L'opale perduto
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Un mondo di maschere
Venezia nel diciottesimo secolo doveva essere una città colorata e allo stesso tempo oscura, misteriosa e pericolosa, dove indossare una maschera era tradizione e coprirsi il volto era una garanzia di anonimato, ma non necessariamente di libertà. Dietro una bauta poteva celarsi chiunque: un amico, un nemico, un amante, un conoscente, uno straniero. Come saperlo? Non si poteva. E il rischio che si correva nel girovagare per i ponti e i canali con quel senso di falsa libertà, come se tutto fosse possibile solo perché nessuno poteva giudicarti, era di un’attrazione indescrivibile.
È quello che succede a Violetta, cantante soprano all’Ospedale degli Incurabili, ossia un orfanatrofio dove alle ragazze veniva insegnata la musica e ai ragazzi un lavoro. La giovane ragazza non vuole restare chiusa entro le mura claustrofobiche degli Incurabili, ma vuole questa libertà che percepisce nell’aria della città là fuori. Così Violetta comincia a fare scappatelle serali per immergersi in quel luogo di falsità e perdizioni, dove si snodano anche le vicende di Mino, un altro orfano degli Incurabili che saggia sulla sua pelle quanto Venezia possa essere splendida e crudele.
Il romanzo è autoconclusivo, tratta di amori tragici, di drammi familiari, di vite spezzate e destini intrecciati. Mi è piaciuto molto come la scrittrice ha fatto muovere i personaggi su e giù per i ponti, navigando in gondola, mostrando Venezia con e senza maschera.
Violetta non mi è rimasta molto simpatica come protagonista, è risultata un po’ egoista e menefreghista riguardo i sentimenti altrui (Mino e anche l’amica Laura, a cui non si degna di dire nulla). Ma la cosa che mi è dispiaciuta più di tutte è la velocità con cui termina il racconto, forse qualche pagina in più per chiudere il cerchio non avrebbe guastato.