Vizio di forma
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Una caotica indagine hippie
[nota biografica, se non vi interessa passate oltre]
Thomas Ruggles Pynchon Jr. nasce l'8 maggio 1937 a Glen Cove a est di New York City, la famiglia si trasferirà poi nella vicina East Norwich dove frequenterà la Oyster Bay High School. Fin dall'adolescenza dimostra di essere un ragazzo intelligente ma molto riservato, tanto da rifiutare di essere inserito nel registro delle matricole una volta raggiunta l'università. Dopo soli due anni alla Cornell University di Ithaca a studiare Fisica e Ingegneria, decide di arruolarsi nella Marina degli Stati Uniti, ambiente dalla quale trarrà alcuni dei suoi personaggi dei suoi primi romanzi. Dopo essersi congedato, nel 1957, torna alla Cornell University a frequentare Lettere, lasciando incompiuti gli studi precedentemente intrapresi. Il suo primo grande successo bibliografico è "V.", pubblicato per la J.B. Lippincott a soli 26 anni. Esso è un romanzo composito, costituito da una collezione di racconti montati come flashback, ambientati tra la fine del XIX e la metà del XX secolo.
Secondo le testimonianze raccolte dal professor Andrew Gordon (Pynchon non ha mai rilasciato interviste ed ha sempre evitato anche i flash dei fotografi), Thomas avrebbe vissuto per un decennio, nella prima metà degli anni Sessanta, a Berkeley. A contatto con la controcultura che avrebbe dato origine al fenomeno hippie, scrive la sua seconda opera lunga, "L'incanto del lotto 49". A gennaio 1972, consegna alla Viking Press un manoscritto intitolato "Mindless pleasures", la prima stesura della sua opera più famosa: "L'arcobaleno della gravità". Il romanzo parla dell' A4, il razzo-bomba costruito dalla Germania nazista nell'ultimo anno della seconda guerra mondiale e utilizzato soprattutto per colpire Londra.
17 anni dopo il suo grande successo, verrà pubblicato "Vineland" e nel 1997 uscirà, negli Stati Uniti, "Mason & Dixon", il suo primo romanzo storico ambientato a fine Settecento.
Più recentemente abbiamo "Contro il giorno" (del 21 novembre del 2006), "Vizio di forma", (pubblicato nel 2009 negli States e nel 2011 in Italia) e "La cresta dell'onda", ultimo romanzo del 17 settembre 2013.
Veniamo a noi… "Vizio di forma".
Prima di parlare del romanzo, premetto di aver visto il film omonimo di Paul Thomas Anderson nel 2015. Ammetto di non aver capito troppo dalla visione della pellicola, così mi son detta: "perché non leggere il libro? Magari ci capisco qualcosa di più!". Mai cosa fu più sbagliata. Comunque, proverò a tracciare una visione generale della trama e annessi e connessi.
Siamo a Los Angeles nel 1969, il protagonista indiscusso della storia è tale Larry "Doc" Sportello, un investigatore privato hippie. La storia inizia con un incarico da parte della sua ex, Shasta Fei, che gli chiede di sventare il tentativo della moglie del suo amante (il proprietario immobiliare Mickey Wolfmann) di farlo interdire e ricoverare in un manicomio. Allo stesso tempo, accetta un altro lavoro: deve rintracciare Glen Charlock, la guardia del corpo dello stesso Mickey, scomparso nel nulla. Doc verrà aggredito durante un sopralluogo in una delle proprietà di Wolfmann; al suo risveglio, "Bigfoot" Bjornsen (detective del dipartimento di polizia), lo informerà che Glen Charlock è stato assassinato e che Mickey Wolfmann è scomparso. Da qui parte tutta la vicenda che lo porterà a trovarsi invischiato in faccende molto più grandi di lui, rischiando addirittura la pelle.
Mi mantengo più che sintetica su questa trama, un po' per la totale confusione che si crea a metà libro, un po' per non rivelare troppo e rovinare il piacere della lettura agli altri. Dico solo che il numero di personaggi in gioco è alto, è difficile ricordare anche tutti i collegamenti tra le diverse sottotrame che si vanno a creare durante la lettura.
Ad ogni modo, Doc è un personaggio abbastanza "americano: il tipico detective privato squattrinato con 2/3 vizi, un ufficio polveroso e trascurato e capace di ficcarsi nei casini più assurdi uscendone sempre miracolosamente illeso. Bigfoot Bjornsen è il classico piedipiatti che ce l'ha con il detective privato, sempre pronto ad incastrarlo per qualcosa invece di collaborarci; arrogante, prepotente, che pare non essere coinvolto in nessuna vicenda e poi ci serve sempre il colpo di scena. Insomma, fosse per i presupposti, non avrei mai finito di leggere questo romanzo.
Per fortuna/sfortuna, la storia risulta essere piuttosto movimentata. Una miriade di personaggi, tutti coinvolti in qualcosa, ognuno il tassello che occupa il suo spazio nel puzzle finale.
È tutto così assurdo che ad un certo punto vi chiederete come faccia Doc a capirci qualcosa. È tutto normale, ho dovuto rileggere le pagine anche più volte. Alcuni personaggi spariscono per un po' e poi ritornano all'improvviso; intermezzi di vita hippie che smorzano la tensione; Doc e Bigfoot che si lanciano frecciatine per tutto il romanzo… Probabilmente solo Pynchon poteva scrivere un romanzo del genere.
Io, alla fine, ne sono rimasta un po' delusa comunque. Non tanto per i personaggi (che nel film sono praticamente tali e quali), ma per il caos generale. Non capisco se tutte le scene assurde e grottesche che si alternano una dietro l'altra hanno veramente uno scopo. È vero che è un racconto che intrattiene, però pare più un tentativo di "stordire" il lettore che altro. Un libro così lascia solo confusione alla fine della lettura. È impossibile non perdere il filo se si legge saltuariamente e se proprio dovessi consigliare qualcosa, raccomanderei la visione del film che è molto fedele al libro ma almeno è un'ottima esperienza visiva.
Indicazioni utili
Vizio di forma
A volte non sembra neanche un libro di Pynchon, anche se è vero che possiamo trovarci: personaggi a bizzeffe con la tendenza a sparire per pagine su pagine e poi ritornare a sorpresa; le droghe che scorrono a fiumi, a parte eroina e cocaina un po’ in ombra le altre – che siano naturali o sintetiche – sono dispiegate in varia qualità e notevole quantità; una band di surf-music con membri intercambiabili e ugualmente fulminati che però pare non suonare mai; una sorta di Spectre le cui tracce saltano fuori inquietanti un po’ ovunque, contribuendo ad alimentare un’immancabile paranoia; persino l’immagine di un presidente degli Stati Uniti che, da una riproduzione ingrandita di un nichelino, inizia a dialogare col protagonista. Però l’andamento è lineare – per quanto possa esserlo un noir, la cui struttura è, per definizione, caratterizzata dal moltiplicarsi dei doppifondi – e anche la scrittura scorre veloce e senza particolari intoppi: del resto, la sintassi dei testi fondativi del genere è scarna e anche in questo aspetto si può scorgere il divertito omaggio dell’autore. Non manca neppure l’ambientazione losangelina, anche se la città della California è ritratta al tramonto dell’Estate dell’Amore, poco dopo i delitti della Famiglia di Manson, impegnata a fare i conti con l’assedio portato da smog e inquinamento. In essa si aggira il detective privato Doc Sportello, che ben presto si ritrova a seguire una traccia che prende le mosse con un piccolo omicidio e si va allargando, lambendo ambiti insospettabili (altro classico mica male): per farlo, il nostro rimbalza tra le mille figure di cui sopra come una pallina da flipper e riesce a procedere grazie a una combinazione variabile di doti investigative e di casualità. Di suo, il protagonista ci mette una confidenza con gli stupefacenti che lo lasciano in vari stadi di alterazione psichica: l’altro grande tema che caratterizza il romanzo è difatti l’elegia di un mondo hippy che sta ormai finendo, mentre sullo sfondo si profila la rigida figura di Ronald Reagan. Tra spinelli, sesso e lunghi viaggi da una parte all’altra della metropoli (oltre che una puntata a Las Vegas), Doc riesce in ogni caso a sbrogliare pian piano la matassa, rifuggendo la parte del vaso di coccio destinato a fracassarsi tra Dipartimento di Polizia (e i suoi poco raccomandabili contatti), federali e Spectre suddetta, la multiforme Golden Fang. Ovvero Zanna d’Oro, che si materializza vampiresca nei trip cattivi di Doc a testimoniare che Pynchon i nomi non li distribuisce mai a caso (fra i tanti, il mio preferito resta comunque ‘Eddie del piano di sotto’), come pure gli infiniti rimandi e citazioni: la versione ‘light’ dello scrittore di Glen Cove risulta non meno divertente e stimolante di quella presente nelle sue opere più complesse.