Narrativa straniera Racconti di viaggio E quel che resta è per te
 

E quel che resta è per te E quel che resta è per te

E quel che resta è per te

Letteratura straniera

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Scritto a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, mai pubblicato in Cina eppure diventato subito popolare fra le giovani generazioni cinesi, questo romanzo ha suggerito accostamenti alla letteratura occidentale, come "Sulla strada" di Kerouac, o "Il giovane Holden" di Salinger o perfino i disperati monologhi di Henry Miller: il tono dissacrante e anticonformista, la sincerità delle confessioni, le sbornie, i vagabondaggi, il sesso, la droga... In realtà questo "Kerouac cinese" ha un'ironia tutta sua, attratto com'è dal lato comico dei fenomeni, un'ironia beffarda che si scaglia in eguale misura contro la Cina maoista, la "nuova" Cina del prodigioso sviluppo economico e l'Europa, in cui emigra insieme al suo amico e compagno di vagabondaggi.



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E quel che resta è per te 2019-02-13 17:46:32 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    13 Febbraio, 2019
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On the road alla cinese

È la prima volta in assoluto che leggo un autore dell'Asia Orientale, esperienza che non mi ha entusiasmata pienamente, ma che non mi lascia nemmeno del tutto insoddisfatta. Xu Xing, classe 1956, è uno scrittore cinese di Pechino che, dopo l'arresto dei genitori durante gli anni della Rivoluzione Culturale, condusse una vita errabonda.
Non a caso, l'io narrante protagonista del libro, probabile alter ego dell'autore, racconta i propri vagabondaggi attraverso la Cina, percorsa in lungo e in largo, Tibet compreso. Si è alla fine degli anni Ottanta e quella che emerge da queste pagine è l'immagine di un Paese già sulla tumultuosa via di profondi cambiamenti economici e sociali, in bilico tra passato e presente, con tutta evidenza ancora disorientato dal dopo Mao e dalle aperture di Deng Xiaoping alle capitalistiche leggi di mercato. Un Paese dove tutto, luoghi e cose di valore, sembra essere stato già accaparrato da qualcuno, senz'altro più sveglio e più furbo, arrivato alla meta prima degli altri a cui, pertanto, vengono lasciate solo le briciole, se non gli scarti:

“[...] a questo mondo tutti i posti belli sono già stati presi e le cose belle hanno già da tempo un padrone, solo quel che resta può essere tuo: il ciglio di una strada, un mucchio di immondizia, l'ospedale, la prigione, insomma, posti così; questi sì, ti appartengono, soltanto tra questi puoi fare la tua scelta e sei libero di andarci oppure no.”

Un concetto, questo, che viene ripetuto abbastanza spesso strada facendo (da cui, infatti, il curioso titolo dell'edizione italiana), al punto che nemmeno la giovane età di chi ci rimugina sopra pare possa dare consolazione o speranza:

“[...] allora che cavolo te ne fai di questa giovinezza in un mondo in cui tutte le cose belle e i bei posti sono stati occupati da qualcuno?”

Dunque, non si può che concludere amaramente: “C'è solo una cosa su cui ormai non ho più il minimo dubbio: che non resta più nulla, da nessuna parte!”

Rimane soltanto la possibilità di vagabondare allegramente, alla ricerca di un senso da attribuire alla vita che finisce per assumere “l'immagine astratta e poetica della strada”, metafora impregnata di forte disillusione che, malgrado tutto, non intacca il desiderio di viaggiare dell'autore né il modo spesso colorito e vivace con cui lui si esprime, raccontando situazioni e personaggi che incontra lungo il suo cammino. A mio parere, è una narrazione che stenta ad avviarsi e arranca parecchio all'inizio, regalando più di un potente sbadiglio, ma che, da un certo punto in poi, tutto sommato, non dispiace leggere proprio per lo stile ironico e beffardo che non risparmia niente e nessuno, né la vecchia né la nuova Cina, e dispensa perle di orientale saggezza su cui riflettere:

“[...] la vita è come un pozzo nero di profondità variabile, ai cui bordi tutti si accalcano, adattandosi come possono e cercando di fare buon viso a cattivo gioco; sebbene il fetore sia ovunque ugualmente denso e soffocante, guai a te se ci cadi dentro, vieni universalmente bollato come il più puzzolente e diventi la feccia che fa risaltare l'altrui pulizia.”

Talvolta, la penna di Xu Xing si fa addirittura dissacrante colpendo pericolosi “dogmi”, come quando, approdando in una Berlino ancora divisa dal Muro per rivedere Xi Yong, vecchio amico di vagabondaggi emigrato da tempo nell'Eldorado occidentale, così si esprime:

“Non lontano dal dipinto si ergevano le statue in bronzo di Marx e dell'amico che lo aveva mantenuto mentre lui scriveva i suoi libri; se non fosse stato per lui, il signor Marx sarebbe morto di fame e noi non avremmo mai beneficiato dei suoi radiosi insegnamenti. L'umanità avrebbe probabilmente brancolato nel buio ancora per millenni.”

Costretto a lasciare la Repubblica Popolare a seguito dei fatti di Tienanmen e poi tornato a Pechino nel 1994, Xu Xing è diventato in patria un autore di culto fra le giovani generazioni che all'inizio lo leggevano grazie alle edizioni pubblicate a Hong Kong. “E quel che resta è per te” è stato accostato, oltre che a “Sulla strada” di Kerouac, a “Il giovane Holden” di Salinger, ma in quest'ultimo caso il paragone mi sembra azzardato sia per i differenti contesti sociali sia per il modo di porsi dei due rispettivi protagonisti; quello cinese – e qui subentra la valutazione del tutto personale della sottoscritta che non ha per niente apprezzato l'acclamato romanzo americano – risulta ben più simpatico del pesante, pesantissimo Holden Caulfield da cui, secondo me, si tengono lontane persino le anitre di Central Park!

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