Una testa in gioco Una testa in gioco

Una testa in gioco

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«Vuole un buon consiglio, commissario?». Radek aveva abbassato la voce e si era chinato verso il suo interlocutore. «Guardi che so perfettamente quello che lei penserà... E del resto, poco me ne importa!... Ma le do lo stesso il mio parere o, se preferisce, il mio consiglio... Lasci perdere!... Si sta mettendo in un terribile pasticcio...». Maigret era immobile, con lo sguardo fisso. «E prenderà un granchio dopo l’altro, perché non ci capisce niente...». Il cecoslovacco si animava a poco a poco, ma in maniera contenuta, molto particolare. Maigret notò le sue mani, che erano lunghe, di una bianchezza straordinaria e picchiettate di lentiggini. Sembravano tendersi, partecipare a modo loro alla conversazione.



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Una testa in gioco 2016-07-30 07:32:22 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    30 Luglio, 2016
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irregolare ma affascinante

C’è un tal Heurtin, abbastanza suonato, che sta per finire sulla ghigliottina per gli omicidi di un’anziana riccona statunitense e della di lei dama di compagnia: l’ha arrestato Maigret, che però non è convinto e riesce a farlo scappare nella speranza che lo aiuti a rintracciare il vero colpevole. Seguendolo, il commissario si imbatte in Crosby, gaudente nipote della defunta coinvolto in uno strano triangolo tra moglie e amante, e in Jean Radek, uno stravagante céco che condivide l’ambiente del primo, ma non il portafoglio. Quest’ultimo ingaggia con il poliziotto una sorta di braccio di ferro mentale che porta a una conclusione già presumibile a metà del romanzo, ma non è di certo lo svolgimento giallo il punto di forza di questa quinta indagine del funzionario parigino. Mentre l’inchiesta procede su di un bianrio a volte traballante, Simenon si concentra sulla caratterizzazione di situazioni e personaggi: gli esseri umani visti da un’angolazione del tutto pessimista – non si sa se sia peggio la deboscia dei ricchi o la grettezza degli strati più popolari – e le psicologie delineate con estrema precisione, come spesso accade nei romanzi ‘altri’ dell’autore. Benché sia Heurtin, sia Crosby non passino inosservati, l’attenzione dello scrittore è tutta per Radek, figura detestabile eppure pietosa nella quale si agitano i germi di molti protagonisti di svariati noir anche molto di là da venire (la stesura è del 1931): di fronte a lui, sta un Maigret sgraziato e musone, più scostante ancora di quello protagonista dei primi volumi del ciclo, che in comune con il pacioso piedipiatti presente nell’immaginario collettivo ha, oltre alle dimensioni, solo la capacità di osservare con acutezza, di attendere in surplace e, ovviamente, di investigare senza paraocchi. A bilanciare i pregi ci sono le forzature della trama e i due lunghi spiegoni – Maigret riepiloga gli eventi prima a se stesso e poi al giudice – che ripartono dall’inizio della vicenda facendo nascere il sospetto che ci fosse l’esigenza di rimpolpare un po’ le pagine di un lavoro conosciuto in Italia anche come ‘La testa di un uomo’, ‘Maigret e la vita di un uomo’ e’Maigret e una vita in gioco’: ignorandola, però, ci si perderebbe la Parigi malinconica che scivola nell’autunno e poi nell’inverno intonandosi come meglio non si potrebbe ai brumosi animi dei personaggi.

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Una testa in gioco 2014-06-24 18:17:50 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    24 Giugno, 2014
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I dubbi di Maigret

Il nemico pubblico N. 1 dei criminali, il celeberrimo commissario Maigret, è roso dal tarlo del dubbio, perché nel caso del delitto di due donne (una ricca signora e la sua cameriera) tutti gli elementi probatori hanno portato a individuare come colpevole un ragazzone frustrato, tale Heurtin, incriminato, processato e condannato a morte. L’istinto naturale, o meglio il fiuto, lo portano a temere di aver preso un granchio e alla fine, a costo di veder vanificate le sue possibilità di carriera e il suo stesso posto, tanto fa che riesce a convincere il giudice istruttore Coméliau a far fuggire l’imputato, nella convinzione anche che sia l’unico modo per poter arrestare eventuali complici, dove quell’eventuali è avvertito dal poliziotto parigino come quasi una certezza.
Inizia così uno dei più bei gialli scritti da Simenon, con un susseguirsi di eventi che incollano il lettore al libro in un’ambientazione a tratti crepuscolare delle rive della Senna. Ma se Heurtin è un sempliciotto, magari un po’ ritardato, non è così l’avversario che Maigret incontra nella sua indagine, perché Radek, così si chiama, è un cecoslovacco che ama giocare con la morte, pregno di un’autostima che rasenta la follia, lucido tuttavia e talmente intelligente da disseminare falsi indizi e con la pretesa di giocare come un gatto con il topo.
Riesce anche simpatico in questa continua tenzone con la polizia, ma sono apparenze, perché dietro i suoi occhi si cela il male solo per il gusto di essere comunque superiore a tutti.
Per un po’ Maigret annaspa, poi comincia a stare al gioco e infine lentamente sgretola la sicurezza del suo avversario, fino a quando gli vibra la stoccata finale.
Quindi, come al solito, l’intuito del celebre commissario si è dimostrato determinante, evitando che la testa di un innocente rotolasse nel cesto e assicurando alla giustizia e al boia il vero colpevole.
E’ un racconto asciutto, teso come una corda di violino, e che ancora una volta stupisce per la straordinaria capacità di Simenon di sondare la psiche di un criminale. Resta sempre la straordinaria umanità dell’uomo massiccio e dallo sguardo impenetrabile che risponde al nome di Maigret.
Da leggere.

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