Una cena al centro della terra
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Recensione della Redazione QLibri
Un conflitto infinito
"Una cena al centro della terra" è un libro piuttosto atipico, a partire dall'autore che lo ha scritto: Nathan Englander è statunitense, ma ha vissuto per molti anni in Israele. È proprio sul conflitto israelo-palestinese che ruota tutto questo romanzo, anche se si sposta (tra flashback e flashforward) in vari luoghi del mondo, per seguire le vicende di vari personaggi tutti in qualche modo legati a questo conflitto che sembra non trovare mai fine.
Lo stile dell'autore è abbastanza scorrevole, fila via senza intoppi, pur senza raggiungere vette altissime. La mia impressione, tuttavia, è che questo romanzo avesse ben altre ambizioni e che l'autore non sia riuscito a conseguirle appieno: si concentra su un argomento scottante della nostra storia recente, ma non riesce a sviscerarne problematiche e riflessioni come dovrebbe (e come vorrebbe, credo). Sì, perché i protagonisti di questa storia sono vari, si può dire che l'autore abbia imbastito almeno tre archi narrativi, ma tutti mi hanno dato un'impressione di debolezza: non sono troppo intriganti e li trovo un po' sconclusionati. Forse era proprio questo l'intento dell'autore: mettere in risalto questo conflitto senza fine con varie narrazioni della stessa natura, ma se fosse così per me il romanzo ne risente un po'; inoltre, per quella che dovrebbe essere la parte più importante e profonda del romanzo (quella finale), l'autore inserisce uno dei due personaggi che la reggono soltanto nelle ultime pagine, creando una scarsa connessione emotiva col lettore, nonostante il messaggio che si voglia trasmettere sia interessante.
Come ho già detto, in questo libro seguiremo le vicende di vari personaggi: il primo è il Prigioniero Z, una spia che durante una delle sue missioni, contro la sua volontà, si ritrova tra gli artefici di una delle stragi più sanguinose del conflitto tra israeliani e palestinesi. Scioccato e sorpreso da quel che è accaduto, il prigioniero Z tradirà la propria identità e si trasformerà in un fuggitivo. Un altro personaggio è colui che viene chiamato il Generale (che dovrebbe essere il defunto Ariel Sharon), protagonista di un arco narrativo abbastanza inusuale: difatti seguiremo la sua esperienza "mistica" durante il coma, dove rivivrà alcune delle fasi più tese del conflitto delle quali è stato attore fondamentale. In mezzo a questi due archi narrativi principali si uniranno altri personaggi, che convergeranno tutti in quel punto focale che è questo conflitto senza fine, che non finisce mai di distruggere e dividere due popoli.
Senza infamia e senza lode, nonostante avesse una base interessante da cui partire.
"Il mondo ci odia, ci ha sempre odiati. Ci uccidono, e ci uccideranno sempre. Ma tu, tu alzi il prezzo. Non fermarti. Non fermarti finché i nostri vicini non capiranno l'antifona. Non fermarti finché uccidere un ebreo non diventerà troppo costoso anche per un ricco scialacquatore. Questo è il tuo scopo, - continua Ben Gurion. - Tu sei qui esclusivamente per alzare il valore della taglia sulla testa di ogni ebro. Rendila costosa. Rendila una rara e raffinata delicatezza per chi ama il sapore del sangue ebraico."
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Il conflitto alla base dei conflitti
Destini. Destini fatti dalla Palestina, destini fatti da Israele. Destini fatti dalla guerra, dal fanatismo, da questioni storiche, da sentenze troppo spesso enunciate con semplicità, senza tener conto dello spessore del problema, della sua vera essenza. Come capire da che parte stare? Come stabilire chi è nel giusto e chi nello sbagliato?
Un prigioniero, un sorvegliante, che fatica a svolgere il suo compito perché un tempo con quell’accusato di aver tradito il suo popolo, arrestato e processato senza un giusto processo per essere condannato ad una non vita e non morte, è nato un legame, e un generale storicamente esistito che è sospeso nel limbo di un coma, con al fianco a vegliarlo le presenze di sempre, quali Ruthie, che c’era quando lui organizzava vendette, che c’è adesso che giace inerme, e con la sensazione di rivivere quei ricordi che tuttavia, nella dimensione onirica, sono vividi, sono vacui.
C’è Z, che cercava la conciliazione e non il tradimento e che ha trovato il dolore e l’isolamento. Può soltanto scrivere a quel generale disarmato, può soltanto rivolgersi silenziosamente a quel ragazzo che lo sorveglia.
Tre flussi, tre voci narranti, tre storie che si ricompongono tra loro e che portano il lettore ad interrogarsi su una delle problematiche attuali di maggior spessore e complessità. Il tutto attraverso uno stile narrativo fluido, non particolarmente impegnativo e non eccessivamente curato che dà vita a tre voci corali e ad una composizione dai giusti tempi e ritmi.
Non è semplice riuscire ad entrare in “Una cena al centro della terra”, tuttavia. In parte a causa dell’argomento che l’autore decide di trattare, in parte perché a tratti l’opera sembra essere disgiunta, sconclusionata, i fatti sembrano essere riportati senza una precisa finalità logica e i protagonisti non collocati secondo un ordine ben preciso. Successivamente ogni tassello viene collocato al proprio posto, ma ciò non favorisce la lettura e fa dubitare dell’effettiva riuscita dello svisceramento della tematica principale.
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Le mani sporche di sangue
Palestina o Israele? Chi è il cattivo? Chi è il buono? E noi, da che parte stiamo?
Troppo spesso qui in Europa le discussioni sul conflitto mediorientale si risolvono in battibecchi tra tifoserie avverse, ognuna determinata da ideologie, simpatie o idiosincrasie. Ma non ai fatti. I fatti, invece, parlano chiaro, ci raccontano che violenza e fanatismo tendono a prevalere in entrambe le parti, mentre i torti e le ragioni si mescolano e si confondono. In ogni caso, che sia israeliano o palestinese, chiunque possieda una coscienza, chiunque sia intenzionato a vivere in pace e auspichi il compromesso si ritrova nella posizione più scomoda, e pericolosa. Qui nella vecchia Europa, invece, chi rifiuta di schierarsi per una squadra si attira la stessa ostilità dalle due tifoserie. Probabilmente, quest’ottusità così radicata deriva da una cattiva coscienza storica, nutrita nei riguardi di entrambi i popoli.
In questo romanzo, il conflitto è uno dei protagonisti, con tutta la sua complessità.
E poi, c’è il generale dalle mani sporche di sangue, sospeso dal coma in un limbo senza tempo. Il generale è un personaggio storico facilmente riconoscibile. Sospeso nel suo spazio onirico, fa fatica a rendersi contro del luogo in cui si trova, della vita che ha lasciato, della morte che lo segue nascosta dietro una vecchia canzone. Il generale, trafitto da ricordi e da simboli, ripensa al suo ruolo nella terra e lo rivive.
“Tu sei qui per alzare il valore della taglia sulla testa di ogni ebreo. Rendila costosa. Rendila una rara e raffinata delicatezza per chi ama il sapore del sangue ebraico”.
C’è Ruthi, la donna che ha assistito il generale mentre si occupava di organizzare vendette e rappresaglie, di alzare il prezzo sulla taglia ebrei, di trattare con il suo nemico preferito. Ora lo assiste mentre il generale è inerme, in coma, immerso nei suoi ultimi sogni, in attesa di comprendere che il suo tempo sta per finire. Ma lei è sveglia e spera, con ostinazione e lucida follia, che si risvegli.
C’è un ragazzo senza qualità ma dotato di coscienza e sensibilità, incaricato di sorvegliare un uomo accusato di aver tradito il suo popolo, un uomo arrestato senza diritti e senza processo, ormai perduto in una vita che è peggio della morte. Il ragazzo ottempera agli ordini, ma lo fa malvolentieri, perché tra lui e il prigioniero, il traditore, con il tempo è germogliato un legame speciale, fuori luogo ma tenace come i fiori che spuntano tra le rocce.
C’è il traditore, Z, un uomo che non voleva tradire, ma cercare una disperata conciliazione servendo sia il suo paese sia il popolo palestinese sia la giustizia, e invece ha trovato una lunga agonia. Ora si ritrova sepolto vivo, non in una prigione ma una cella tagliata fuori dal mondo e dalla vita. Gli rimane un’unica esigua possibilità di espressione: scrivere lettere indirizzate al generale. Gli rimane anche il ragazzo che lo sorveglia, con cui ha instaurato un legame che potrebbe ricordare la sindrome di Stoccolma, ma è diverso.
Ci sono due spie, un uomo palestinese e una donna israeliana, che si amano perdutamente e rischiosamente, ma non possono incontrarsi alla luce del sole, allora organizzano una cena nelle viscere della terra. Una cena simbolica, ovvio. Loro ci riescono.
Anche i personaggi di questo libro sono simbolici, ma sono vivi, e sono tutti collegati, in modo diverso e imprevedibile, tra loro; insieme, tessono una storia ricca di spunti di contraddizione e di riflessione e una trama complessa, splendida, da scoprire.