbe essere per ognuno di noi, distante anni luce dalle bieche concezioni turistiche.
E' la scoperta di questo " estremo sud" del continente americano rispetto al "grande nord" di tanta letteraria memoria. Una scoperta fatta a piedi o con mezzi di fortuna, di luoghi e di uomini che ci sono stati da sempre e villaggi e cittadine sorte dal nulla e colonizzatori che in nome di un dio o di un re hanno distrutto, massacrato e riedificato ma che qualche volta, come si dice secondo uno schema politically correct, sono stati "martirizzati" dai cosidetti "selvaggi" del luogo.
Questo viaggio, iniziato nel 1974, ha visto in quel lembo di terra la fine di Allende con il golpe di Pinochet in Cile e ha vissuto, prima della sua pubblicazione, l'avvento al potere di Videla in Argentina. Due dittature: due violenze insorte su una terra che non è stata mai per gli uomini un paradiso terrestre e che ha subito e cercato gli ismi politico-filosofici del vecchio continente in una realtà abitata da indios, peones, gauchos, allevatori, latifondisti, imprenditori, esuli e clandestini. Una realtà frastagliata come la sua parte terminale: la Terra del Fuoco.
E mentre leggi, guardando come dall'alto questa terra sconfinata, chiudendo gli occhi un attimo, non puoi fare a meno di sentire il rumore dei motori degli aerei e persare che il grande mare che la circonda come un abbraccio, ha stretto al suo petto tanti, troppi Desaparecidos.
Qualcosa che non può esere dimenticato, come questo viaggio.