Un gioco da bambini
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Fuga da una distopia domestica
“Un gioco da bambini” è una novella scritta simulando il resoconto di uno psichiatra, il dottor Greville, agli avvenimenti collegati ad un massacro dai contorni nebulosi operato in un moderno complesso residenziale inglese, il Pangbourne Village.
Greville entra in scena quando sono trascorsi ormai un paio di mesi dalla strage: incaricato dalla polizia di effettuare un sopraluogo nel Village e affiancato dal sergente Payne, l'uomo si trova a ricostruire i momenti che hanno portato alla morte di tutti gli adulti residenti nella struttura e all'apparente rapimento dei bambini.
Le ipotesi e i tentativi di chiarire la vicenda da parte di giornalisti e semplici curiosi si sprecano, ma sarà proprio lo scostante Payne a portare l'attenzione di Greville su una delle teorie più assurde,
«A questo punto non rimangono che alcune teorie piuttosto fantasiose. [...]
e) I genitori sono stati uccisi dai propri figli.»
E non credo si possa parlare di spoiler in alcun modo, visto che già dalla copertina lo sviluppo di questo libro pare abbastanza chiaro.
Lasciando da parte i personaggi (tutti abbozzati o riuniti in un gruppo di riferimento), il fulcro della vicenda, nonché chiave di volta nell'indagine di Greville, è lo stesso Pangbourne Village, che per molti aspetti -specialmente sul versante della tecnologia- ricorda l'ambientazione de “Il condominio” dello stesso autore; anche qui infatti abbiamo una struttura avanguardista che promette una vita idilliaca ai suoi abitanti, i quali ad esempio sono riusciti
«[...] a bandire dal loro Parnaso privato persino il concetto di sporcizia e di disordine.»
e per ottenere questo angolo di paradiso non hanno esitato a eliminare gli animali domestici, dei quali si dice:
«[...] (cani e gatti non sono ben visti al Pangbourne Village: insozzano i prati e si accaparrano una dose di affetto spesso eccessiva).»
Ma l'aspetto più particolare della struttura riguarda il controllo mirato che i genitori esercitano sulla vita dei bambini, utilizzando anche un moderno sistema di telecamere orientabili. Una sorveglianza sicuramente dettata dall'amore e all'insegna degli incoraggiamenti piuttosto che dei rimproveri, ma ciò non basta a rendere vivibile un luogo del genere ai ragazzi che per alcuni aspetti può ricordare perfino la vigile dittatura in “1984” di George Orwell.
In tal senso, il titolo originale dell'opera “Running Wild” si dimostra ben più incisivo di quello dell'edizione italiana: i ragazzi del Village si sentono oppressi dai genitori in ogni genere di attività: scolastiche, sportive, perfino ricreative,
«Non c'era quasi un minuto della giornata dei ragazzi che non fosse stato intelligentemente programmato.»
e quindi l'omicidio perde la sua connotazione negativa per diventare la sola via percorribile verso una vita libera dalle imposizioni. Lo stesso protagonista afferma che:
«Avevano bisogno di genitori che non si impicciassero di tutto quel che facevano, che non temessero di mostrarsi nervosi o seccati, [...]»
Nel complesso, Ballard riconferma la sua abilità nel mostrare le crepe della società portando ad esempio delle situazioni davvero estreme, in questo caso scegliendo anche di puntare su un notevole impatto emotivo vista la giovanissima età dei ragazzi coinvolti nella strage. L'autore sfrutta la voce di Greville per convincere i suoi lettori che
«[...] i giovani quanto più si sentono amati, compresi e assecondati tanto più provano il disperato impulso di fuggire.»
Il tutto visto in un'ottica estremamente pessimista, sia per quanto riguarda il futuro della società, quella inglese in particolare e quella occidentale in generale, sia per lo sviluppo del comparto tecnologico che in questo volume come ne “Il condominio” sembra destinato a rovinare i rapporti umani, mentre in teoria dovrebbe contribuire a rafforzarli.
E pensando a quanti preferiscono il pigro invio di un emoji ad un incontro di persona, dobbiamo ammettere che negli anni Ottanta Ballard sapeva già guardare molto lontano.