Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno
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Delitti in famiglia
Giallo molto originale. La voce narrante è quella di uno dei protagonisti Ernie Cunningham, che racconta in tono ironico le vicende che hanno portato i membri della sua famiglia ad un raduno in una località di montagna per festeggiare l'uscita di prigione del fratello di Ernie, Michael. Tutto molto bello peccato che a mandare Michael in galera sia stata la testimonianza di Ernie, cosa che non lo rende esattamente il più benvoluto della compagnia. Come se non bastasse durante la prima notte viene rinvenuto un cadavere e una tempesta di neve blocca tutti nella struttura alberghiera.
Quale miglior pretesto per farci un dettagliato quadro di vizi e vicissitudini dei vari componenti della famiglia ognuno dei quali , come dice il titolo, ha in qualche modo più o meno consapevolmente contribuito ad uccidere qualcuno.
Un poliziotto parecchio impacciato inizia le indagini ma non sarà l'unico delitto e la situazione si complicherà.
Mentre nello svolgersi degli eventi il lettore cerca di capire , per eliminazione, chi rimane con un omicidio ancora non raccontato e dunque come probabile colpevole arriva il colpo di scena. Come nei migliori gialli c'è però qualcosa che non è come si pensava...
E' una commedia umana a tinte gialle tutto sommato carina.
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Il disegno perfetto
Si sa, i rapporti di famiglia e i legami, sono sempre estremamente complessi. Talmente complessi che talvolta si sviluppano con delle dinamiche tanto fini quanto affini, anche quando tra i singoli membri, come nel caso della famiglia Cunnigham, non corre buon sangue. È un dato, se ci pensiamo bene, abbastanza frequente, oltretutto. Il dato oggettivo è che tutti, per un motivo, o un altro hanno ucciso qualcuno, tutti tranne il narratore Ernest, la pecora nera, detto Ernie, almeno al momento. Perché la pecora nera? Ma perché tre anni prima ha denunciato il fratello Michel alla polizia per il delitto commesso, omicidio di un uomo di cui aveva poi chiesto proprio a Ernie di procedere con il seppellirlo clandestinamente in un boschetto.
Tuttavia, la famiglia per nessun motivo si rivolge alla polizia, ed ecco allora che su iniziativa della zia Katerine si ritrovano in un resort sulle montagne australiane dove festeggiano il rilascio di Michel dalla prigione stante la derubricazione del fatto di reato da omicidio a omissione di soccorso e occultamento di cadavere e l’avvenuta detenzione.
La famiglia dei Cunnigham va di pari passo con le morti e anche quando sopraggiunge allo chalet trova il cadavere di un uomo apparentemente morto per il freddo ma in realtà perito a causa di ben altro, sembrerebbe un tentativo di strangolamento con una profonda abrasione sotto al collo. Ma dove e come è morto davvero l’uomo?
«Sembra ovvio, ma i gialli moderni imboccano spesso un’altra via. Tendono a concentrarsi più sugli espedienti narrativi che sui fatti, più sugli assi nella manica che sulle carte in tavola. La trasparenza, invece, era il tratto distintivo dei giallisti del l’Epoca d’oro: Agatha Christie, per esempio, o Chesterton. Io lo so perché scrivo libri su come si scrivono i libri. E per i gialli esistono regole ben precise. Ronald Knox, che fu membro di quella cerchia di eletti, le mise nero su bianco, anche se lui le chiamava “Comandamenti”. Qui le trovate in epigrafe, quella parte di un libro che tutti saltano a piè pari. Ma datemi retta, stavolta vale davvero la pena di leggerla. Anzi, il mio consiglio è di fare un’orecchia alla pagina. Non vorrei tediarvi ripetendole di nuovo, perciò, in estrema sintesi: la regola d’oro dei gialli del l’Epoca d’oro è: Gioca pulito.»
Come in ogni perfetto giallo, non può mancare il dato dell’imperfezione che si traduce in un poliziotto totalmente incapace a gestire e condurre l’indagine. E come in ogni perfetto giallo, ancora, alla Agatha Christie toccherà a Ernie risolvere del mistero e far luce anche sui successivi omicidi che si susseguiranno.
Quel che colpisce di “Tutti nella mia vita hanno ucciso qualcuno” è senza ombra di dubbio il tono con cui è intriso nel suo essere. Si tratta certamente di un giallo, ben ponderato e ben cadenzato, i personaggi sono ben descritti ma ancor più a far leva è il tono ironico e il costante giocare a “l’aiutino da casa”. Non mancheranno passaggi in cui Ernie si rivolgerà direttamente al lettore per confrontarsi sulle ipotesi e possibilità di risoluzione del mistero. Il lettore non faticherà a capire chi si è macchiato della colpa del disegno criminoso, vi arriverà ben prima della truppa di protagonisti stessa ma continuerà comunque ad andare avanti perché la forza del romanzo è data dall’intero insieme. Un insieme fatto di colpi di scena quanto di umorismo sottile.
Un titolo che ricorda la scatola chiusa, formula già adottata e trova in tanti altri romanzi, che rimanda al giallo classico inglese per molteplici punti in comune volutamente ispirati e che ben si offre a una lettura per tutte le stagioni grazie a uno stile che accompagna e conduce per mano.
«Sarà anche una digressione irrilevante (ti sfido, editor: cassa tutto il paragrafo, se hai il coraggio), però siate sinceri: voi siete mai riusciti a passare davanti alla porta aperta di una stanza d’albergo senza sbirciare all’interno? Impossibile.»
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Invito a un week-end con delitti
La famiglia Cunningham è decisamente sui generis. Innanzi tutto non corre buon sangue tra i suoi componenti, ma ciò, di per sé, non costituirebbe una eccezione rilevante sulla media mondiale. Il fatto è che per un motivo o per un altro, tutti, ma proprio tutti, hanno causato la morte di un essere umano. Il narratore, Ernest (ma, in genere, chiamato Ern) parrebbe l’unico esente da questa menda, ma è una condizione, la sua, decisamente momentanea. Tra l’altro è la pecora nera della famiglia, reietto da tutti, perché, tre anni prima, aveva denunciato alla polizia suo fratello Michel proprio per aver ammazzato un uomo e aver poi chiesto, a lui, di seppellirlo clandestinamente in un boschetto. Ma i Cunningham non si rivolgono alla polizia. Mai!
Ora, su iniziativa della zia Katerine, sono stati tutti convocati in uno sperduto resort sulle montagne australiane innevate (e in procinto di essere colpite da una bufera che li isolerà dal Mondo, guarda caso!), per festeggiare, ufficialmente, il rilascio di Michel dalla prigione dove ha scontato tre anni di reclusione per quell’omicidio, derubricato a omissione di soccorso e occultamento di cadavere.
Però i Cunningham non sarebbero tali se, il giorno stesso del loro arrivo, non comparisse un cadavere davanti agli chalet dove sono alloggiati. Apparentemente è uno sconosciuto e forse è solo morto per il freddo della notte. Ma Sophie, sorellastra di Ern e affermato chirurgo, smentisce l’ipotesi più blanda: il viso dell’uomo è annerito come da un congelamento, ma in realtà ha la testa ricoperta di cenere, e una profonda abrasione attorno al collo denuncia un tentativo di strangolamento. Dopo una breve analisi la donna deduce che l’uomo, apparentemente sconosciuto a tutti gli altri, sarebbe morto in modo atroce, come soffocato dalla cenere di un incendio, ma la neve attorno a lui è intatta e solo un paio di tracce sulla neve conducono al luogo del ritrovamento: quelle del morto e del suo assassino.
Il poliziotto che ha raccolto la chiamata anonima, tal Darius Crowford, pare assolutamente inetto e incapace di condurre un’indagine seria. Toccherà a Ern scoprire chi era il morto e chi lo ha ucciso. Nel frattempo, dopo questo esordio, già di per sé inquietante, una serie di omicidi scuoteranno la tranquilla località sciistica australiana.
“Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno” è un giallo, ma, pur trattando di morti (alcuni dei quali, certamente uccisi in modo atroce) è un libro lieve e scanzonato. Il narratore, Ern, è uno dei componenti di quella scellerata famiglia, ma anche uno che si guadagna da vivere pubblicando (anzi auto-pubblicando) manuali che insegnano a scrivere gialli e polizieschi. È così fedele al decalogo dettato da Roland Knox per il suo Detection Club (di cui faceva parte pure Agatha Christie) da promettere ai suoi lettori, nel prologo, di essere un narratore assolutamente affidabile, non nascondere nessun indizio, ma di comunicarli non appena verranno alla luce. Addirittura, nel prologo, indica le pagine esatte del libro in cui ci sarà un morto o la rivelazione di un omicidio.
Questo atteggiamento ironico e anticonformista, viene mantenuto per tutto il volume, dove, non di rado, Ern si rivolgerà direttamente al suo pubblico, al suo editor o alla sua casa editrice, per spiegare certi passaggi, certi atteggiamenti, certi suoi comportamenti di investigatore per necessità o di romanziere, o per scusarsi di quelle che, a prima vista, parrebbero violazioni del decalogo o casualità sospette.
Insomma il tono burlesco si mantiene per tutto il libro anche a rischio di incappare in numerose rivelazioni che anticipano e potrebbero rovinare le sorprese e i colpi di scena. Ma, in fondo, lo scopo del romanzo non è quello di stupire il lettore con un palesamento finale inaspettato. In perfetto ossequio di una delle regole di Knox, ma come risulta elaborata e ampliata da VanDyne (“Il lettore deve avere le stesse possibilità del detective di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti.”) la soluzione risulterà palese ben prima che il colpevole venga smascherato dai protagonisti. Ma la storia è ugualmente piacevole da leggere, nel suo ben dosato mix di azione, suspense e umorismo garbato.
Di capitolo in capitolo, nel mentre vengono presentati e descritti i vari componenti di questa singolare famiglia e i “delitti” (lo scrivo tra virgolette perché non tutti lo sono realmente) di cui si sono macchiati, ci si addentra in un apparentemente caotico intreccio secondo il perfetto stile classico: la trama ricorda abbastanza il tipico giallo della stanza chiusa e utilizza la maggior parte dei topos di questa letteratura di genere. Sarà nel finale, come di prammatica ambientato nella classica biblioteca con caminetto, davanti a tutti i potenziali colpevoli, che l’apparente illogicità di alcuni eventi sarà spiegata da Ern, che ben reciterà la parte del Poirot di turno. Forse, l’unico appunto che può essere fatto a tutta la costruzione è che, a mio avviso, ci sono un po’ troppi casi fortuiti che convogliano la sequenza degli eventi in una predeterminata direzione, tuttavia tra flash-back e deduzioni più o meno geniali, il lettore non ne risulta disturbato.
Insomma un libro divertente, scritto in uno stile fluido e leggero; una buona parodia dei classici polizieschi dominati dall’investigatore onnisciente e deduttivo (Ern è l’esatto contrario) che fa passare lietamente le ore dedicate alla sua lettura.