Il braccialetto della felicità
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Benvenuti (?) a Riccolandia!
Mentre leggevo mi domandavo se questo fosse un libro o un volantino pubblicitario per Riccolandia.
Non a caso gran parte dei contenuti consistono in elenchi infiniti di marche alla moda (Versace, Chanel, Gucci, Givenchy eccetera) e descrizioni di attici, villoni, palazzoni, e altri trastulli che solo un nababbo potrebbe permettersi.
Ah, naturalmente tutti i personaggi, nessuno escluso, sono tutti ricchi sfondati.
Insomma un mondo fintissimo, falso e artificioso: leggerlo è stato come avere un'indigestione dopo essersi ingozzati di torte e insieme annegare in una piscina di diamanti.
Ma ciò che più mi ha fatto rabbrividire sono le frasi che la protagonista Holly sputa ogni tre per due: "Una donna non è nessuno senza un abito firmato addosso", "Uno Chanel rende una persona migliore", "Le marche fanno la personalità"...
Cavolo, ma tutte le donne sono così o si diventa tali quando si gestisce un negozio di abiti vintage?
Un'altra cosa orripilante di questo romanzo sono i personaggi: Holly in primis per i motivi già citati che la rendono un'ochetta di prima categoria e che ha degli atteggiamenti vittimistici da finta Cenerentola che mi hanno fatto venire una voglia matta di strangolarla. Ma vogliamo parlare poi del momento in cui trova il braccialetto? Si trasforma in una versione farlocchissima di Sherlock Holmes in gonnella (firmata, ovviamente!): le basta vedere un granello di polvere che ha già risolto il mistero! Il bello è che ne è talmente ossessionata che arriva addirittura a corrompere la segretaria di una miliardaria (sì, l'ennesima)! Cappero, ragazza mia, non hai proprio una vita, vero?
Oltre alla vicenda di Holly e a tutti i suoi flashback, viene narrata in parallelo quella di Greg, un tizio assolutamente inutile e privo di personalità, che dal nulla decide di mollare il suo fruttuoso lavoro nella borsa di Wall Street per dedicarsi alla fotografia, sua grande passione, bussando porta a porta per vendere i suoi lavori, e come se non bastasse questo gli procurerà il disprezzo della fidanzata che per tutto il resto della storia non farà altro che trattarlo con snobismo come uno zerbino per i piedi, ribadendogli più volte la sua inutilità e insignificanza come uomo mentre lei se la spassa godendosi le ricchezze e i lussi di costui. Mamma mia, che nervi!
Ma poi, seriamente, certi contenuti sembrano scopiazzati da sceneggiaturine squallide da film di serie B: ad esempio rivelazioni in stile "Luke, io sono tuo padre" già viste e sentite mille volte e che dimostrano che Melissa Hill non ha il benchè minimo stile, fantasia o originalità e che si limita a riciclare storie già esistenti, con personaggi così finti che più finti non si può.
L'unica cosa positiva è che questo libro si legge veramente in fretta, è leggero e non annoia, anche se è pieno zeppo di frasi fatte e luoghi comuni senza alcuna via di mezzo.
Mi domando una cosa, però: perché definirlo "romanzo rosa" quando qui di amore c'è poco e niente? Io non ho proprio visto alcun sentimento in tutta questa vicenda: solo mediocri indagini da due soldi, momenti di acquisti, vendite, peregrinazioni, giri. Stop. Nient'altro.
Non c'è che dire: una vera e propria cantonata da evitare.
Comunque se tutti i libri della Hill sono così dubito che in futuro ne leggerò altri.