Narrativa straniera Narrativa per ragazzi Le avventure di Peter Pan
 

Le avventure di Peter Pan Le avventure di Peter Pan

Le avventure di Peter Pan

Letteratura straniera

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L'avventura comincia quando Peter Pan, eroe delle fiabe della buonanotte, invita Wendy, Gianni e Michele nell'incantata "Isola che non c'è", dove i bambini non crescono mai. Con l'aiuto dell'irrequieta Trilli e una sfavillante pioggia di polvere fatata, Peter Pan con i suoi indimenticabili amici affronterà Capitan Uncino in uno spavaldo e culminante combattimento.



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Le avventure di Peter Pan 2016-04-26 14:30:50 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    26 Aprile, 2016
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Il crudele Peter Pan ed il misero Uncino

Sono solo due i personaggi della letteratura infantile, rappresentativi dell’infanzia stessa, che sono riusciti ad evadere dalla gabbia della letteratura di genere per divenire iconici, rappresentativi di un modo di essere, di un modo loro proprio di porsi con la realtà degli adulti. Uno, indiscutibilmente, è il nostro Pinocchio: il bugiardo patologico che cerca di ritagliarsi un mondo adatto a lui, fatto di giochi e burle, per sfuggire alla rete tessuta dal mondo dei grandi, fatta, questa, di doveri e responsabilità; rete nella quale, però, incappa ripetutamente e persistentemente, restandone duramente invischiato sino ad esserne schiacciato e, alla fine, miseramente, costretto all'integrazione ed omologazione definitiva. L’altro è l’inglese Peter Pan, che, invece, riesce vincitore nel suo tentativo di restar perennemente bambino, anche a costo dell’estremo sacrificio, che, nel suo caso specifico, consiste nella rinuncia ad ogni tipo di affetto (quantomeno duraturo) ed alla perdita della memoria: infatti Peter Pan è afflitto da una patologica amnesia che gli fa dimenticare il vissuto precedente, ma che, proprio per questo, gli consente di continuare a provare meraviglia per ogni cosa che fa o vede poiché, per lui, è perennemente, inevitabilmente nuova.
Entrambi hanno sofferto un destino singolarmente simile. Infatti sono stati adottati dalla cultura generale, cioè quella degli adulti. Conseguentemente hanno dovuto pagare lo scotto di veder stravolte le loro caratteristiche e l’essenza stessa. Entrambi, poi, a seguito della internazionalizzazione che hanno subito, sono stati adattati al sentire delle diverse culture che hanno incontrato. Hanno così visto sfocare le peculiarità originali, seppure Pinocchio, in questo triste campo, è sicuramente primo. Entrambi, infine, divenuti preda della fabbrica di sogni di Walt Disney, si sono trasformati ed edulcorati al punto da risultare modificati anche per l’immaginario collettivo.
Alla mia tenera età (si fa per dire!!!) mi sembrava quasi immorale non aver mai letto il testo originale di Barrie. Immorale soprattutto perché più di una volta mi sono vantato/lagnato di soffrire di una sindrome di Peter Pan allo stadio terminale. Così ho deciso, un paio di anni fa, di leggere “Peter Pan nei giardini di Kensington”, il racconto lungo che ha dato origine al mito stesso.
Ne sono rimasto traumaticamente deluso.
Mi aspettavo una di quelle opere, tipicamente inglesi, che pur dichiarandosi (od essendo state dichiarate, dalla critica) di letteratura infantile, in effetti strizzano l’occhio agli adulti, con abili sottintesi ed intelligenti metafore godibili anche per un pubblico evoluto. Mi riferisco, ad esempio, all'Alice di Carroll e, in una certa qual misura, al Libro della Giungla di Kipling. Purtroppo non è così. “Peter Pan nei giardini di Kensington”, nonostante sia sostanzialmente un estratto (i capitoli da 13 a 18) dal romanzo per adulti “Il piccolo uccellino bianco” è solo una favola, di quelle per bambini.
E’ narrata con uno stile volutamente fanciullesco come potrebbero esserlo le storie che i genitori raccontano (o raccontavano) ai bambini per farli addormentare. Soffre anche di alcune incongruenze proprie di quelle narrazioni spezzettate in più sedute. Quindi fatica a decollare e ad avere una coerenza interna. In sintesi è la storia del piccolo Peter, neonato di sette giorni che, non avendo ancora disimparato a volare (i bimbi sono, nella loro vita precedente, degli uccellini) vola via per evitare di affrontare la complessa vita che i genitori stanno progettando per lui. Si rifugerà nei giardini di Kensington, dove le tate portano i pargoletti loro affidati. Qui farà comunella con gli uccellini del posto e riuscirà a rendersi amiche anche le terribili fate (maschi e femmine) che popolano la notte del parco. Farà solo un tentativo di ritornare dalla sua mamma. Tuttavia, scoperto che la stessa non lo aspetta più, poiché ha avuto un nuovo bambino, rimarrà per sempre nel Parco a correre nuove avventure tra le quali quella che vede protagonista anche la piccola Maimie Mannering, bambina persasi nel giardino.
La storia è piuttosto fine a sé stessa, dilettevole per un bambino (forse solo dei primi del novecento, aggiungerei), ma priva di alcun contenuto su cui meditare, se non l’idea di partenza del neonato pervicacemente attaccato al suo stato di assoluta irresponsabilità infantile.
Più recentemente ho affrontato il romanzo “Peter Pan e Wendy” che, nel libro qui recensito, compare assieme al già citato racconto lungo. Questa seconda, indubbiamente, è un’opera più complessa ed articolata. I fatti narrati sono quelli universalmente conosciuti anche grazie alle trasposizioni cinematografiche (prime tra tutte quella arcinota, ma addolcita, di Disney e, quella, più aderente al testo, del 2003 di P. J. Hogan). Peter entrato nella casa dei Darling con la fatina Campanellino, per recuperare la propria ombra persa il giorno precedente, sveglia Wendy e con essa, assieme ai fratellini Michael e John, vola all’Isolachenoncè dove vivrà con i Bimbi Sperduti molteplici avventure tra fate, pellerossa, sirene ed i pirati del terribile Uncino.
Purtroppo, anche questo secondo libro è scritto, quantomeno nella traduzione italiana, con uno stile eccessivamente fanciullesco e, consentitemelo, un po’ stucchevole.
Tuttavia risulta più chiaro e definito il carattere di Peter, personaggio piuttosto crudele, nel suo esasperato egocentrismo e la stessa Isolachenoncè - lungi dall'essere la versione britannica del collodiano Paese dei Balocchi - risulta essere, piuttosto, una giungla in cui tutto è permesso, anche le più efferate crudeltà, pur di sfuggire ad ogni senso di responsabilità.
Per quanto non mi possa definire totalmente soddisfatto neppure da questo secondo libro, debbo riconoscere che, tolta la patina superficiale della favola, in “Peter Pan e Wendy” si percepisce ben chiaro il senso complessivo del romanzo: una lotta all'ultimo quartiere tra il procedere degli anni verso la maturità ed il desiderio di conservare il candore (si badi: spietato!) dei primi anni di vita cioè, per dirla con Barrie, di quando si è “spensierati, innocenti e senza cuore”.
Due sono i passi del libro che meglio lo caratterizzano,

“Pan chi e cosa sei?” Urlò con durezza [Uncino].
“Io sono la giovinezza, io sono la gioia”, rispose Peter d’istinto, “io sono un uccellino appena uscito dall'uovo”.

“Indietro signora, nessuno riuscirà a trasformarmi in un uomo” [detto a Mrs Darling, madre di Wendy, che vorrebbe adottarlo].

Lette nel contesto del libro sono due risposte dure come macigni che condannano gli adulti (e coloro che adulti diventeranno) e li segregano senza pietà fuori dal mondo irriflessivo e leggero che Peter si è riservato per sé solo.

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Le avventure di Peter Pan 2015-02-18 09:36:00 Cherchez la Famme
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Cherchez la Famme Opinione inserita da Cherchez la Famme    18 Febbraio, 2015
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"Tutti i bambini, tranne uno, crescono."

"Le avventure di Peter Pan" comprende due racconti: il meno noto "Peter Pan nei giardini di Kensington", oggetto dell'opera teatrale che portò la storia al successo nel 1904, e "Peter e Wendy", romanzo pubblicato nel 1909 sulla scia di quello stesso successo e dal quale Walt Disney ha tratto il famoso film d'animazione nel 1954.

E' un classico senza tempo che, ancora oggi, a ben 111 anni dalla sua prima uscita, non smette di affascinare grandi e piccini.

Il primo racconto, "PETER PAN NEI GIARDINI DI KENSINGTON" narra le origini del personaggio.
Peter ha 7 giorni di vita quando risponde all'irrefrenabile impulso di fuggire via dalla finestra priva di inferriate, volando verso i giardini ancora in camicia da notte e credendosi un uccello. Qui Peter scopre un mondo popolato da fate e animali parlanti, e incontra Meimie, una bambina che si è persa nei giardini e che è l'antesignana di Wendy. Il rapporto con Meimie è altrettanto difficile, dovuto alla di lei voglia di tornare a casa da sua madre. Dopo aver ritrovato la genitrice, Meimie torna con lei nei giardini, dove lascia per Peter una capra di pezza, trasformata poi dalle fate in una capra in carne e ossa. Trascorre dunque i suoi giorni in modo gaio e spensierato, a cavalcioni sulla sua capra, suonando il flauto.
La brevità e l'estrema semplicità di questo racconto è dovuta certamente alla destinazione scenica. Alcuni temi sono anticipati, sebbene sia indubbio che il personaggio principale trovi più spazio nella storia successiva, essendo essa nata e pensata per la narrazione letteraria.

"PETER E WENDY" narra, invece, le vicende che tutti conosciamo, aprendo la storia sulla famiglia Darling.

"Tutti i bambini, tranne uno, crescono. Ci mettono poco a capirlo e Wendy lo capì così: un giorno, quando aveva due anni, mentre stava giocando in giardino, colse un fiore e corse a mostrarlo a sua madre. In quel momento doveva essere molto graziosa, perchè Mrs Darling si mise una mano sul cuore ed esclamò "Oh, perchè non puoi restare così per sempre?". Questo fu tutto ciò che disse sull'argomento, ma in quel momento Wendy capì che sarebbe cresciuta. Tutti, a due anni, impariamo questa cosa. I due anni sono l'inizio della fine."

Questo l'incipit, seguito dalla tenera descrizione di Mrs Darling, a sua volta vecchia amica di Peter; questo il preludio al finale.
Peter Pan è presentato come un vecchio amico d'infanzia, un bambino con cui tutti quanti, in un periodo delle proprie vite, hanno vissuto qualche avventura. E' il modo fanciullesco di esprimere una tradizione orale che lo tiene in vita, generazione dopo generazione.

Wendy è alla "vigilia" della crescita quando Peter fa il suo provvidenziale ingresso in scena. L'arcigna e disillusa Zia propone che la si tolga dalla stanza dei fratelli perchè ormai troppo grande per condividere quello spazio con loro. La crescita, in un certo senso, è già in atto, come dimostra l'indole riflessiva della ragazza; eppure esita solo pochi istanti prima di fiondarsi fuori dalla finestra per seguire il bambino all'Isolachenoncè.

Peter è un personaggio, assieme, immensamente idilliaco e profondamente crudele.
Egocentrico, egoista, pieno di sè, e al contempo innocente, privo di malignità.
E', in effetti, la descrizione fanciullesca meglio riuscita della letteratura moderna e contemporanea, sebbene presa poco ad esempio (si pensi al Piccolo Principe). Barrie, che amava i bambini e che non era mai cresciuto sul serio, capiva l'infanzia nel profondo e non solo nei suoi aspetti più noti, ma anche in quelli genoinamente crudeli, pur senza intenzione.
Questa è la definizione dei bambini: " innocenti, spensierati, senza cuore".
Come tutti i bambini dal carattere forte, Peter tende a prevaricare, pretende che si faccia come lui dice e si ribella e si rattrista quando non gli viene permesso di dettare le regole del gioco. E poi, l'aspetto più crudele di tutti: la memoria corta. Gioie e dissapori, avventure, affetti, odii, vengono presto dimenticati in virtù del gioco successivo.
Questo aspetto, quello della dimenticanza, nel film d'animazione e, in generale, nella mente di chi non ha approfondito le retrovie e i significati intrinsechi della storia, è prettamente associato all'Isola: l'isola fa dimenticare, dicono.
In realtà, dal libro (e anche dal fedelissimo film del 2001) si evince quanto la questione sia ben più profonda e complicata: l'Isola altro non è se non il riflesso di Peter stesso. Essa finisce col rappresentare una dimensione, quella fanciullesca, di cui Peter è legislatore e sovrano: un dio. I suoi sbalzi d'umore ne influenzano il clima, il suo modo d'intendere la trama del gioco definisce la natura e il comportamento di ogni creatura che ci vive: il coccodrillo divora solo i pirati, mai i bambini o gli indiani.

La lotta tra i bimbi sperduti e i Pirati rispecchia la lotta tra il bambino e l'adulto, abitanti di due mondi le cui barriere naturali crollano solo quando il primo cresce; è l'impossibilità di comprendersi l'un l'altro a dominare la narrazione fin dal principio, prima nei contrasti tra Wendy e suo padre e poi in quelli tra i bimbi e la ciurma del Jolly Roger. E' proprio Mr Darling che nella dimensione reale assume il ruolo di Capitan Uncino (argutamente, il film del 2001 suggerisce questa versione lasciando che un unico attore interpreti entrambi i ruoli), tanto che ci si domanda -forse conoscendo già la risposta- se l'intera storia non sia frutto della fantasia di Wendy.
Figura ponte tra questi due mondi così distanti è Mrs Darling, che ci dimostra quanto le madri abbiano un ruolo privilegiato e unico.

All'Isolachenoncè il gioco che va per la maggiore è quello che vede Wendy nei panni di Madre e Peter in quelli di Padre. I due hanno un rapporto squilibrato; lui le è affezionato in modo quasi primordiale, incapace di comprendere una forma d'affetto che vada aldilà del gioco; lei, invece, finisce con l'innamorarsene.
L'amore, sintomo della crescita imminente, fa tornare la mente di Wendy alla realtà, ed è lei a convincere i fratelli a fare ritorno, suggerendo ai bimbi sperduti di farsi adottare dai coniugi Darling. Proprio mentre preparano le valigie, un attimo prima d'essere rapiti dai pirati, Peter, addolorato dalla proposta di lasciare l'Isola e crescere, s'indurisce e rifiuta di andare con loro.
Quella di non crescere mai è una decisione inappellabile, inconfutabile anche quando questo comporta la perdita dei suoi compagni di gioco.

Il finale dal retrogusto amaro viene sapientemente lasciato al di fuori della narrazione Disney (in cui, lo ricordiamo, Wendy e i fratelli tornano a casa, mentre Peter e i bimbi sperduti fanno ritorno all'Isola sul Jolly Roger).
Barrie ci narra come i bambini vengono tutti adottati dai Darling. L'addio tra Peter e Wendy è inesorabile: "indietro, Signora, nessuno riuscirà a fare di me un uomo", afferma lui, quando Mrs Darling tenta di convincerlo.
Wendy è terrorizzata all'idea di lasciarlo, dunque si giunge ad un compromesso: ogni anno, per la settimana delle pulizie di primavera, Peter potrà tornare a prenderla. Questo lenisce il dolore solo in parte. Lei è a conoscenza della terribile verità che si cela dietro l'Eterno Bambino, anche se rifiuta di accettarla del tutto: prima o dopo, Peter la dimenticherà, preso da altre avventure, da altri bambini.
La primavera successiva Peter si ripresenta alla sua finestra e tutto va come sperato.
L'anno successivo lui non si presenta, tornando direttamente due anni dopo, come se fosse inconsapevole di aver saltato il precedente appuntamento. Quando si incontrano di nuovo, Peter ha completamente dimenticato Capitan Uncino e la stessa Campanellino, che viene liquidata con un sommario e, ancora una volta, crudele "forse è morta".
Questa è l'ultima volta che Peter vede Wendy bambina. Negli anni successivi, nonostante lui non si faccia più vivo, Wendy tenta di rallentare la sua crescita. Alla fine, anche lei cede.
Quando il Bambino torna, Wendy è ormai sposata e ha una figlia Jane.
"Non era più la bambina che si struggeva per lui. Era una donna che sorrideva ripensando al passato, ma il suo sorriso era bagnato di pianto"
E' Jane ad andare all'Isolachenoncè, lasciando una malinconica Wendy alla finestra della stanza.
Identica è la storia di Jane e di sua figlia Margaret.

Questa è la chiusa, malinconica e, al tempo stesso, rassicurante:

"E ogni Primavera, tranne quando se ne dimentica, Peter va a prendere Margaret e la porta sull'Isolachenoncè. Quando Margaret crescerà, avrà una figlia che, a sua volta, diventerà madre di Peter, e così via, finchè i bambini saranno spensierati, innocenti e senza cuore".


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