America perduta
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L'America vista da un americano
"Sono nato a Des Moines. Capita."
Bill Bryson comincia così il racconto del viaggio attraverso trentotto stati americani che compie partendo proprio dalla sua città natale nel centro degli Stati Uniti. Siamo negli anni '80 e da allora probabilmente molto è cambiato, ma le stranezze e le piccole manie degli abitanti della provincia americana ci fanno ancora divertire. Accompagnati dall'ironia dell'autore ci spostiamo da uno Stato all'altro, dalle metropoli alle sconfinate coltivazioni di grano. Bill Bryson è un giornalista sarcastico e curioso, interessato più alle persone che al paesaggio. Il suo racconto intreccia i ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza alle nuove scoperte che inevitabilmente sperimenta chi è stato lontano da casa per molti anni. Un lungo viaggio che inizia con le titubanze di chi si sente ormai un po' straniero e prosegue riscoprendo l'affetto per il proprio Paese. Un racconto sicuramente onesto che non risparmia emozioni, leggerezza e qualche delusione lungo il cammino.
Indicazioni utili
America Perduta
È il 1989 quando in Gran Bretagna Secker & Warburg pubblica l’inedito di Bryson, primo tra i libri dell’autore tradotti per la penisola.
In questo viaggio alla ricerca del passato, l’ormai quarantenne con la solita ironia che lo contraddistingue ci porterà ad attraversare le lande desolate di un America che generalmente rimane in ombra. Quella dei paesi e piccole città, delle realtà isolate e sperdute che si trovano tra le grandi metropoli e che tendenzialmente rimangono nascoste alla pubblica informazione.
Non passa molto tempo dalla scomparsa del padre, prima che lo scrittore decida di intraprendere un viaggio sulle orme di quelli che sono i ricordi delle vacanze di famiglia.
Tradizionalista e figlio del risparmio, si mette a bordo dell’anonima auto prodotta negli States, fedelmente prestata dalla madre e parte alla ricerca dei profumi di un tempo.
Il testo è più facilmente apprezzabile se si ha un idea a largo spettro della storia americana, condizione tuttavia non indispensabile per via della semplicità con cui è scritto.
Si evince dalle esperienze biografiche che l’America ci tiene a preservare la propria storia, lasciando vividi i ricordi attraverso le innumerevoli tenute dei propri V.I.P., perfettamente conservate e dissipate lungo tutto il territorio a stelle e strisce.
Inopinabile è l’encomiabile abilità di Bryson nel descrivere luoghi ed eventi. Purtroppo per lui, le desolate, sconfinate e ripetitive pianure americane non lasciano scampo neppure a un ex giornalista del Times, così che ogni tanto capiterà di annoiarci nell’attesa che il nostro cicerone non trovi qualcosa di abbastanza interessante da descriverci. Noia che prontamente scompare all’arrivo dei centri abitati, capaci di riportare un po di colore e respiro a un romanzo cha a tratti potrebbe risultare difficilmente digeribile.
Non aiuta di certo la divisione dei capitoli, palesemente casuale. Neppure l’ordine cronologico degli eventi risulta percettibile, sommato il tutto alla mancanza di una traccia ne consegue che se decidessimo di scuotere il libro per mischiarne i passaggi non si avrebbe alcun effetto.
Fortunatamente, l’inimitabile cinismo di Bryson che accompagna tutta la lettura sarà un buon compromesso alle parti meno interessanti dello scritto.
Recensione di R.C. aka Spack Lele