The turnglass
Editore
California, 1939. Quella dello squattrinato Ken Kourian è una vita divisa tra provini cinematografici e lavoro in un giornale, finché incontra Oliver Tooke. Affascinante, mondano e insieme riservato, Oliver è un celebre scrittore figlio del governatore della California. Da qualche tempo appare incupito, e la pubblicazione del suo nuovo romanzo sembra angosciarlo. Una sera, arrivato a casa sua, Ken fa una scoperta sconcertante: lo trova riverso sulla scrivania, il collo lacerato da un proiettile, la pistola nella mano. La morte viene presto archiviata come suicidio, ma Ken non è convinto e decide di indagare. Le ricerche lo portano sulle tracce di una vecchia storia, quella del misterioso rapimento del fratello di Oliver e della scomparsa della madre. Una famiglia sfortunata. O forse, una famiglia che nasconde troppi segreti. Ken è convinto che per scoprire la verità dovrà decifrare gli indizi nascosti nell'ultimo libro dell'amico. Un libro che parla di un'altra terra, l'Inghilterra, in un'altra epoca, il 1881, che pure ha tanti punti in comune con la storia di questa famiglia della California. La storia di Simeon Lee, un giovane medico impegnato a soccorrere lo zio malato, un parroco...
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Una clessidra
«[…] La donna pendeva da un cappio legato a un lampadario. Gli dava la schiena, la testa china sul collo spezzato. Le afferrò le gambe nella disperata speranza di trovarle ancora vive. Sotto di lei, una morbida scarpa di pelle giace sul pavimento. Mentre le afferrava i polpacci, uno sguardo rivolto al viso sopra di lui gli rivelò un paio di amare verità.
La prima era che la vita che un tempo ardeva luminosa in quel corpo si era spesa e non sarebbe più tornata, per quante preghiere avrebbero recitato, per quanto abili fossero stati i medici. Era sparita come la luce di un giorno ormai andato.
La seconda verità che gli si impone, serrandogli il respiro nel petto, fu che la donna che stringeva, la donna che oscillava nella brezza, non era la lontana, inafferrabile Coraline Tooke. No. La povera donna era sua madre, Firenze. Quella povera creatura tragica, maltrattata, piena di rimorsi. Impiccata a una corda bianca, di quelle destinate al legname grezzo o alle barche.»
“The turnglass. La clessidra di cristallo” di Gareth Rubin è quello che si suole definire un libro tête-bêche e cioè due storie che uniscono due misteri e due epoche diverse ma per mezzo di un filo conduttore che collega le vicende. Si tratta di una vera e propria tecnica narrativa che veniva utilizzata soprattutto in passato dagli stampatori.
Siamo a Londra, è il 1881. Qui Simeon Lee, medico, è ossessionato dal colera. Vuole sconfiggerlo, studiarlo, ma non riesce ad ottenere i fondi di cui necessita per portare avanti le sue ricerche. Per questo decide di accettare un incarico alquanto particolare: si recherà a Colchester, Contea dell’Essex, e da lì nell’isola di Ray, da un lontano parente, il reverendo Oliver Hawes che manifesta un peggioramento delle condizioni di salute e che assisterà. Sull’isoletta sorge la residenza del sacerdote, Turnglass House, edificio a due piani che è sormontato da una banderuola fatta a clessidra di cristallo. È qui che vivono padre Oliver e sua cognata Florence su cui verte una condanna agli arresti domiciliari a seguito dell’aggressione al marito di poi morto. Che sia stata lei ad avvelenare l’uomo nonostante il confino nell’edificio stesso in un’ala che impedisce ogni contatto e che ricorda una gabbia di vetro? Per il dottor Lee non c’è tempo da perdere, ha inizio una corsa contro il tempo.
1939, Los Angeles. Ken Kourian sta avendo un grande successo. Il suo sogno dopo la laurea a Boston era proprio quello di sfondare nel cinema. Conosce per caso Oliver Tooke, scrittore acclamato e figlio del governatore dello Stato e con lui trascorrerà molti momenti nella villa in vetro sormontata da un segnavento a forma di clessidra di cristallo. Tuttavia, la morte di Oliver interromperà quella che era la quiete del luogo. Ken lo troverà cadavere in quella che è la “torre d’ispirazione” e cioè il luogo dove lo scrittore si rifugiava per scrivere. Sarà rinvenuto morto a causa di un colpo di pistola alla testa. Che si sia suicidato proprio dopo la pubblicazione di “Turnglass House”, l’atteso romanzo? Insieme alla sorella Coraline, Ken si recherà sull’isola di Ray dove sorge la casa di famiglia dei Tooke per indagare. E ripartirà proprio dal romanzo che torna indietro nel tempo, rievocando la storia del dottor Simeon Lee che nel 1881 cercò proprio di salvare la vita del reverendo Hawes.
«[…] È quello su cui ho lavorato. In un certo senso. Persone che cambiano da un punto di vista all'altro. Da un anno all'altro." Fissò dalla soglia le onde nere che sciabordavano sugli scogli. "Le persone cambiano".»
La formula usata da Gareth Rubin in “The turnglass. La clessidra di cristallo” è molto originale e lascia a chi legge una libera interpretazione sul come leggere lo scritto e sul come considerarlo. Che si tratti di un volume unico diviso in due o di due storie che si fondono tra loro, il romanzo solletica la curiosità.
Lo scritto si costruisce interamente su un gioco di specchi e pian piano ricompone il puzzle. A ciò si aggiunge uno stile narrativo che accompagna pagina dopo pagina e che muta la sua veste a seconda delle situazioni che incontra. Lo stile, cioè, cambia e muta a seconda dell’epoca storica di riferimento così da rendere ancora più veritiero e plausibile il narrato. È nella conclusione dei due narrati che però resta un poco di amaro in bocca. Se da un lato siamo incuriositi dalle vicende, dall’altro il dubbio sullo sviluppo e l’epilogo scelto resta. È come se mancasse qualcosa, come se mancasse quel qualcosa a far sì che il romanzo funzioni nella sua interezza doppia. Anche dal punto di vista del ritmo a tratti è come se ci fosse un rallentamento, non regge ai colpi di scena e il lettore finisce con l’intuire il dove si andrà a parare. Cade quello che è l’incanto narrativo, per dirla alla Umberto Eco.
In conclusione, “Turnglass. La clessidra di cristallo” di Gareth Rubin è un romanzo dai buoni intenti, che regala ore di piacevole intrattenimento, ma che resta in parte incompiuto, irrisolto e questo lascia molte perplessità nel lettore che resta con quel retrogusto amaro in bocca.
“Potresti”, ammetti Oliver.
“Ma non lo farai.”
“Dimmi perché.”
Oliver si infilò le mani in tasca.
“Perché hai troppo rispetto del confine tra giusto e sbagliato. Forse è proprio quello che ho bisogno d'avere intorno. Non dovrai aspettare molto.
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Gira la clessidra...ehm, no, il LIBRO
Un lettore, soprattutto appassionato di thriller, enigmi e misteri come me, non può che essere affascinato da un romanzo che contiene non una, bensì due storie collegate tra loro. Capovolgi il libro e ricomincia la magia, perlomeno questa è l’idea, se non fosse che la realtà si rivela molto meno intrigante.
The Turnglass ci presenta due racconti, uno che si svolge a fine Ottocento, l’altro nel 1939 (consiglio assolutamente di iniziare da fine Ottocento, parte BLU).
Nel primo, un medico si reca su un’isola desolata a soccorrere un parente malato e finisce invischiato in una torbida vicenda.
Nel secondo siamo in California, dove Ken Kourian diventa amico dello scrittore Oliver Tooke che muore, apparentemente suicida e anche per lui sarà l’inizio di eventi pericolosi e oscuri.
La trama in sé e il collegamento tra le due storie c’è e funziona, quello che manca a mio avviso è una scrittura che coinvolga, che ci faccia vivere le emozioni dei personaggi, che ci tenga con il fiato sospeso.
L’ambientazione della parte BLU (semplifichiamo chiamandola così) si presta a brividi di terrore, ma non ce n’è neanche uno. L’intera vicenda si svolge in modo lineare, senza suspence e senza clamore, con personaggi sviluppati in modo non approfondito.
Nella parte ROSSA, sebbene in qualche modo si tirino le fila dell’intero intrigo, si presenta il medesimo problema. Una trama che scorre ma solo in avanti, senza veri colpi di scena o emozioni.
Vale per tutte le mie recensioni, ciò che non piace a me può piacere ad altri, quindi, salvo casi disperati, consiglio sempre di leggere un romanzo perché qualcun altro può trovare ciò che invece a me è mancato. Sicuramente mi sento di consigliarlo perché il vincolo che lega le due storie è ben congeniato, sebbene il valore dell’intero romanzo perda moltissimo per una narrazione che non è all'altezza dell'intento.
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INTERESSANTE MA POCA AZIONE
L'idea di questo libro è molto buona, amo sempre leggere qualcosa di nuovo, nuovi autori o nuove ambientazioni, la curiosità prevale sempre sul resto, anche se in questo caso ho trovato anche una trama interessante.
Questo romanzo è una sorta di thriller, di storia familiare con un pizzico di gotico ma il problema per me, è come è stata costruita la storia, non era molto avvincente, con pochi colpi di scena e la parte ambientata ai primi del Novecento era noiosa. Pensavo ci fosse più azione, più mistero, mi è mancata quella magia che sento quando leggo un testo vittoriano, probabilmente questo è dovuto al fatto che l'autore fosse contemporaneo e non è riuscito a creare quell'atmosfera così suggestiva.
Per comprendere al meglio la storia si dovrebbe iniziare la lettura dalla parte di fine Ottocento, che è anche quella che io ho preferito.
E' una stata una lettura piacevole ma mi è mancato anche un vero e proprio approfondimento dei personaggi principali che avrebbe reso la storia più credibile.
E' un testo leggero senza alcuna pretesa, purtroppo sarà un libro che dimenticherò in fretta.
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Un romanzo double face
Londra 1881, il giovane medico Simeon Lee è ossessionato dalla volontà di sconfiggere il colera, ma non riesce a ottenere dal suo istituto ospedaliero i necessari fondi per la ricerca. Allora accetta l’incarico che suo padre gli ha trovato: assistere un lontano parente, il reverendo Oliver Hawes che da alcuni giorni denuncia un progressivo peggioramento delle sue condizioni di salute. Simeon, perciò, si reca a Colchester, Contea dell’Essex, e da lì nell’isola di Ray un affioramento fangoso collegato alla terraferma solo da una strada che l’alta marea spesso sommerge rendendo pericoloso il percorrerla. Sull’isoletta, non di rado avvolta dalla gelida bruma del Mare del Nord, sorge solo la residenza del sacerdote, Turnglass House, un bizzarro edificio a due piani, sormontato da una banderuola fatta a clessidra di cristallo. Qui vivono solo padre Oliver e sua cognata Florence che il tribunale ha condannato alla reclusione domiciliare, come alternativa all’internamento in manicomio, per la brutale aggressione ai danni del marito a seguito della quale l’uomo era morto dopo una breve agonia.
Il sacerdote sospetta di essere stato avvelenato proprio da lei, anche se non sa in qual modo, visto che non si ciba che delle pietanze preparate dai due domestici anche per loro (ed essi godono di ottima salute) e la cognata da oltre due anni vive confinata in un’ala dell’edifico, una sorta di gabbia di vetro, senza poter aver alcun contatto con l’esterno.
Per il dottor Lee, inizia così una gara contro il tempo per scoprire le cause dell’infermità dello zio, ma anche per portare alla luce la storia passata della famiglia, misteriosa e inquietante; storia che potrebbe nascondere la motivazione, se non la causa, del male che sta uccidendo il sacerdote.
Los Angeles 1939, Ken Kourian è un giovane laureato a Boston che s’è trasferito in California nella speranza di sfondare nel cinema sonoro che sta avendo un enorme successo ovunque. Il caso gli farà conoscere Oliver Tooke, figlio del governatore dello Stato e scrittore di successo. Ne diviene amico e, con lui, passerà momenti piacevoli nella villa sull’oceano della famiglia; un bizzarro edificio a due piani interamente in vetro, sormontato da un segnavento a forma di clessidra di cristallo che è fronteggiato, in mezzo al mare, da una strana costruzione che l’amico chiama “torre dell’ispirazione”, ove si rifugia per lavorare ai suoi libri.
Questi momenti felici verranno brutalmente interrotti dalla morte violenta di Oliver. Ken, una notte in cui si trovava ospite a casa sua, lo ritroverà, ormai cadavere, nella torre dell’ispirazione, ucciso da un colpo di pistola alla testa.
Possibile che Oliver si sia davvero suicidato, come asserisce la polizia, proprio il giorno dopo l’uscita del suo ultimo, atteso romanzo, “Turnglass House”? Ken, lo ha visto sulla barca che si dirigeva alla torre assieme a un’altra persona; ma il secondo uomo non si trova da nessuna parte e non c’è nessuno a confermare la sua versione.
Assillato dai dubbi, inizierà a indagare assieme alla sorella del morto, Coraline, andando in Inghilterra, sull’isola di Ray, dove sorge l’antica casa di famiglia dei Tooke per indagare, ma pure studiando attentamente l’ultimo romanzo di Oliver, che narra della storia del giovane medico Simeon Lee il quale, nel 1881, cercò di salvare la vita al reverendo Oliver Hawes. Proprio nel libro scoprirà inquietanti corrispondenze tra il passato della famiglia Tooke e i personaggi del romanzo. Che dette somiglianze siano qualcosa di più che semplici casualità, espedienti narrativi o mere ispirazioni letterarie? Che in esso Oliver abbia tentato di fare rivelazioni scottanti relative alla sua famiglia e queste abbiano fornito il movente per il suo omicidio?
Due romanzi in un unico volume? O un unico romanzo suddiviso in due storie convergenti? Questo è ciò che ci offre Gareth Rubin in questo sorprendente libro double-face.
La tecnica tipografica del tête-bêche era molto utilizzata dagli stampatori del XIX secolo e consisteva nel disporre una parte del testo al diritto e l’altra al rovescio. L’A. in questo caso ci offre due romanzi, uno, con copertina blu da leggere al dritto e uno, con frontespizio rosso, da leggere capovolgendo il volume.
La scelta non è solo un artificio grafico per rendere più accattivante e curioso il libro, ma proprio un metodo narrativo. Non per nulla anche le due storie sono racconti matrioske con libri entro libri che interagiscono con la realtà raccontata cercando di svelarcela o anticiparcela. Inoltre in entrambe sono presenti libri tête-bêche: nella storia del XIX secolo c’è un libricino con una vicenda ambientata nel suo futuro (1939 in California!) che, sul retro, riporta il diario segreto del reverendo; nella seconda, quella del 1939, il romanzo di Oliver Tooke sul retro riporta un diverso racconto.
Ma il gioco di specchi continua per tutta la narrazione, intrigando e incuriosendo il lettore: entrambe le vicende sono misteriose e piene di enigmi; i riferimenti e i collegamenti tra le due vicende, lontane mezzo secolo, divengono, pagina dopo pagina, più evidenti e inquietanti.
L’A., in pratica, oltre a offrirci due racconti intrinsecamente connessi l’uno all’altro, ci presenta un gioco di incastri ed enigmi per sfidarci a scoprire le arcane relazioni che esistono tra le due vicende distanti nel tempo.
Molto abilmente anche lo stile narrativo si adatta alle epoche: quello usato per raccontare la storia del 1881 è più retrò e ricercato, mentre quello della seconda vicenda è decisamente più veloce e diretto, quasi chandleriano.
La prima vicenda ha un sapore vagamente gotico, con atmosfere cupe e tenebrose, che si snodano in un ambiente chiuso e astioso, fatto di gente dedita a traffici illeciti, ostile verso gli estranei; evidenti i richiami a temi cari a Poe, Bierce e Stoker, con accenni a vaghe ingerenze soprannaturali.
La seconda, invece, ci porta in una California rutilante al colmo del suo splendore, tra feste alla Grande Gatsby (con gente sfavillante fuori e vuota dentro) e infatuazioni cinematografiche, ma con situazioni hard boiled e immancabili strizzate d’occhi, come accennavo, alle ambientazioni tipiche in Chandler e Hammett.
Gradevoli le due vicende, ben congegnate ed entrambe cariche di suspense e colpi di scena, narrate con ritmo serrato e scorrevole, anche se non sono particolarmente astrusi gli enigmi proposti e intricate le avventure che affrontano i protagonisti. La fine di entrambe, però, ci lascia parzialmente insoddisfatti, come se i due cammini, che dovrebbero condurci alla soluzione finale del doppio mistero steso tra i due secoli, fossero interrotti da un baratro, un burrone che impedisce di percorrerli sino all’auspicata meta. Le quattro pagine bianche che dividono la fine del dramma ottocentesco da quella del giallo moderno sembrano quasi poste allo scopo di consentire al lettore di continuare, lui, la narrazione per giungere a una conclusione comune e soddisfacente, cercando di dare un senso a indizi e segnali disseminati nelle due storie che, a fatica, si debbono individuare, interpretare e connettere.
In definitiva, si tratta di un romanzo gradevole e divertente, di buon intrattenimento, ma parzialmente incompiuto, irrisolto; un libro che pur svelando le trame occulte che vi sono intessute e identificando formalmente i colpevoli e i mandanti dei delitti compiuti, ci priva del momento catartico atteso nel finale. In pratica ci lascia insoddisfatti e in attesa di un ulteriore capitolo risolutivo, con la delusione di chi, intrigato e affascinato dall’idea e dalla sua realizzazione tipografica, si aspettava ancor di più di quanto realizzato e si trova, invece, abbandonato sull’orlo del disvelamento risolutivo.
Un’ultima curiosità: come Dante si dilettò di chiudere le cantiche della sua Commedia con la parola “stelle”, ripetuta nei suoi ultimi tre endecasillabi, così Rubin termina i due racconti con la stessa, identica parola: “tempo”. Forse, proprio il tempo è la chiave di lettura di questo libro, la soluzione cercata: con il suo scorrere può sciogliere, prima o poi, i nodi e gli intrecci che gli uomini ordiscono.
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Un’avvertenza ai futuri lettori. Per quanto, in teoria, è previsto che si possa iniziare sia dal racconto ottocentesco che da quello più moderno, consiglio di cominciare da quello cronologicamente precedente, cioè da quello con la copertina blu. Infatti, per quanto esistano richiami incrociati alle due vicende, nella storia del 1881 si incontrano meno anticipazione dell’altra e, quindi, non c’è rischio di privarsi delle sorprese che ci riserva la seconda.