Turista da banane
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Non è un paese per selvaggi
Si imbarca in seconda classe, la lunga traversata debilitante, l’oceano tutto intorno a plasmarsi col suo grande sogno.
Lasciare la civiltà rozza e corrotta per raggiungere isole paradisiache dove l’Eden attende il novello Adamo, offrendogli frutta succosa e languide baie. Tahiti.
“Turisti da banane” li chiamano sbeffeggiandoli gli indigeni. Gli occidentali sbarcano per vivere in una capanna e cibarsi dei frutti della terra per poi, dopo qualche tempo, venire raccattati dal governo denutriti e febbricitanti, pronti al rimpatrio.
Oscar non teme la fame, gli insetti, intossicazioni e pustole. Nella sua visione del futuro la bellezza sfolgorante di quel paesaggio opulento vedra’ troneggiare un nuovo dio pagano.
Poi però ci sono l’alcool, i festini, le ragazze facili, la fame e la sete e il sonno…amerai la Tahiti atavica o lascerai che il destino chiuda il cerchio dei Donadieu?
Insolito schema di Simenon, i cui libri di solito sono fini a se stessi, chi abbia letto il testamento Donadieu trovera’ qui l’epilogo del più giovane membro della nota famiglia. Nel precedente romanzo un personaggio in particolare spiccava in quella marmaglia per la sua fragilità e la sua smania di rinuncia ad ogni effimera ricchezza. Oscar Donadieu, il piu’ dissonante nella stirpe di armatori, spariva nel nulla per ricomparire in questa nuova avventura.
I personaggi che gravitano intorno alla vicenda sono tutti di una antipatia inenarrabile, il clima sordido e corrotto di una Polinesia avvinta dal colonialismo francese deturpa le tinte sfavillanti di panorami mozzafiato.
Un po' delusa, Simenon ha fatto il suo gioco: vogliamo la natura selvaggia e aneliamo all’osmosi con essa, poi però senza comodità non sappiamo stare, a costo di brutalizzarla. E quando ci rendiamo conto di essere davvero turisti da banane, ci ammacchiamo la testa scivolando su bucce maleodoranti ammucchiate a terra.