Il libro del mare
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L'elogio del mare
Partendo dall’avventura autobiografica di Stroksnes e dell’amico Hugo, intenti a catturare il mitico squalo della Groenlandia, animale ancestrale capace di risvegliare un atavico sentimento di repulsione-attrazione e spavento-curiosità per il “mostro” che popola gli abissi oscuri e inesplorati sin dall’alba dei tempi, il libro si muove a metà tra il romanzo e il saggio. Il linguaggio usato da Stroksnes non è quello tipico dei romanzi d’avventura, per questo ritengo eccessivo e scorretto il paragone con Jules Verne e Melville, ma è piuttosto un elogio del mare in toto, a partire dalle minuscole forme di vita che lo abitano fino al rapporto di fusione che si prova quando ci si trova immersi in esso. Le battute di caccia e le vicende dei due protagonisti, a volte raccontate in maniera eccessivamente prolissa, vengono intervallate da excursus (spesso aneddotici) di carattere biologico, naturalistico, letterario e mitologico, che offrono numerosi spunti da approfondire e che, grazie alla prosa scorrevole e intuitiva, permettono al lettore di imparare numerose nozioni anche in campi che non gli competono appieno. Numerosi sono i riferimenti alla letteratura (Bibbia, Moby Dick, Ventimila leghe sotto i mari, persino l’Ulisse dantesco) e alla mitologia, in particolare norrena, sempre capace di affascinare: come i mostri fantastici, capaci di terrorizzare per secoli i marinai, rappresentati nella carta nautica di Olao Magno, e il Maelstrom di Edgar Allan Poe, il mulinello d’acqua che ingurgita tutto quello che si trova al suo interno, spedendo le imbarcazioni nel vortice, rappresentante un passaggio diretto verso l’oltretomba, come se il mare vorace fremesse dalla voglia di ingurgitare indiscriminatamente ciò che vuole e sputasse fuori solo relitti. La visione complessiva che emerge del mare è proprio questa: il mare è incomprensibile e non sottostà a nessuna legge, anzi, è lui che da milioni di anni le detta. Quello che a noi concerne è rispettarlo ecologicamente e rifletterci in esso: “L’acqua è morbida come seta sul corpo. […] Sono senza peso, come acqua nell’acqua. Non indistinto, come un nulla, ma come una goccia nel mare”. Solamente specchiandosi e immergendosi nel mare ognuno di noi può arrivare a comprendere se stesso nel profondo e affermare la propria identità all’interno della vastità della natura.
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"Acqua e meditazione sono sposate per sempre"
Morten A. Stroksnes ci trascina con sé e con il suo amico Hugo, artista pescatore, in una lunga caccia nel freddo mare della Norvegia. Siamo nelle acque delle isole Lofoten e la sfida è lanciata al vertebrato più longevo che si conosca in natura: lo squalo della Groenlandia, ancestrale abitante di abissi ancora inesplorati. L'impresa non è affatto semplice e richiede un bel po' di tempo a disposizione e molta pazienza. Così, in attesa che la nostra preda abbocchi all'amo, abbiamo la possibilità di fermarci a riflettere, sollecitati dal senso di pace e libertà ispirato dal mare aperto. Anche perché, come diceva Melville, "acqua e meditazione sono sposate per sempre". È qui che il libro assume la sua reale valenza, abbandonando le futili peripezie dei due protagonisti per immergersi in un'ondata di pensieri, nozioni e citazioni. La battuta di pesca si trasforma quindi in una sorta di documentario scritto che esplora la profondità del mare, scandagliandone gli esemplari di flora e di fauna, i paesaggi e il rapporto con l'uomo. Qui l'analisi si sdoppia. Da un lato l'autore cerca di spiegare l'atavica attrazione che ci lega alla parte acquatica del pianeta e che da sempre ci avvince e ci spaventa al contempo, spingendoci ad avvicinarci al mare con un interesse quasi voluttuoso ma anche con la giusta dose di prudenza e circospezione. Dall'altra, ahimè, non può mancare il doveroso rimprovero per il modo in cui trattiamo questo elemento. Diffusione selvaggia di rifiuti non biodegradabili, pesca sconsiderata, estrazione e spargimento di petrolio, distruzione dei fondali sono solo alcune delle attività deleterie con le quali stiamo irrimediabilmente rovinando quella che, al di là di ogni progresso, rimane la nostra principale fonte di vita. "Qualcuno ha scritto che il nostro pianeta non dovrebbe chiamarsi Terra: dovrebbe semplicemente chiamarsi Mare". Non mancano poi le citazioni letterarie: dalla Bibbia a Melville, passando per Olao Magno, l'autore sviscera e interpreta scritti di ogni epoca e di ogni specie che riguardano il mare e tutto ciò che ad esso è legato. Insomma una lettura interessante più che altro dal punto di vista scientifico, ricca di informazioni (spesso fin troppo) e di spunti di riflessione ma povera dal punto di vista letterario, con una prosa schematica, fredda come le acque in cui la storia è ambientata e due personaggi privi di carisma e incapaci di creare empatia. Da questo punto di vista l'avventura alla Melville e alla Verne millantata nella quarta di copertina appare del tutto fuori luogo, sia per i contenuti che per i personaggi, sia per il modo di scrivere che per l'irrisorietà del contesto avventuroso. Con tutto il rispetto e la simpatia per Morten e per il suo amico Hugo, Achab e Neno sono di uno spessore troppo elevato per azzardare, anche solo con il pensiero, un qualsivoglia accostamento.
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